La strega le aveva fatto provare il dolore più grande di tutta la sua vita, era stato terrificante, eppure si sentiva in debito con lei. Aveva risvegliato il lupo e per la prima volta si sentiva completa.
Sin da quando aveva memoria si era sentita fuori posto, inappropriata, con qualche pezzo in meno. Certo, passare da un orfanotrofio all’altro non aveva contribuito.
E ora, ora poteva sentire ogni odore come scie colorate che segnavano la strada, poteva vedere nell’oscurità come se fosse giorno e poteva ridere sentendosi finalmente Julie.
Aveva una voglia matta di mettersi a correre, di far uscire il lupo che era in lei per provare nuovamente tutte quelle sensazioni strabilianti, ma aveva paura del dolore.
La trasformazione non poteva avvenire senza dolore, questo non glielo levava nessuno dalla testa. L’aveva provato, lo sapeva.
A dire la verità era anche curiosa di leggere cosa aveva scritto quel suo simile nel libricino datele dalla strega, ma da quando avevano lasciato l’antro non ne aveva avuto possibilità. Prima la scarpinata fino ad un centro abitato, poi le priorità successive, mangiare e dormire.
Ora sapeva esattamente cosa significava avere una fame da lupi. Se non si fosse vergognata avrebbe chiesto anche il quarto piatto di pasta al ristorante.
Inoltre, girare solo con il mantello che le aveva dato la vecchia la metteva in soggezione, si aspettava che da un momento all’altro qualcuno si girasse ad indicarla ridendo.
Cosa che fortunatamente non era avvenuta.
Era strano ma non sentiva né freddo, né caldo e neanche l’esigenza di indossare scarpe, era come se le calzasse sempre. Quel mantello era un portento!
Una volta svegli erano dovuti partire in tutta fretta, sua madre poteva essere ovunque e non sarebbe stata certamente ferma ad aspettarli.
Erano arrivati a Doboj il giorno prima e si erano dovuti fermare per la notte in attesa del treno successivo. Treno che sarebbe partito tra meno di quindici minuti e loro erano in ritardo.
Spronò i suoi due amici a percorrere le strade della cittadina battuta da una frizzante tramontana più velocemente e quasi senza fiato si infilarono nella stazione.
Fu come se qualcuno l’avesse colpita in piena fronte con un martello.
La quantità di odori la sconvolse talmente tanto da farle girare la testa. Si afferrò al braccio di Samuel, che prontamente la sorresse quasi trascinandola fino al binario dove la loro vettura era in attesa.
Con uno sforzo tremendo riuscì a salire prima che le porte si chiudessero alle loro spalle.
Si sentiva respirare con affanno, mentre gocce di sudore le scendevano lungo la schiena e le bagnavano la fronte.
Troppi impulsi per i suoi sensi ancora nuovi.
Entrambi i suoi amici la sorressero indirizzandola dentro uno scompartimento vuoto. Li vide con la coda dell’occhio chiudere la porta e aprire al massimo l’aria, mentre lei si accasciava sul sedile.
Non sapeva come fare, ma l’unica cosa che le veniva in mente era che doveva calmarsi, imporsi di respirare con calma e cercare di escludere quella cacofonia di odori.
Prese a respirare con la bocca dandosi un ritmo cadenzato e dopo pochi minuti stava già meglio, certo sentiva distintamente l’aria stantia che usciva dai bocchettoni, le scie lasciate dai vari passeggeri negli ultimi giorni, ma sopra tutti c’era l’odore conosciuto e calmante di Gabriella e di Samuel.
“Sto meglio” disse guardando i loro volti preoccupati
I due si rilassarono immediatamente e cominciarono a parlare del più e del meno.
Dopo appena un’ora dormivano in posizioni molto scomode, così ne approfittò per aprire quel magico diario delle risposte.
La scrittura era pessima ed era in italiano, lei lo aveva studiato bene, eppure ebbe qualche difficoltà.
L’inizio era incerto: spiegava in maniera sconnessa la trasformazione, l’autore doveva aver annotato quelle cose subito dopo, con la mente ancora sconvolta dal dolore.
Via via le pagine diventavano più scorrevoli. Era ben descritta l’anatomia, i nuovi sensi amplificati come l’olfatto e la vista, tutte cose che lei aveva già sperimentato.
Così come le aveva detto la strega esistevano due modi per far uscire il lupo, il richiamo del sangue, ovvero un consanguineo che lo richiamava e lui affiorava, oppure con la paura ed il dolore.
Certo, la vecchiaccia aveva scelto quella più terrificante, ma sicuramente non aveva mentito.
A quanto c’era scritto, Lican ci nascevi, non potevi diventarlo con morsi e altre cose da leggenda metropolitana. Ed era il motivo per cui le famiglie erano molto protettive nei confronti della prole. L’autore spiegava come i genitori si facessero uccidere portando i cacciatori lontano dai propri figli. Immaginò che la madre avesse fatto la stessa cosa con lei e poi l’avesse persa di vista, questo avrebbe fugato tutti i suoi dubbi e le sue paranoie sui mille perché che negli anni le erano balzati in testa relativamente ai suoi parenti prossimi.
Ad un tratto un odore pungente attirò la sua attenzione, chiuse il libro e si concentrò per ascoltare i suoi sensi amplificati.
Proveniva dall’esterno della carrozza, era un miasma che le dava la nausea e faceva ringhiare il lupo che era in lei.
Per istinto chiuse le tendine che davano sul corridoio della carrozza e bloccò con un piede la porta, mettendosi acquattata ad aspettare. Decise che non era il caso di svegliare i suoi amici fino a che non avesse capito con chi aveva a che fare.
Sentì i passi di un uomo, a giudicare dal rumore doveva essere robusto, fermarsi davanti alla loro cabina, poi vide che tentava di aprire la porta, ma lei resistette. Lo sentì rimanere a pochi centimetri da lei, divisi solo da un po’ di vetro e metallo, ancora per qualche minuto.
Il tanfo era ormai molto forte e il lupo ringhiava e graffiava per venire alla luce, per avventarsi su di lui.
Era istinto omicida allo stato puro.
Voleva ucciderlo.
Ma lei non poteva lasciarlo fare, non sapeva nemmeno chi fosse!
Escluse quel fetore e si concentrò su Gabriella, il suo odore le faceva venire in mente i biscotti appena sfornati dal panificio.
Finalmente l’uomo se ne andò, mentre la belva dentro di lei si metteva buona.
Esalò un profondo sospiro e si mise a sedere, riprendendo il mano il libricino che aveva lasciato sul sedile accanto al suo.
Era arrivato il momento di saperne il più possibile su quello che poteva capitarle.
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