“I mostri nel nostro armadio e nella nostra mente sono sempre lì nell’oscurità, come la muffa sotto il parquet o dietro la carta da parati, e ce n’è tanta, di oscurità, una riserva inesauribile. L’universo possiede un’ampia scorta di notti.
Da che cosa abbiamo bisogno di essere messi in guardia?
Ognuno di noi ha i suoi piccoli grilletti, qualcosa capace di scatenare immediatamente uno choc.”
L’ultima raccolta di racconti di Neil Gaiman, edita da Mondadori e uscita in Italia il 4 ottobre 2016, comincia con questo avvertimento: le storie contengono grilletti. Lo si capisce già dal titolo: “Trigger warning” è un’espressione del web che indica una frase usata all’inizio di articoli, post o blog che qualcuno potrebbe ritenere offensivi o ansiogeni. Il sottotitolo originale del libro infatti è Short Fictions and Disturbances, quasi a voler sottolineare l’inquietudine che, a detta dell’autore, alberga in queste storie rispetto alle raccolte precedenti.
La prefazione è d’impatto, Gaiman sa mettere le parole al posto giusto per far sentire il lettore sotto tiro e i continui riferimenti a mostri, reali o apparenti, lasciano credere che con questa raccolta lo scrittore ci stia invitando, a nostro rischio e pericolo, a varcare la soglia delle sue fantasie più oscure. Mi sono preparata al peggio e ho cominciato la prima storia.
Chi ha già avuto occasione di leggere i racconti di Gaiman sa sicuramente che ci sono alcuni motivi ricorrenti nelle sue storie, e tra questi c’è il turista (o il viaggiatore) che si ritrova, più o meno coscientemente, ad ascoltare una leggenda del posto e a esserne attratto; per questa ragione risulta abbastanza facile intuire le intenzioni dell’autore alle prese con il labirinto lunare, un tempo luogo di ritrovo e di cui ora rimangono solo le ceneri. Lo stile scorre velocemente e tutto sembra molto tranquillo finché i primi grilletti cominciano ad apparire e, sebbene non mi abbiano colto di sorpresa, danno un tocco molto dark al finale.
Alzi la mano chi a quindici anni non aveva un/a fidanzato/a immaginario/a! Per tutti gli adolescenti in crisi, inventare una ragazza da descrivere agli amici e farla sparire in circostanze misteriose è stato perlomeno un’idea da provare per evitare di rimanere l’unico single del gruppo. Ma cosa succederebbe se la vostra fidanzata di fantasia fosse avvistata nella vostra città, e venisse addirittura a trovarvi? Questa storia prova a rispondere a questa domanda in modo originale e con un finale decisamente inaspettato.
Racconto molto breve, ma con tutti gli elementi essenziali: un’ambientazione grigia, una donna che parla sola e racconta l’avventura del figlio. Triste, ma non particolarmente degna di nota.
Illustrazione di “La verità è una grotta sulle montagne nere…” di Lauren Newburg
L’ambientazione di un fantasy classico, un nano e un brigante in viaggio verso una grotta dell’Isola delle Nebbie. Sembra la ricetta per la solita avventura, ma entrambi i personaggi, forse tra i migliori che popolano queste storie, hanno molti segreti da svelare, alcuni mai svelati, altri che non sapremo nemmeno noi, ma che possiamo immaginare pian piano nella scalata verso la caverna che custodisce enormi ricchezze. Ci sono veramente queste ricchezze? La verità è solo all’interno della grotta. Alcune parti possono risultare grottesche, ma fino a questo racconto ancora non scatta nessun grilletto.
Chi è particolarmente suscettibile potrebbe invece sentire il suono del grilletto in questa storia, breve ma sufficiente a ringraziare le recensioni degli alberghi e degli affittacamere che circolano su Internet;se non esistessero si potrebbe incappare in qualche brutta avventura, come quella che capita al disgraziato protagonista.
Storia decisamente bizzarra. Più che una vera e propria storia, un dialogo tra il protagonista e sua madre e una riflessione sulla definizione di “avventura”. Quante volte usiamo questo termine impropriamente, riferendoci magari soltanto alla fila delle Poste? Credo che Gaiman volesse parlare di questo e mostrare cosa significhi realmente vivere un’avventura. Il motivo è nobile, ma non sono in grado di dire se il risultato mi sia piaciuto.
Questa storia mi ha lasciato decisamente perplessa. E non tanto l’esperimento stilistico che Gaiman si concede (molto originale, ma, allo stesso tempo, molto rischioso), che, alla fine dei conti, potrei dichiarare riuscito, ma per il contenuto in sé che, a mio parere, rasenta il ridicolo. Che non fosse una storia seria, lo si capisce dal punto 24, ma, man mano che si ricompongono i tasselli, si inizia a dubitare che abbia un minimo di senso.
Un racconto per ogni mese, poco più di una pagina ciascuno. C’è un po’ di tutto: riferimenti storici, storie che sembrano uscite dalla penna di Rodari, un igloo di libri, due genitori litigiosi, lettere e anelli misteriosi, un genio adorabile, una miracolosa guarigione, un barlume di speranza. Qualche leggero riferimento lega il racconto al proprio mese di appartenenza; tutto sommato, una raccolta godibile.
Gli amanti di Sherlock Holmes avranno a cuore questo racconto più di quanto l’abbia avuto io. Non che la mia deplorevole ignoranza riguardo l’investigatore più famoso del mondo mi abbia impedito di apprezzare una storia tutto sommato originale, ma sicuramente ho perso qualche riferimento per strada, sebbene io sia abbastanza convinta che Gaiman abbia rispettato in tutto e per tutto quello che ci si aspetta da un personaggio complesso come Holmes.
Come spiega all’inizio del libro, questo racconto nasce come omaggio a uno scrittore e a un amico. Un omaggio carino e divertente, dai toni molto leggeri ma, a mio parere, con un avvertimento profondo di base: le cose si dimenticano, e a volte anche le persone. E quando tutti dimenticano, quella cosa o quella persona non è mai esistita. L’autore prende in prestito l’idea di Fahrenheit 451 per ricordarci di ricordare.
Lo ammetto, non volevo credere che la sindrome di Gerusalemme esistesse veramente. So che Gaiman si documenta molto per le sue storie e che difficilmente avrebbe parlato di una sindrome inesistente, eppure sotto sotto ci speravo. È un po’ ridicolo che, tra molte storie lugubri, l’ansia mi prendesse per una storia dai tratti normali e in un certo senso giustificabili, da cui escono tutti indenni, ma a volte le storie reali sono molto più inquietanti di quelle di fantasia. Parlando di difetti, ho trovato questo racconto molto lento.
Cosa c’è di più bello di una storia prima di andare a letto? E se a chiedervela è un bambino, non vi viene l’impulso di farla raccontare a lui? Al protagonista quest’idea è venuta e la storia, che mi ha ricordato Tim Burton e Coraline, potrebbe essere il grilletto decisivo per chi, al contrario di me (ho già detto che Gaiman ha dei temi ricorrenti?), non intuisce cosa si nasconde al piano di sopra. In realtà credo che l’idea di base, che sia una sorpresa o meno, possa a pieno diritto rientrare nelle “disturbances” di cui parla il sottotitolo.
I portali racchiudono sempre delle sorprese: dove ci sono i portali c’è sempre tanta, tanta magia, e molto probabilmente una fuga. Una storia carina, che parte in un normalissimo mercatino delle pulci e trasporta in un universo sul punto del collasso; ho particolarmente apprezzato gli oggetti magici fuori dal comune.
Le invenzioni, si sa, possono essere buone o cattive a seconda dell’uso che se ne fa; ma in fondo, gli inventori non sono poi così importanti, perché lo siamo un po’ tutti. Che mondo sarebbe senza disinventori, invece? Ce lo spiega in questo racconto Obediah Polkinghorn, che è disinventore di professione da molti anni, ma che non sa più cosa disinventare. Anche questo a mio avviso è un personaggio particolare, che non mi dispiacerebbe rivedere in qualche altra storia.
“Che ora è, signor Lupo?” è un gioco diffuso tra i bambini anglofoni, simile al nostro “Lupo mangia frutta”, ma Gaiman lo riutilizza in una storia tetra con protagonista Il Dottore (i fan di Doctor Who apprezzeranno). Questa volta lo scenario è inquietante: tutti gli esseri umani si sono estinti, e tocca a lui fare un salto indietro nel tempo e capire chi si trova sotto la maschera del Signor Lupo, del Signor Gatto e della Signora Coniglio.
La prima delle due fiabe riadattate da Gaiman è semplicemente la classica fiaba della sorella buona e di quella cattiva riadattata ai nostri tempi, dove gli individui da aiutare, invece di vecchine e animali, sono prostitute e spacciatori. Piuttosto banale, se non fosse per il marchio crudo del realismo finale.
La vita può essere dura per chi ha tutto e non ha nulla da rischiare. A volte, rischiare la morte certa per salvare una sconosciuta, pur essendo consci delle trappole, è più bello di rimanere chiusi nel proprio palazzo. È un bel racconto, con una morale a volte un po’ troppo esposta e ridondante, ma decisamente motivazionale, con i giusti riferimenti a David Bowie.
Illustrazione de “Il ritorno del sottile duca bianco” di © Yoshitaka Amano
Sono indecisa se considerare questa lettera estremamente romantica o ai limiti dello stalking. Chi scrive è una statua (vera o finta? L’autore si diverte a confondere le idee) perdutamente innamorata di una ragazza, che decide di fare il primo passo. Buona, anzi, molto buona l’idea, ma di fatto la narrazione è difficile da digerire.
Preceduta dalla poesia Il rispetto delle formalità (a quanto pare, la maleducazione è diffusa in ogni tempo e in ogni luogo), L’addormentata e il fuso è, come si può ben intuire, una rivisitazione della classica fiaba La bella addormentata, ma con un eroe d’eccezione e un colpo di scena decisamente inaspettato.
Conclude l’antologia, come in Cose fragili, un racconto in cui ritroviamo Shadow, il protagonista di American Gods. E, come per Cose fragili, io sono andata in brodo di giuggiole nel poterlo ritrovare e passare ancora un po’ di tempo con lui. Devo dire però di averlo ritrovato un po’ spento: ho apprezzato molto di più il precedente racconto (Il sovrano del Glen) che questo, dalla struttura ormai classica e prevedibile ma, soprattutto, uno Shadow decisamente passivo. La storia di contorno, infatti, è apprezzabile e anche l’elemento di disturbo presenta buoni colpi di scena (con tutti i riferimenti che tornano al loro posto), ma il nostro eroe, invece di esser maturato nel tempo, sembra essere tornato indietro, ai tempi dell’inizio di American Gods, e quasi incosciente di tutte le avventure che ha passato prima di questa. Ha un momento di ripresa, ma, tutto sommato, sono rimasta un po’ delusa.
È difficile dare un’opinione unica su una raccolta di racconti; per questo motivo ho voluto spendere due righe per ognuno. Gaiman è sempre Gaiman e ha, nello stile e nei contenuti, un modo tutto suo di catturare il lettore, oltre a una fantasia praticamente inarrestabile. Data la prefazione, credevo che i racconti contenessero qualcosa di più “pericoloso”, ma mi sento di dire: “state tranquilli, non c’è nulla di pauroso”. È una buona lettura, molto raramente lo stile è scadente e, nel complesso, le storie sono più che godibili; confesso di preferire però come raccolta Cose fragili, che secondo me contiene delle vere e proprie perle. Anche le poesie, che l’autore ama inserire, sono storie a se stanti e, anche se ritengo che vadano sempre lette in lingua originale, possono risultare interessanti. Di Gaiman apprezzo il sorriso che mi fa venire quando capisco in che direzione vuole andare o, al contrario, quando ho completamente sbagliato strada ma lui mi dimostra che in realtà tutto torna alla perfezione. Come al solito i finali sono i suoi punti forti e raramente deludono. Un’altra cosa che apprezzo delle sue antologie è, oltre alla prefazione, la sezione dedicata all’origine di ogni racconto: ogni informazione in più sull’idea, su come è nata e in quanto tempo è stata sviluppata, per me aggiunge un valore in più alla storia stessa.
Tirando le somme, se cercate una lettura veloce, ben scritta, e qualche storia originale, Trigger Warning potrebbe essere una buona idea, ma in definitiva non lo porrei tra le opere più riuscite di Gaiman; se volete avvicinarvi a questo autore, iniziare con questa raccolta non è a mio avviso il modo migliore; se invece già lo conoscete potrebbe rivelarvi qualcosa in più su di lui, ma niente paura, potete leggerlo anche a luci spente.
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