Buongiorno ai lettori.
I membri di “Lande Incantate” mi hanno chiesto di entrare a far parte di questa comunità di affezionati del fantastico e non ho saputo dirgli di no, perciò vi farò compagnia con questa nuova rubrica. Premetto che i miei consigli non saranno incentrati per forza sulla creazione di un romanzo fantasy, poiché la necessità di un’ambientazione la può avere anche il master di un gioco di ruolo, o un regista, o una persona che non sa cosa fare il giovedì sera, ma è lampante che soprattutto un aspirante scrittore potrà trarre beneficio dai miei articoli.
Non ci resta che cominciare.
Partiamo subito da una domanda che mi pare ovvia, ma che molti non si fanno: come si crea un’ambientazione fantasy?
“Ci vuole tanta fantasia” si risponde spesso, liquidando la questione con troppa fretta. Ci vuole sì fantasia, ma occorre anche molto lavoro, logica e ricerca di informazioni. Più o meno a questo punto gli aspiranti scrittori dicono: “intanto inizio a scrivere, poi vedrò cosa mi serve.”
“No! Fermi! Non scrivete nulla!” rispondo io. “Iniziare alla cieca è come partire per Berlino, senza auto e senza conoscere altra lingua che il proprio dialetto da pescivendoli.”
Ironia a parte, ciò che voglio dire è che prima di mettersi al lavoro sulla pagina bianca, ci si deve documentare a fondo. L’improvvisazione non è una buona consigliera. Come sostengo sin dal titolo, se si vuole fare un buon lavoro e non si hanno poteri divini, non si può creare un’ambientazione in breve tempo. Un universo di fantasia è qualcosa che pretende un’esattezza e una logica indistruttibili. Come ottenere dunque questi elementi?
Il metodo che illustrerò non ha la pretesa di essere l’unico esistente, né il migliore. Questo è bensì il metodo che ho usato io nei miei racconti, appreso tramite l’esperienza, ma soprattutto imparato grazie alle opere di quegli autori a cui mi ispiro.
Partiamo, perciò, proprio da questi grandi scrittori. Leggendo Tolkien, Peake, Eddings, Brooks e così via, percepiamo subito dalle loro parole di trovarci in un mondo. All’inizio non conosciamo tutte le caratteristiche della loro ambientazione e, molto spesso, non riusciamo a coglierle neanche a lettura ultimata, ma siamo continuamente immersi in un’atmosfera definita e chiara, che descrive quel solo e unico mondo. Come fanno gli autori a rendere una simile sensazione?
Ho scritto poco fa che “un universo di fantasia pretende un’esattezza e una logica indistruttibili”. “Pretende” è la parola giusta. In un romanzo realistico la logica è altrettanto necessaria, ma siamo avvantaggiati dal fatto di essere sempre immersi nel mondo reale, pertanto sappiamo in partenza cosa in esso può essere realistico e cosa no. In un mondo di fantasia, invece, potenzialmente possiamo far accadere qualsiasi evento, ma ciò è vero solo in apparenza. È lampante che un libro in cui avviene di tutto, senza seguire alcuna logica, rischia di scadere subito nel ridicolo. Per esempio, se partiamo da un re medievale che si trova nel proprio castello, non potremo concludere il romanzo con un’invasione aliena di orsi intelligenti, o meglio, se vogliamo arrivare a un simile esito senza essere messi al rogo dai lettori, dobbiamo costruire una logica ferrea per cui, dopo una serie di peripezie, divenga evidente che quel finale era già implicito nell’universo descritto sin dal primo capitolo.
I lettori, o i vostri giocatori di ruolo, odiano vedere nella trama repentine modifiche messe in atto solo per portare la situazione al suo compimento. Tutto invece deve sempre apparire logico, quasi meccanico. Per riuscire in questo intento, è bene fare tutto il lavoro necessario prima di sedersi a scrivere o a giocare. L’ambientazione dev’essere una solida impalcatura su cui montare poi delle vicende, in modo tale che queste siano parti di un tutto ben definito. Hemingway, parlando del racconto in generale, ha espresso questo concetto in modo perfetto. Egli raccontava a Plimpton: “Io cerco sempre di scrivere secondo il principio dell’iceberg. I sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno”. Nel nostro caso, tale definizione è perfetta. L’ambientazione deve essere nota al suo creatore in ogni dettaglio. Nulla all’interno di essa può essere lasciato al caso e, se ci saranno intere parti di universo che non appariranno mai nel romanzo, vorrà dire che abbiamo fatto un ottimo lavoro.
Un esempio diretto di questo concetto nella letteratura fantastica lo si può rintracciare in Lovecraft. Se avete letto i racconti di questo grande autore americano (e se non lo avete ancora fatto, spegnete il pc e correte in libreria) vi accorgerete che in ogni suo scritto non trapela quasi nulla dell’ambientazione. Spesso ci sono solo sfuggevoli visioni di creature ignote ed enigmi impenetrabili, ma nessun protagonista riesce a capire cosa sta succedendo e, anzi, quando ci riesce, finisce sempre con l’impazzire e lasciare il lettore con un pugno di mosche in mano. Proseguendo però con la lettura di altri racconti, vi accorgerete con il tempo che la mitologia e il pantheon di divinità mostruose create da Lovecraft hanno una logica quasi perfetta e immutabile. L’ambientazione è onnipresente, ma non la si descrive mai a chiare parole. Appunto, si trova sempre sommersa e le storie rimangono a galla proprio grazie a quella massa nascosta.
Ho già parlato più del previsto. Prima di salutarvi, vi lascio però con un ultimo avvertimento: come ogni “corso creativo” questa serie di articoli potrà essere utile e dare spunti, ma non ha alcuna pretesa di perfezione. Se siete dei geni e avete il talento innato di descrivere mondi inesistenti senza alcuna preparazione, allora complimenti.
Ci risentiamo fra due venerdì dove inizierò a scendere nel dettaglio e cercherò di spiegare cosa sia la logica interna di un’ambientazione e come crearla.
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