Shameland è una storia ironica, dissacrante e spesso volgare. Mette a nudo l’indecenza del fantasy degli ultimi tempi e non ha paura di farlo nella maniera più dura e diretta possibile.
Questo disclaimer è d’obbligo sia per avvisare i deboli di cuore, sia tutti i nostri lettori non ancora in età da patente che forse è meglio che cambino articolo, prima di ritrovarsi davanti contenuti disturbanti o troppo espliciti.
È anche vero che da quando si trovano orde di fan in visibilio per il trono di spade, sembra che il sesso (esplicito), le stragi (con smembramenti) e il turpiloquio (gratuito) siano stati sdoganati nella letteratura, ma noi preferiamo avvisare lo stesso. Per questo motivo, proseguire nella lettura, rappresenta una implicita accettazione di questo avviso e dei contenuti che potreste trovare
«Per Cane Pazzo! Hip hip!»
«Hurrà!» gridò la tavolata.
«Hip hip!»
«Hurrà!»
«Si dia inizio al banchetto in onore del nostro liberatore! Colui che ha sconfitto il gigante zombi, il grande Cane Pazzo!»
Il sovrano di Vicinallpal, Saltim Bukkhy, batté le mani e l’enorme sala da cerimonie del palazzo reale fu invasa dalla servitù. I piatti avevano un odore che solleticava il naso di Cane Pazzo.
«Cane Pazzo» lo chiamò la sua vicina di posto, una stangona mora col viso da porca.
«Cazzo vuoi?»
«Hai la bava che ti cola, qui.» La donna gli pulì il rivolo con un delicato tovagliolo di seta.
Cane Pazzo si voltò verso Teschio di cazzo, che aveva voluto a tutti costi come vicino in quella cena organizzata in suo onore.
«Sembra gentile questa cosa.»
Teschio di cazzo non commentò.
Il sovrano era seduto accanto alla stangona mora, vicino a lui, Leylap, non aveva un’aria allegra.
“Forse le manca Squalo-stronzo… Manca anche a me…” si rabbuiò e toccò il ciondolo con il vitello d’oro che avevano recuperato alla palude degli zombi. “E anche tu mi manchi, cagnolina.”
Una servetta gli mise davanti un piatto coperto da un coperchio d’acciaio, quando lo tolse gli occhi gli si spalancarono per la meraviglia. Aveva davanti la coda di una lucertola del deserto, ben grigliata, su un letto di sabbia, con un profumino eccezionale.
«Glandalf ci aveva detto che ne eri ghiotto!» gridò il re per sovrastare le urla della tavolata.
«Teschio di cazzo, tu sai dov’è Glandalf?»
Ma Cane Pazzo non ricevette risposta dal suo amico.
«È negli alloggi reali che dorme, era parecchio brillo quando siete arrivati» gli rispose la stangona mora, è insieme a quello spadaccino e a quello strano vecchio.
Cane Pazzo la fissò negli occhi verdi. «Ma tu chi cazzo sei?»
La mora sorrise e si lisciò i lunghi capelli con la mano.
«Sono la figlia del re, mi chiamo Nara.»
Cane Pazzo le guardò un attimo il decolleté e poi si avventò sulla coda di lucertola. Aveva un sapore eccezionale, di erbe aromatiche e bruciato. Affondò i denti nella pelle croccante e nella morbida carne sotto, strappò un pezzo e lo ingoiò senza praticamente masticare.
«Cane Pazzo, ti va di raccontarmi come avete sconfitto la bestia della palude?» chiese Nara.
«No.»
«Se tu lo facessi, saprei come ricompensarti.» La stangona fece scivolare una mano sul cavallo di Cane Pazzo.
Lui la ignorò e mangiò con avidità la sua coda. Quando l’ebbe finita prese anche quella di Teschio di cazzo, che, a quanto pareva, non aveva appetito.
La stanza era così profumata con aromi dolci che a Cane Pazzo venne la nausea, era illuminata solo da una candela posta su un tavolo. Nara si stese su un rettangolo morbido in mezzo alla stanza, aveva insistito per accompagnarlo, ma Cane Pazzo avrebbe voluto ci fosse stata la sua cagnetta.
“Squalo-stronzo, cagnetta, quanto mi mancate…”
Posò Teschio di cazzo e il fucile sopra al tavolo e si sdraiò sul legno del pavimento.
«Cosa fai?» chiese Nara.
«Dormo.»
«Vieni qui, sciocchino.»
«Ma vaffanculo.»
«Non puoi dormire sul pavimento.»
«E tu dove dormi?»
«Ma sul letto, no?»
«Letto?»
Nara rise, scese dal letto e mise una strana bacchetta sulla fiamma della candela, la bacchetta, al posto di prendere fuoco, iniziò a fumare, Nara se la portò alla bocca e fece uscire fumo dalle narici.
«Stai andando a fuoco?»
La stangona rise ancora, Cane Pazzo odiava la sua risata del cazzo.
«Prova anche tu.» Gli porse la bacchetta fumante.
Cane Pazzo esitò, diffidente. «Ma è magica?»
«Diciamo di sì, provala.»
Cane Pazzo la prese e la osservò, aveva una parte arancione e un’altra, più lunga, bianca, che si andava consumando.
«Mettiti comodo sul letto» gli prese la mano e lo fece alzare dal pavimento, non appena fu in piedi, con una spinta lo buttò sul letto.
«Stai attenta, cogliona!»
Lei si tolse il vestitino nero, sotto non portava niente, aveva gambe lunghe e due grandi seni. Cane Pazzo si mise la bacchetta nel naso ma la sbatté subito via perché sentì un bruciore intenso alla narice.
«Sciocchino, devi mettertela in bocca» Nara si chinò a raccogliere la bacchetta premurandosi di mettere in mostra le sue grazie. Gli ficcò la bacchetta in bocca e gli slacciò la cinghia.
«Cosa fai?»
«Te l’ho detto» sorrise languida lei «devi metterla in bocca. In bocca schizza di più.»
«Cosa stai dicendo?» Cane Pazzo tossì per il fumo.
Lei gli tirò via i pantaloni, gli toccò il pene, aveva mani fredde.
«Ma sei già pronto!» esclamò. Avvicinò il viso al cazzo, aprì la bocca e Cane Pazzo le assestò un gancio dritto alla tempia. Lei ricadde indietro, stordita.
«Volevi mangiarmi il pene?»
«Ma cosa cazzo dici?»
Cane Pazzo in un lampo balzò in piedi, raccolse il fucile dal tavolo e le sparò dritto in bocca, un fiotto di sangue ricoprì il muro e il pavimento dietro di lei. Guardò Teschio di cazzo.
«Aveva ragione, in bocca schizza di più.»
Si tolse la bacchetta dalla bocca e la lanciò sul corpo di Nara. Dal corridoio provennero urla e rumore di passi, qualcosa colpì la porta della stanza, che vibrò.
Cane Pazzo si tirò su i pantaloni e indossò Teschio di cazzo, il mondo divenne bianco e nero, ad eccezione del sangue che riluceva di un rosso sgargiante, un rosso cremisi.
«Lorrreto!» gridò, la porta fu sfondata dopo altri due colpi, delle guardie in armatura fecero irruzione e Cane Pazzo aprì loro un terzo occhio in mezzo alla fronte. Il loro sangue dipinse sul muro un fiotto lungo, macchiato da parti di cervella che, dopo essersi schiantate al muro, ricadevano verso terra, lasciando la scia scarlatta del loro passaggio.
«Cane Pazzo, sono Retoric! Non sparare!»
«Lorrreto!»
Retoric comparve sulla soglia, le braccia alzate. Osservò il massacro ai suoi piedi.
«Ma cosa è successo? Cazzo, mi hai ricoperto di sangue!»
«Lorrreto!»
Cane Pazzo si leccò le labbra osservando il sangue che riluceva sul volto di Retoric.
«Che cazzo succede qui?» la voce del sovrano Saltim tuonò nel corridoio. Leylap entrò nella stanza di corsa e cacciò un urlo così acuto e prolungato che Cane Pazzo sparò un colpo sul soffitto per farla smettere.
Il sovrano entrò subito dopo, insieme a lui, una scorta di cinque guardie e il buon Dump che si puliva gli occhiali sulla veste.
Saltim scoppiò a piangere non appena vide il corpo nudo senza vita della giovane Nara. Le si chinò sopra e le diede un bacio sulla fronte.
«Cosa ti hanno fatto, piccola mia?» Rivolse a Cane Pazzo un’occhiata piena di odio. «Arrestateli, a morte tutti quanti!»
Le guardie sguainarono le spade e anche Retoric sfoderò le sue dalla schiena, con una piroetta tagliò in due parti per orizzontale due guardie. Cane Pazzo sparò a una terza in mezzo allo sterno e colpì la quarta che gli si avventò contro al volto, con il calcio del fucile. La quinta stava per colpirlo con la spada, ma bloccò il fendente a mezz’aria, la punta di una freccia che gli spuntava dalla gola. Si accasciò a terra con un rantolo.
«Vi farò impiccare tutti!» sbraitò il re, Cane Pazzo stava per sparargli ma Leylap gli abbassò la canna del fucile.
«No! Cattivo, Cane Pazzo!»
«Lorrreto?»
«Dobbiamo prendere Glandalf e andarcene alla svelta da qui!» disse Dump mentre stava ricaricando la balestra. «Seguitemi! Conosco a memoria la piantina di questo castello!»
«Alla forca! Sentirete ancora parlare della grande dinastia dei Bukkhy!» gridò re Saltim alle loro spalle.
Dump li condusse senza indugi dallo stregone, che dormiva beato in una delle stanze al primo piano, sebbene il vecchio avesse delle gambette tozze e corte correva veloce. Una volta dentro la camera, barricarono l’ingresso con il tavolo e aprirono la finestra.
«È un bel salto» commentò Retoric.
«È la nostra unica via di fuga!» disse Leylap «ma dobbiamo svegliare lo stregone!»
«Lorrreto.» Cane Pazzo posizionò il fucile proprio accanto all’orecchio dello stregone. Sparò. Il proiettile si conficcò nel cuscino e il vecchio fece un salto così impetuoso che si ritrovo seduto a bordo del letto in men che non si dica.
«Per le palle di Morgana! Cosa succede?»
La porta tremò.
«Aprite e non vi ucciderò lentamente!» Saltim non si dava per vinto.
«Dobbiamo scappare, Glandalf, aiutaci!» lo supplicò Leylap.
«Signore, ma non avevate giurato sui vostri antenati che prima di ucciderli li avreste fatti soffrire come cani?» disse una voce sconosciuta oltre la porta.
«Tu devi stare zitto.» La porta tremò di nuovo. «Dicevo, aprite, e morirete velocemente e in pace. Non vi taglierò le dita una ad una, e non le darò in pasto agli altri di voi mentre vi inietto in vena le vostre feci. Non farò nulla di tutto questo, basta solo che apriate.»
Retoric prese il tavolo e lo spostò di qualche centimetro, prima che Leylap lo bloccasse.
«Ma cosa fai?»
«Non hai sentito? Dice che non ci ucciderà male.»
«Fate silenzio!» tuonò Glandalf e tutti si acquietarono. «Ci sono» sentenziò il saggio stregone dopo diversi secondi di silenzio, «evocherò un animale in grado di portarci via di qui in volo.»
A Retoric brillarono gli occhi. «Non mi dire che evocherai il magnifico ippogrifo?»
«Meglio, molto meglio, amico mio.» Glandlaf si accese la pipa, guardò ognuno di loro con aria solenne e soffiò un cerchio di fumo in alto.
«Evocherò un ippopotagrifo.»
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