Casa non gli era mai sembrata così lontana. Quando vi giunse non aveva più fiato ed era paonazzo in viso, i suoi capelli biondo miele erano peggio del solito, sparati in tutte le direzioni.
“Mamma!” urlò entrando in casa.
Vide la madre al centro del corridoio sobbalzare.
“Per tutte le padelle! Tom mi hai fatto prendere un colpo! Che ci fai qui?”
Tom si accasciò con le spalle al muro cercando di riprendere fiato e solo dopo qualche minuto riuscì a raccontare alla madre cosa era successo. Lei lo guardava pensierosa, ma non sembrava preoccupata.
“Per prima cosa” disse quando lui ebbe finito “mi devi fare una promessa. Cerca di non perdere più la pazienza in mezzo alla strada, oppure dove qualcuno possa vederti”
Tom guardò la madre come se le fosse spuntata un’altra testa.
“Mamma, forse non hai capito. Non sono io! Potrebbe essere un Poltergeist! Ho visto un film una volta in cui una di queste entità sbatacchiava al muro un ragazzo fino a spezzargli l’osso del collo!” aveva finito la frase quasi urlando, con il panico negli occhi e le labbra che tremavano.
Già si immaginava sbattuto contro le pareti della sua stanza, il sangue sui muri e la sua testa piegata in una posizione innaturale. Gli vennero i brividi.
La madre gli sorrise.
“Sono sicura che nessuno ti sbatterà contro un muro rompendoti l’osso del collo. Qualsiasi cosa sia non ha permesso a quei ragazzini di farti del male, vero?”
Tom annuì.
“A questo proposito dovrei andare a parlare con il Preside, dovrebbe prendere provvedimenti. Queste cose non dovrebbero accadere!”
“Mamma” chiese Tom quasi implorando “possiamo rimanere concentrati sul mio problema?”
“Ah si, il tuo problema. Sono quasi certa che non ti succederà nulla. Ora torna a scuola, anzi ti accompagno io, così se vediamo quei bulli me li indicherai e io andrò a parlare con i loro genitori!”
Si era già alzata andando verso la porta dove stava recuperando le chiavi ed il cappotto.
Tom era sconcertato, ma anche frustrato.
La madre non stava dando l’attenzione giusta al suo problema. Si rese conto che non stava tremando più, con un sospiro si alzò dal divano prendendo al volo lo zainetto.
Quella giornata era cominciata bene, ma presto si era trasformata in un inferno. Passò la mattina ed il pomeriggio con la testa tra le nuvole, cercando di dare una spiegazione logica a quanto era successo. Sua madre non poteva aiutarlo, quindi si sarebbe aiutato da solo. D’altronde il detto diceva aiutati che Dio ti aiuta, no?
Fece delle ricerche in internet sui fantasmi e sulle possessione, ma soprattutto sui Poltergeist. Quando andò a letto era più terrorizzato di quanto lo fosse mai stato. I sintomi, come li chiamava lui, coincidevano e tutti erano concordi nel dire che l’entità non si sarebbe arresa facilmente. In genere, tutto finiva con la morte del posseduto.
Rimase a letto per ore fissando il soffitto, con la coperta alzata fino alle orecchie e tutti i sensi all’erta. Ad ogni scricchiolio sobbalzava e nascondeva la testa.
Non aveva idea di quando si fosse addormentato, ma in un’ora imprecisata della notte doveva essere successo perché si svegliò di soprassalto sentendosi sollevato dal materasso.
Ed era così.
Il panico gli si insediò nelle ossa, mentre si rendeva conto di essere a circa un metro e mezzo dal letto. Cominciò a tremare violentemente e un vento potente si alzò dentro la sua stanza. Dapprima si alzarono i fogli sparsi sulla scrivania, che cominciarono a vorticare intorno a lui, poi le scarpe, i vestiti, i giocattoli che teneva sull’armadio, i libri, finché anche la sedia fu alzata in aria e lui era al centro del vortice.
I capelli gli sferzavano la faccia e le lacrime di terrore venivano trascinate via non appena facevano capolino dagli occhi.
Si rese conto che stava urlando solo quando vide la porta aprirsi e sua madre sulla soglia con uno sguardo concentrato. Si permise di notare che la madre non era terrorizzata.
Ma fu un pensiero veloce, era troppo preso dal suo inferno personale. Le ante dell’armadio cominciarono a sbattere violentemente e lui si rannicchiò in posizione fetale singhiozzando.
Aveva perso la cognizione del tempo rannicchiato in quella posizione a mezz’aria, sarebbe potuto rimanere lì giorni, mesi e non sarebbe cambiato nulla. Aveva il sudore freddo che gli scendeva lungo la schiena, le membra tremavano e nonostante gli occhi chiusi riusciva a vedere cosa stava accadendo intorno a lui. Era talmente spaventato che l’aria gli entrava in striduli rantoli nei polmoni. Ad un tratto, finalmente, riuscì a sentire le parole della madre.
“Tom!” urlava sopra il rumore del vento per farsi sentire “Tom, calmati bambino mio, più ti agiti più aumenterà!”
Quella frase lo riscosse dai suoi singhiozzi, chissà da quanto stava urlando, forse ore.
Che senso aveva? Volse lo sguardo verso sua madre.
Teneva saldamente la porta in modo che non la sbattesse fuori, la camicia da notte le sventolava intorno al corpo, così come i capelli lunghi e dello stesso colore dei suoi, ma quello che lo colpì furono gli occhi.
Erano calmi e gli comunicavano dolcezza.
Lui fece di no con la testa, per far capire che non aveva senso quello che stava dicendo.
“Tom, ascoltami. Questa cosa” indicò con la mano le cose che volavano intorno a lui “sei tu! Calmati, guardami e respira con me.” Urlava ancora per farsi sentire, ma i suoi profondi occhi castani lo avevano catturato e lui cominciò a fare come lei diceva.
La madre stava mimando il gesto di inspirare lentamente ed espirare e Tom si concentrò su quella semplice azione.
Pian piano si rese conto che il vento si stava calmando, le ante non sbattevano più e gli oggetti stavano cadendo a terra uno alla volta come cadde lui sul materasso, rimbalzando un paio di volte prima di fermarsi del tutto.
Rimase lì steso, con gli occhi sgranati continuando a respirare piano.
Presto sentì la mano calda della madre che gli accarezzava la testa.
“Sei stato bravissimo amore mio, ora però dormi. Domani ti spiegherò ogni cosa, lo prometto.”
Detto ciò iniziò a sussurrare una nenia e gli occhi gli si fecero pesanti, finché non si addormentò.
Quando si svegliò il mattino dopo, sua madre era lì accanto, seduta sulla sedia a rammendare dei calzini. Corrugò la fronte guardandola.
“Mamma che ci fai qui?” chiese con un filo di voce, gli faceva male la gola come se avesse urlato per ore.
Di colpo tutto gli tornò in mente e si sedette sul letto con uno scatto. La testa prese a girare e la madre gli pose la mano sullo sterno applicando una lieve pressione, per farlo stendere.
“Calmo, va tutto bene. Resta ancora un po’ disteso e resta calmo.”
Restare calmo? Tom si accorse che stava sgranando gli occhi e il fiato cominciava a uscire velocemente dalla bocca, la crisi di panico stava arrivando.
La madre mise a terra quello che aveva in mano e dopo essersi seduta sul letto cominciò ad accarezzargli il viso.
“Non c’è niente di cui avere paura. Quello che è successo è strano, lo so. Ma non è pericoloso per te.”
Tom guardava quegli occhi dolci che tante volte lo avevano consolato e annuì piano attendendo la spiegazione.
“Non sono sicura del perché ti stia succedendo, ma so che poteva succedere. Vedi tuo padre ….” Lei esitò.
Strano che parlasse del padre, non parlavano mai di quell’argomento. Tom era cresciuto solo con lei perché lui se n’era andato quando era ancora era piccolo. Li aveva abbandonati tredici anni prima e non era più tornato.
“Cosa c’entra quell’uomo in tutto questo?” chiese in malo modo.
La madre sospirò.
“Devi sapere …” proprio in quel momento il telefono squillò.
La madre si alzò dal letto riluttante per spostarsi nel corridoio dove rispose. Tom era perso nei suoi pensieri, ma quando sentì che la madre si innervosiva prestò attenzione.
“E’ mio figlio! Tu non hai nessun diritto!” rimase in ascolto “si, come lo sai?” la madre sbuffò “si, certo. E questo significa che lo aiuterai? Perché?”
Tom cominciava ad innervosirsi, ma rimase morbosamente in ascolto.
“Come se avesse mai avuto importanza per te. Dimmi qualcosa che non so.”
Tom avvertì la madre che tratteneva il fiato e poi la sentì emettere una frase con una voce leggermente incrinata.
“Gli spiriti si stanno risvegliando … ” sembrava una domanda ed un’affermazione insieme.
“Capisco, si. Hai ragione. Oggi stesso saremo lì.”
La sentì chiudere il telefono senza neanche un saluto e poi sospirare pesantemente, ma quando rientrò nella stanza gli sorrideva.
“Tom su alzati, vado a prepararti la colazione, poi andremo a fare un piccolo viaggetto”
“Mamma … ” si sforzò di chiedere, di far uscire il fiato dalla bocca.
“Tutto a tempo debito. Ora preparati e fai anche una borsa con un paio di cambi, non so quanto rimarremo fuori.”
Detto questo chiuse la porta e la sentì scendere in cucina.
Tom rimase ancora qualche minuto con lo stomaco che si attorcigliava.
Aveva una pessima sensazione.
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