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Sangue Virginale – Parte I

Jasmine era alle prese con il fascicolo già da due ore. Leggeva e rileggeva i particolari nella speranza di riuscire a trovare qualcosa che era sfuggito agli altri. Era entrata nella squadra solo da due mesi e non vedeva l’ora di fare bella figura con i colleghi, ma non era l’unica ragione che la spingeva a non tornare a casa a riposare.
Era passata meno di mezza giornata dalla sparizione della terza ragazza, e secondo le statistiche erano ancora in tempo per trovarla viva, per le altre due le speranze erano ormai vane.
Erano tutt’e tre diverse, capelli, occhi, statura. Non riusciva a capire il nesso, non si conoscevano, non andavano alla stessa scuola né avevano lo stesso lavoro.
Era possibile che questo serial killer le scegliesse a caso? Strano, ma possibile.
Come si può catturare un tizio che agisce a caso?
Non si può a meno che lui non faccia qualche errore e lasci qualche traccia, ma non erano stati così fortunati. I rapimenti erano avvenuti in posti diversi della città e Berlino è abbastanza grande da poter nascondere le vittime senza che nessuno se ne accorga.
I suoi occhi si fermarono su un particolare che fino ad allora le era parso insignificante, erano tutt’e tre nubili e a quanto pareva non frequentavano nessuno. Dalle deposizioni riguardo le precedenti vittime risultava che erano ragazze molto timide e religiose.
Un’idea pazza le passò per la testa e decise di appurare se avesse ragione. Prese la borsa e si fiondò fuori dall’ufficio urlando al suo capo che andava a controllare degli indizi.
Dopo circa tre ore aveva la sua risposta, erano tutt’e tre vergini. Incredibile trovarne al giorno d’oggi, ma il serial killer era riuscito a trovarne addirittura tre. Non che lei avesse qualcosa da ridire a quelle ragazze visto che si trovava nella stessa situazione, ma la sua non era stata una scelta di fede, semplicemente non aveva ancora trovato quello giusto e un padre e due fratelli gelosi non avevano contribuito.
Ad ogni modo, questo suo status poteva tornare utile al suo scopo. Giunta alla stazione di polizia andò direttamente nella stanza del suo capo e chiuse la porta.
Rupert era un uomo sulla cinquantina con i capelli sale e pepe e due incredibili occhi azzurri. La guardava perplesso, mentre lei si avvicinava alla scrivania.
“Ho trovato un nesso tra le ragazze rapite” disse tutto d’un fiato.
“Ottimo!” rispose lui sostituendo l’espressione perplessa con una di interesse.
“Erano tutte vergini.”
Il capo strabuzzò gli occhi.
“Fottuto pervertito!” disse stringendo il pugno.
Il capo era anche padre di due bellissime ragazze di quattordici e dodici anni, Jasmine pensò che questa situazione lo preoccupasse personalmente immaginando una delle sue figlie in mano al serial killer.
“Ho un’idea per prenderlo, spero che me lo farà fare”
Rupert socchiuse gli occhi guardingo.
“Posso fare da esca.” Arrossì vistosamente e abbassò gli occhi.
Fortunatamente il suo capo non si mise a ridere e dopo un colpo di tosse per levarsi dall’imbarazzo le disse che era fattibile.
Ci misero quasi due ore per fare un piano che potesse dare i suoi frutti. Jasmine era riuscita a trovare un’altra debole linea che univa le tre donne, ovvero un gruppo di preghiera che frequentavano ogni tanto. Si presentò lì vestita in maniera casta e virginale, in modo da dare subito l’immagine giusta.
Alla riunione c’erano più di venti persone, tra donne e uomini. Padri e madri di famiglia, ma anche ragazzi più giovani di lei e qualche coetaneo. Dovette sorbirsi un’ora e mezza di discussioni teologiche a cui non mancò di intervenire con commenti allusivi alla sua situazione di vergine.
Non fu facile, ma cercò di non pensare al fatto che ora più di venti persone sapevano che lei fosse intoccata, ma che il rapitore ormai doveva aver compreso che era una potenziale vittima. Così, come da accordi con il resto della squadra, tornò a casa da sola, utilizzando i mezzi pubblici per dare modo al loro target di pedinarla.
Aveva addosso un piccolo microfono in modo da poter essere sempre in contatto con i suoi colleghi.
Jasmine aveva fretta che accadesse qualcosa e rimase profondamente delusa quando il primo giorno dopo l’incontro non successe nulla. Nel frattempo le ricerche continuavano, nella speranza di trovare l’ultima ragazza ancora viva.
Fu il terzo giorno, quando ormai aveva perso le speranze, che successe.
Stava rientrando a piedi dopo aver fatto qualche compera, per sicurezza non stava andando in ufficio nel caso in cui fosse pedinata, quando qualcosa la colpì violentemente al capo. Non ebbe neanche il tempo di comunicare qualcosa nel microfono, il luogo era l’ideale, un parcheggio vuoto dietro un grande supermercato, nessuno avrebbe notato nulla.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Si ritrovò con un bel mal di testa e in un atrio sotterraneo poco illuminato. Era stesa a terra, sul pavimento lurido in cui a stento era possibile individuare le mattonelle che in origine dovevano essere bianche.
Quando riuscì a mettere bene a fuoco intorno a lei, si accorse che doveva essere una stazione della metropolitana U-Bahn in disuso, probabilmente una delle stazioni fantasma non riattivate dopo la caduta del muro.
C’erano le gallerie completamente buie che si affacciavano nello spiazzo su cui stava Jasmine, ormai in piedi, come occhi neri puntati su di lei. La fioca luce era fornita da lampade ad olio risalenti alla seconda guerra mondiale almeno, e proseguivano verso uno dei tunnel.
Intorno a lei non c’era nessuno, decise quindi di seguire la galleria illuminata, non era certo un’idea geniale, sembrava proprio una trappola, ma era pronta a qualsiasi evenienza.
Ovviamente il microfono non dava segni di vita, sperò che almeno il GPS funzionasse.
La galleria era piuttosto piccola rispetto alle altre, doveva essere alta solo tre metri, probabilmente una di quelle di servizio.
A terra, oltre ai topi che dovevano essere stati modificati geneticamente per quanto erano enormi, poteva vedere vestiti vecchi, qualche borraccia militare e altri resti risalenti sicuramente alla guerra. Sapeva che nelle gallerie avevano trovato rifugio migliaia di persone durante i bombardamenti.
Le lampade erano poggiate a terra, distanti una decina di metri l’una dall’altra, guardando avanti poteva vedere la galleria che girava verso destra e poco dopo si apriva in una stanza molto ampia.
Jasmine rimase nel tunnel a sbirciare la stanza senza entrarvi.
C’erano lampade poggiate ovunque, la stanza era stata ammobiliata come un salotto dell’orrore, insieme a tre divani all’apparenza molto comodi c’erano due tavoli a cui erano legate due donne. Una terza era chiusa in una gabbia metallica alta poco più di un metro che la costringeva a stare bocconi.
Al di sotto dei tavoli, a destra e sinistra, erano stati collocati dei contenitori pieni di un liquido scuro. Scrutando meglio si rese conto con orrore che era sangue, il sangue delle due donne.
Non si vedeva nessuno nella stanza, quindi decise che doveva agire. Acquattandosi si diresse al tavolo più vicino, riconobbe immediatamente la donna, era la prima che era stata rapita e per lei non c’era niente da fare, era morta. Stessa cosa per l’altra, la seconda donna scomparsa.
Si affrettò verso la gabbia, la donna all’interno era sveglia e la guardava con occhi sgranati senza emettere neanche un suono. La gabbia aveva un lucchetto, fortunatamente una delle prime cose che ti insegnano all’accademia è ad aprire i lucchetti e le serrature con qualsiasi cosa. Prese una forcina dai capelli e si mise all’opera.
Sentì il primo gancetto che si apriva, ne mancava uno o due, ma il verso della donna accovacciata davanti a lei, le disse che non avrebbe fatto in tempo.
Sospirò alzando lentamente le mani, sapeva che il rapitore si trovava alle sue spalle, era la legge di Murphy e ne era sempre stata vittima.
Si volse lentamente e rimase senza parole, davanti a lei c’era un uomo bellissimo, doveva avere tra i trenta e i quarant’anni, profondi occhi neri e capelli biondi. Inusuale accostamento. Sicuramente superava il metro e novanta ed aveva un fisico da nuotatore, ben delineato dall’abbigliamento che indossava.
La stava guardando divertito.
“Puoi abbassare le mani, non saresti comunque un problema per me.”
Con indifferenza gli volse le spalle e si avvicinò ai tavoli.
Jasmine guardò con orrore lui che prendeva uno dei contenitori e cominciava a sorseggiarne il contenuto. Il terrore le attanagliò le viscere, oltre che serial killer era anche un pazzo depravato.
Cercando di non farsi notare cominciò a indietreggiare verso il muro. Aveva appena poggiato la schiena quando un secondo uomo, altrettanto bello e imponente entrò nella stanza.
La degnò di uno sguardo sdegnato prima di avvicinarsi all’altro.
“Appena hai finito, sostituisci queste due con le altre. I corpi bruciali.”
Stavano parlando di lei e dell’altra prigioniera, non aveva nessuna voglia di finire su quel tavolo. Cercò con lo sguardo una possibile via di fuga, l’ultimo arrivato era entrato in scena dal passaggio che aveva usato anche lei quindi era rischioso procedere da quel lato, potevano essercene altri. Scorse una scala che dava su un piano rialzato su cui si affacciava una porta.
Non c’erano né finestre né bocchettoni di ventilazione, almeno non grandi a sufficienza per permetterle di passare.
Notando del movimento volse di nuovo lo sguardo verso i due rapitori e rimase di sasso. Il bel biondone la fissava con occhi che erano diventati gialli, in cui era ben visibile la pupilla allungata propria dei rettili. Sembravano rilucere nella luce soffusa. Quando le sorrise due lunghe zanne divennero visibili in un bagliore bianco. Quella visione la terrorizzò talmente tanto, che senza pensarci cominciò a correre verso le scale e il piano rialzato. Aveva appena messo il primo piede sul pianerottolo quando il biondo gli apparve davanti tagliandole la via di fuga. La guardava divertito, come a sfidarla a fare di meglio.
“Cosa sei?” sussurrò Jasmine.
Una profonda risata si sprigionò dalla creatura prima che tornasse a osservarla in silenzio.
“Niente che vorresti sapere” rispose con voce profonda, eco di mondi lontani e misteriosi.
Jasmine era terrorizzata, non stava andando come avrebbe dovuto.
“Kios smetti di giocare con il cibo. Dobbiamo trovarne almeno altre due prima della partenza.” La voce del secondo uomo la scosse. Non si era ancora arresa, non aveva nessuna voglia di fare da spuntino a quelle creature. Con un salto agile scavalcò la ringhiera e si buttò di sotto dove atterrò rotolando. Non si diede neanche il tempo di guardarsi attorno prima di correre con quanta potenza aveva in corpo verso la galleria, rimaneva la sua unica speranza.
Non aveva fatto nemmeno quattro metri quando si senti afferrare da una mano gigante e sbattuta al muro. La testa prese a girarle e pian piano il campo visivo si fece più stretto, mentre le confuse immagini di enormi ali simili a quelle dei pipistrelli e una zampa grande quanto lei munita di artigli le vorticavano davanti, fino al buio completo.

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Lo Schiavo di Sangue
Sangue Virginale - Parte II
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Oceanografa a tempo perso, grande lettrice che non disdegna dai classici agli ingredienti dei succhi di frutta. Nutre una grande passione per il Fantasy e in questo periodo, in particolare per il Weird. Avendo personalità multiple adora i GDR e sopratutto i GRV. Ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2008, ma è ancora in cerca di un editore che la sopporti.
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