Sviscerare tutto ciò che riguarda i licantropi richiederebbe la stesura di un saggio lungo e complesso, per cui mi limiterò a individuare i tratti salienti e distintivi di una creatura che è stata presente, fin dall’Antichità, nella mente e nella vita degli uomini, che l’hanno guardata con ammirazione, stupore e immancabile paura, legandone l’evoluzione a quella della sua parte animale.
Partiamo dall’inizio, dal nome cioè.
Il termine licantropo proviene chiaramente dal greco e significa “uomo-lupo”, infatti è composto da (λύκος) lýkos, “lupo” e (ἄνθρωπος) ànthropos, “uomo”. Lupo mannaro invece è un termine più tardo, che deriva dal latino volgare lupus hominarius, ossia lupo umano o lupo mangiatore di uomini, che comunque non denota un licantropo in senso stretto, facendo riferimento a storie e leggende, spesso locali, di enormi lupi mangiatori di uomini, non necessariamente sovrannaturali. Il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani indica inoltre una seconda, sia pur minoritaria, possibile provenienza di mannaro dal tedesco mann (uomo) e antico hart/hard (duro).
In inglese invece il licantropo è definito werewolf, dal vecchio Inglese wer(e)wulf, formato da were (uomo adulto) e wulf (lupo). Ugualmente i tedeschi lo definiscono werwolf. In Francia infine, oltre a “lycanthrope”, importato dal greco, è usato il termine “loup-garou”, dall’etimologia incerta e contraddittoria, che sembrerebbe un pleonasmo derivato da loup garwolf (o garolf), e quindi “lupo-uomo-lupo”.
Nella pratica il licantropo è un uomo che, durante le notti di luna piena, si trasforma in lupo (sebbene esistano culture dove l’animale in cui muta è differente, ad esempio nella tradizione popolare sarda esiste l’Erchitu, un uomo che, a causa di una grave colpa commessa, è costretto da un maleficio a trasformarsi in bue durante il plenilunio), una bestia feroce priva di raziocinio che si abbandona a violente efferatezze. Il come e il perché avvenga la trasformazione possono variare nelle culture e nel tempo, e anche le modalità con cui l’uomo può difendersi. Ciò che è importante sottolineare invece, in questa fase iniziale, è la scelta dell’animale totemico, ossia il lupo.
Una scelta non casuale. Un tempo, prima di essere demonizzato, cacciato e ridotto all’estinzione, il lupo è stato l’animale più diffuso sul pianeta, presente sia nel continente Euroasiatico che in America, e quello che maggiormente ha inciso sulla storia dell’uomo, legandosi a esso in un rapporto di amore e odio che è mutato col mutare delle società umane. Nel saggio “Ecological and cultural diversities in the evolution of wolf-human relationships”, Luigi Boitani ripercorre con precisione la storia dell’associazione tra uomo e lupo, rimarcando quanto, nelle antiche comunità di caccia e raccolta, il lupo fosse guardato con ammirazione, prima di essere osteggiato e cacciato con il passaggio a una società pastorale, dedita all’allevamento.
Splendido esemplare di lupo
Agli albori della civiltà l’uomo è infatti un cacciatore, costretto a procurarsi il cibo con le proprie forze, come un animale predatore. Nel farlo, il confronto con il lupo è inevitabile, un confronto da cui l’uomo esce sconfitto, inferiore rispetto all’animale in termini di velocità, scaltrezza, acutezza dei sensi e potenza dei propri artigli. Il lupo è quindi il rivale d’eccellenza nella caccia, un rivale a cui l’uomo guarda con ammirazione e rispetto, quasi fosse una Divinità, poiché possiede quelle caratteristiche che a lui mancavano, caratteristiche che doveva saper ricreare per essere alla pari. Ecco quindi l’intervento dello spiritismo sciamanico (quello che volgarmente oggi chiamiamo magia era un complesso sistema rituale che permeava la vita quotidiana degli uomini, mescolandosi al divino, e di cui si occupava un’apposita categoria di uomini, gli sciamani appunto) finalizzato a realizzare questa fusione tra uomo e lupo tramite ben precisi rituali estatici, che permettono all’uomo di catturare lo spirito, l’essenza, del lupo e farlo proprio, indossandone la pelle e identificandosi con lui.
Questo rapporto di venerazione e rispetto viene meno con l’evoluzione dell’uomo in una società diversa, più sviluppata, con il passaggio cioè dalla società di caccia e raccolta a quella pastorale e, successivamente, a quella contadina. L’uomo, divenuto un allevatore, e poi un contadino, e impiantatosi stabilmente in un certo luogo, mal sopporta i continui interventi dei lupi, etichettando gli animali non più come rivali bensì come pericolo. Per il bestiame e poi anche per sé. In questa nuova fase il lupo va incontro alla sua prima demonizzazione, divenendo nemico dell’uomo e come tale destinato a essere cacciato. Nasce lo stereotipo del “lupo cattivo”, predatore , ladro, a cui l’uomo si oppone con caccie e trappole sempre più elaborate, al punto da creare addirittura professioni, come quella del luparius, il cacciatore di lupi.
È in questo frangente che appaiono le prime testimonianze “letterarie” di metamorfosi di uomini in lupi, che approfondiremo in articoli successivi.
Nel ciclo epico Gilgamesh (incentrato sul re sumero di Uduk, composto tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C.), la Dea Ishtar, Signora della Bellezza e della Fecondità, trasforma un pastore in lupo, mettendogli contro la propria famiglia e gli amici, al punto da essere cacciato dal suo stesso villaggio e dai suoi cani.
La Bibbia, tramite le parole del profeta Daniele, racconta la storia di Nabucodonosor, re di Babilonia che “fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli”.
Per arrivare alla cultura greca e a quello che è forse il più celebre mito di trasformazione, quello di Licaone, Re dell’Arcadia punito da Zeus (un esperto trasformista!) per aver osato sfidarlo e mutato in lupo. Esistono varie versioni, come ovvio, di questo mito; tra le più note, quella narrata da Ovidio nelle Metamorfosi:
Atterrito fugge e raggiunta la campagna silenziosa
lancia ululati, tentando di parlare. La rabbia
gli sale al volto dal profondo e assetato come sempre di sangue
si rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue.
Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe:
ed è lupo, ma della forma antica serba tracce.
La canizie è la stessa, uguale la furia del volto,
uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce.
Mito che segna il definitivo tramonto del lupo da animale venerato a predatore odiato.
Anche presso i romani esiste la figura del licantropo, chiamato versipellis, ossia rovesciapelle, in quanto si ritiene che la pelliccia da lupo cresca sotto la pelle umana e che solo con la metamorfosi veniva fuori, rivoltandosi. Parlano di uomini che si trasformano in lupo Gaio Petronio nel Satyricon, Virgilio nelle Bucoliche e Properzio nelle Elegie. E oltre ai versipellis, esistono gli Hirpi Sorani, sacerdoti di un tempio sul monte Soratte che venerano Apollo (che è solito apparire loro in forma di lupo) e che indossano pelli di lupo con la testa dell’animale sul capo, figure che richiamano, mescolandosi, quella di Aita, Sovrano etrusco dell’Oltretomba, rappresentato spesso con un elmo a forma di lupo in capo. Approfondiremo, in un apposito articolo, tutti questi aspetti mitologici. Qui preme sottolineare l’esistenza, in molteplici culture, anche di aree geografiche diverse ma comunque tutte ascrivibili a quello che oggi chiamiamo Occidente, di figure equiparabili al licantropo.
Con l’avvento e la diffusione del Cristianesimo, la caccia al lupo (e al licantropo) subisce una nuova accelerazione. Infatti questa religione vede nell’unione barbara e animalesca tra uomo e lupo l’espressione del demonio, una forma di sottomissione (anche carnale) a Satana che doveva essere combattuta e sradicata. Aprendo una veloce parentesi, è opportuno ricordare che nella Bibbia i lupi vengono indicati come simboli di avarizia e distruzione, Gesù è il buon pastore che protegge il popolo/gregge dai lupi e che la letteratura cristiana successiva elabora il tema partendo da questo messaggio ostile ai lupi. Ben presto quindi l’antica sapienza sciamanica, che aveva portato gli uomini a risvegliare il loro lato animale, viene accomunata alla magia, anzi alla stregoneria, e come tale bollata e condannata. Per estirpare quest’eresia demoniaca, la Chiesa usa ogni mezzo, dalle missioni di evangelizzazione alla guerra aperta, dalla propaganda popolare all’istituzione di tribunali speciali, raggiungendo il culmine durante i primi due secoli dell’Era Moderna, dopo la nascita del Luteranesimo e sotto la spinta controriformista del Concilio di Trento.
Malleus Maleficarum
Fioriscono in questo periodo le rappresentazioni negative dei lupi, partendo dal tristemente noto Malleus Maleficarum (fine XV secolo) che vede i lupi emissari di Satana, e giungendo alle fiabe popolari, come “Le Petit Chaperon Rouge” di Charles Perrault, del 1697, che riprende certamente tradizioni orali diffuse in passato, segnando in maniera definitiva l’immagine negativa del lupo nella civiltà occidentale. Alla luce di ciò un uomo che diventa un lupo non può che essere visto con orrore, paura e condanna. Le conseguenze di questa isteria di massa sono un vero e proprio massacro dei lupi europei e una caccia alle streghe (e a tutte le presunte creature sovrannaturali) condotta con una veemenza e violenza mai viste prima. Le fonti discordano sui numeri ma tra XV e XVII secolo in Europa vengono messe al rogo migliaia di persone con l’accusa di licantropia, mescolata o sovrapposta all’accusa di stregoneria. Il solo Henry Boguet, implacabile giudice francese, che si è meritato l’appellativo di brûleur féroce, condanna a morte centinaia di uomini e donne che pensano, o che sono accusati, di poter mutare in lupi. Un’isteria collettiva che inizia a scemare solo con l’Illuminismo, pur senza mai venire del tutto meno.
Il risveglio del licantropo
Posto ciò, come viene rappresentato il licantropo nella tradizione?
Semplicemente come un grosso lupo, con una taglia superiore alla media, dotato di forza e velocità tipiche della sua parte animalesca, ma anche di una diabolica intelligenza, di (corrotta) derivazione umana. Può avere il pelo di colori diversi, a seconda delle fonti, e non gli è permesso parlare, al massimo ringhiare. È in grado di camminare sulle zampe posteriori, come gli uomini, possiede grandi occhi umani, una bocca larga e piena di denti affilati.
A titolo d’esempio, leggiamo la descrizione che Pierre Delancre, famoso demonologo francese, lascia dei licantropi:
sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate.
L’idea che sia una creatura ibrida è un’invenzione della cinematografia moderna improntata alla spettacolarità.
Che la trasformazione avvenga durante il plenilunio è un’idea che deriva dal fascino perverso che la luna piena ha sempre esercitato nella mentalità popolare (e quindi letteraria); fin dall’antichità infatti alla luna veniva attribuita un’influenza su alcuni aspetti comportamentali dell’uomo, quali l’epilessia e le malattie mentali (il termine “lunatico”, del resto, nasce da questa considerazione). Molti autori greci e latini, come Plinio il Vecchio o Plutarco, hanno evidenziato l’influsso negativo che la luna piena opera sugli uomini, conducendoli alla violenza. Il soldato di cui narra Gaio Petronio nel Satyricon, citato poco sopra, muta in lupo in una notte di luna splendente. Momento, la notte, perfetto per far uscire le creature dell’oscurità, come appunto i lupi, che di frequente si abbandonano a ululati alla luna. È Gervasio di Tilsbury, studioso medievale vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, ad associare esplicitamente il fenomeno della licantropia con le fasi lunari, piantando un paletto nella letteratura del settore.
Licantropo di Wert23 (Deviantart)
Appurato ciò, come può l’uomo diventare un licantropo? Cosa origina la mutazione?
Nella tradizione classica e medievale, il metodo principale di trasformazione è l’intervento di una potenza esterna, divina, sovrannaturale che sovverte l’ordine naturale delle cose permettendo a un uomo di diventare un animale. Del resto, gli Dei, un po’ in tutte le culture, sono noti per le loro abilità trasformistiche (pensiamo agli Dei d’Egitto, a quelli di Grecia, Zeus su tutti, ma anche a Odino). Il pastore viene mutato in lupo dalla Dea Ishtar, Licaone da Zeus, San Patrizio maledice intere popolazioni pagane e trasforma in lupi il re gallese Vereticus e i suoi seguaci. Sono trasformazioni non volute, scagliate come punizioni divine per comportamenti errati.
Se non è l’intervento celeste, è magia/stregoneria (ricordiamo lo spiritismo sciamanico che, servendosi di funghi allucinogeni, come l’amanita muscaria, invocava lo Spirito del Lupo a possedere l’uomo). Erodoto descrive il popolo di Neuri come stregoni che, una volta l’anno, diventano lupi, concetto ripetuto anche da Pomponio Mela. In Bisclavret, uno dei dodici Lais di Maria di Francia, il licantropo è intrappolato in forma lupesca dalla malvagità della moglie; nel Guillaume de Palerne (poema francese del XIII secolo), Alfonso è mutato in lupo per stregoneria. Assimilabile alla stregoneria è l’intervento del diavolo, a cui, spesso, gli uomini si rivolgono per stringere patti a loro vantaggio, senza valutare bene i rischi dell’accordo. Credenze simili hanno perdurato fino a pochi secolo or sono: nel 1615 il demonologo francese Jean De Nynauld scrisse un saggio “De la lycanthropie, transformation et extase des sorciers” in cui spiegava che la licantropia deriva da turbe mentali e dalla magia.
Un terzo metodo di trasformazione sta nell’utilizzare oggetti particolari, magari una pelle di lupo che, indossatala, fa perdere la ragione all’uomo. Nella saga dei Volsungar (opera in prosa scritta in Islanda nel tardo XIII secolo, un classico dell’epica germanica) Sinfjotli e il padre Sigmund trovano due pelli di lupo in una casa in mezzo alla foresta, le indossano e diventano lupi per dieci giorni, correndo e parlando proprio come lupi. Per fortuna, allo scadere del decimo giorno, il maleficio si esaurisce e recuperano forma umana, bruciando le pelli e interrompendo la maledizione.
Tra gli oggetti, va ricordata anche la cintura, di chiara fabbricazione demoniaca. Nel saggio “Storia dei Licantropi”, Luca Barbieri ci ricorda che la cintura deve essere “alta tre dita, fabbricata con pelle di lupo o pelle umana”. Usa la cintura il serial killer tedesco Peter Stubbe, vissuto a Bedburg nel XVI secolo: accusato di aver ucciso e seviziato donne e bambini, l’uomo al processo dichiarò di aver ricevuto in dono dal diavolo una cintura con cui poteva mutare in lupo. Nella Sassonia del Nord inoltre, è noto il boxenwolf, lupo mannaro tipico dello Schaumburg-Lippe, che può mutare grazie a una cintura cedutagli dal diavolo.
Di fabbricazione diabolica o stregonesca, sono anche gli unguenti, filtri magici ottenuti da vari ingredienti, che, per quanto oggi possano apparirci bizzarri, dovevano avere la loro credibilità, al punto che persino Virgilio nelle Bucoliche parla di piante originarie del Ponto che hanno il potere di mutare uomini in lupo. Olaus Magnus, Arcivescovo di Uppsala, scrisse che i licantropi della Livonia diventano tali dopo aver bevuto un preparato speciale a base di birra e aver pronunciato un incantesimo specifico. Il già citato De Nynauld descrisse tre tipi di unguenti stregoneschi di cui uno procurava l’illusione di una trasformazione animale.
È interessante notare come, nel caso in cui la trasformazione venga innescata volontariamente, tramite l’utilizzo di un oggetto magico, questa possa avvenire anche in momenti diversi dalla luna piena.
Infine vi sono una serie di incidenti in cui un uomo può incorrere e che attiverebbero, secondo la tradizione, la trasformazione in licantropo. Qualche esempio, sempre dal saggio di Barbieri: “dormire in aperta campagna e a volto scoperto sotto la luna piena, ingestione o inalazione di misteriosi fiori neri che crescerebbero nei pressi dei cimiteri” o bere l’acqua licantropica, ossia l’acqua piovana raccolta nelle ombre lasciate da un licantropo sul terreno.
Ovviamente è anche possibile nascere licantropi, da un licantropo maschio e da uno femmina, ma è un accadimento raro, dovuto alla scarsità di donne licantropo (pochi infatti sanno che esistono anche le werewomen, sebbene siano state spesso assimilate alle streghe, per quanto ben più sessualmente attraenti).
In questo veloce riassunto delle cause della trasformazione ho volutamente lasciato fuori il morso, una trovata (errata a priori) introdotta in Età Contemporanea dovuta alla contaminazione con il mito del vampiro. Perché errata a priori? Beh, considerando la vorace bestialità di un licantropo e il suo scarso raziocinio, risulta facile immaginare come, con un morso, un licantropo non si limiti a una puntura bensì a strappar via pelle e ossa della vittima. Rimarrebbe ben poco da trasformare.
In tempi recenti, infine, con il diffondersi della letteratura fantasy e, in particolare, urban fantasy, sono fiorite bizzarre teorie da parte degli scrittori e sceneggiatori contemporanei, mirate a ritagliarsi un proprio spazio di originalità. Le vedremo in un apposito articolo, anticipando adesso la singolare proposta dell’autrice americana Maggie Stiefwater che, nella trilogia dei lupi di Marcy Falls, collega la trasformazione in lupo al freddo: quando arriva l’inverno, o in situazioni di freddo estremo, gli uomini mutano in lupi.
Licantropo di Luis Guerrero (Deviantart)
Posto come gli uomini diventano licantropi, vediamo come possono essere sconfitti.
Considerando la loro notevole forza, velocità e agilità, un confronto fisico per l’uomo è improponibile (già usciva sconfitto nelle battute di caccia, agli albori della civiltà), per cui deve ricorrere necessariamente a sostanze terze. I metodi più semplici sono i più brutali: decapitazione e uso del fuoco, mortale nemico dei licantropi, metodi che funzionano anche con altre creature sovrannaturali, come i vampiri. Nello specifico, la tradizione aggiunge l’uso di argento, metallo in grado di uccidere un licantropo, noto fin dall’Antichità per le sue proprietà disinfettanti e antibatteriche. Alcune versioni specifiche (influenzate dalla retorica cristiana) spiegano che il metallo deve essere benedetto o fuso da un crocifisso. In Piemonte, la leggenda vuole che la procedura di fusione debba essere eseguita la notte di Natale. Il licantropo del Borgo del Piagnaro, invece, a Pontremoli può essere sconfitto invece forandogli una mano con una lesina da calzolaio, che lo ripoterebbe allo stadio umano.
Nel caso il licantropo nasca dall’aver indossato una pelle di lupo, come nelle leggende dell’Europa Settentrionale, è sufficiente bruciare la pelle stessa (come fanno Sinfjotli e il padre nella Saga dei Volsungar).
Nemico mortale dei licantropi è anche l’aconito, pianta erbacea dai fiori violacei simili a un elmo da battaglia. Nota fin dall’Antichità per le sue virtù tossiche (tanto che akòniton in greco significa “pianta velenosa”), secondo il mito greco è nata dalla bava di Cerbero. Si è guadagnata molti nomi: “arsenico vegetale” da Plinio, Elmo di Giove, Cappuccio del Monaco e, in alcune regioni italiane, strozzalupo. In inglese è chiamato wolfsbane, ossia “bandisci lupi”.
Altri rimedi possono essere trovati nei singoli casi di lupi mannari che affollano le leggende locali della penisola italiana, come vedremo in un apposito articolo, ma argento, fuoco e aconito sono sempre le soluzioni genericamente più accettabili, che ogni cacciatore dovrebbe tenere a portata di mano nel caso in cui il proprio vicino inizi a ululare alla luna.
Bibliografia di riferimento:
“Storia dei Licantropi”, Luca Barbieri, Odoya, 2011.
“Lupi mannari e licantropia: basi mitiche, antropologiche, psichiatriche e mediche”, Gianluca Turconi, www.letturefantastiche.com
“La licantropia tra storia e leggenda”, Domenico Caruso, pubblicato su “La piana” di Palmi (RC), anno XI, n. 4, Aprile 2012.
“Vampiri e lupi mannari”, Erberto Petoia, Newton & Compton, 2003.
“Ecological and cultural diversities in the evolution of wolf-human relationships” in “Ecology and conservation of wolves in a changing world”, Luigi Boitani, Carbyn, L. N., Fritts, S. H., and Seip, D. R.(Eds.). Edmonton: Canadian Circumpolar Institute, 1995.
“The book of were-wolves”, Sabine Baring Gould, 1865.
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Bell’articolo, dettagliato e interessante!