Dopo la recente pubblicazione de I reietti dell’altro pianeta, Mondadori riporta in Italia un altro libro di Ursula K. Le Guin: Il pianeta dell’esilio (con una copertina davvero figa). Si tratta di una delle prime opere della scrittrice (pubblicato nel 1966), parte del cosiddetto ciclo Hainita; tuttavia il romanzo può essere letto in modo indipendente, poiché ci sono solo deboli collegamenti tra le varie storie.
Titolo | Il Pianeta dell’Esilio |
Autore | Ursula K. Le Guin |
Data | 1966 |
Pubblicazione italiana | 1979/2016 |
Editore | Nord/Mondadori |
Traduttore | Riccardo Valla |
Titolo originale | Planet of Exile |
Pagine | 160 |
Reperibilità | Reperibile online e in libreria |
Il pianeta Werel è una delle tante colonie terrestri della Lega dei Mondi: lo scopo della missione è fare amicizia con i nativi e coinvolgerli nella Lega, per far fronte a un nemico non meglio specificato. Tuttavia il nemico è arrivato, e una parte dei terrestri è ripartita (portandosi dietro l’ansible, lo strumento che permette la comunicazione tra mondi), un’altra parte è rimasta, in attesa: nessuna nave è mai ritornata, condannando i rimasti all’esilio. Nel periodo in cui si svolge la storia, l’inverno sta arrivando: ed è un inverno particolarmente lungo (che dura 15 anni). Ma non c’è solo questo da affrontare: i Gaal, un popolo barbaro che vive a Nord, costituito da varie tribù, sono stati riuniti da un capo e ora si dirigono in massa verso Sud (una trama che non può non richiamare Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin). Soltanto l’unione e la collaborazione tra i terrestri e gli hilf, un popolo nativo di natura nomade, può dare speranza per affrontare questa nuova minaccia.
Lo stile alterna parti poetiche, evocative e ben scritte, a parti meno scorrevoli. Sono presenti infatti periodi molto lunghi, pieni di frasi e virgole; inoltre in alcuni casi il PoV varia in modo casuale. Ritengo sia un modo di scrivere un po’ acerbo, ma nel complesso non mi ha infastidito o annoiato.
La descrizione di luoghi innevati è un particolare caro all’autrice, come vedremo anche nel successivo La mano sinistra delle tenebre; le nevicate, le tormente, gli spostamenti difficili, gli esseri umani che si ritrovano presso il fuoco a riscaldarsi sono immagini ricorrenti in questo libro.
Particolarmente riuscita è la resa dei differenti punti di vista tra i due popoli (ognuno dei quali si ritiene umano e ritiene gli altri non-umani): per i nativi, i terrestri sono i Nati Lontano, un popolo di “stregoni” che pratica la comunicazione mentale (un’arte appresa nel mondo di Rocannon). Dal punto di vista di Rolery, una ragazza del popolo autoctono, il vetro è “pietra trasparente”, mentre il lavandino una “canna di metallo con un fiore in cima”; si stupisce alla vista di un libro o di una nave. Altri dettagli di questo popolo sono sparsi qua e là nel libro: non conoscono la ruota, mangiano spesso tii, una minestra d’erbe, e scodelle di bhan caldo; una loro antica usanza prevede che, in una conversazione, si adotti l’espressione “ti ascolto con il cuore”.
Particolarmente interessante è una legge della Lega che spiega perché i coloni non possano sfruttare le tecnologie terrestri (via via dimenticate), come spiega Seiko Esmit a Rolery:
“Vedi, non sappiamo tutto ciò che dovremmo sapere sugli eroplani e su molte altre cose che un tempo appartenevano al nostro popolo, poiché quando i nostri antenati vennero qui, essi giurarono di obbedire a una legge della Lega, la quale proibiva loro di usare molte cose che erano diverse da quelle usate dal popolo indigeno. Questo veniva chiamato Embargo Culturale. Con il passare del tempo vi avremmo insegnato il modo di costruire le cose… ad esempio, i carri a ruote. Ma la Nave partì. Coloro di noi che rimasero qui erano pochi, e non giunse parola dalla Lega, e incontrammo molti nemici fra le vostre nazioni, in quei giorni. Fu difficile per noi attenerci alla Legge e conservare anche le cose che avevamo e le conoscenze di cui disponevamo. Fu così che forse perdemmo molte conoscenze e molte capacità. Non lo sappiamo.
“Era una strana legge” mormorò Rolery.
“Era fatta per il bene vostro… non per quello nostro” disse Seiko […]. “Nei Canoni della Lega, che noi studiamo da bambini, è scritto: Nessuna Religione o Congruenza dovrà essere disseminata, nessuna tecnica o teoria dovrà essere insegnata, nessun modello o sistema culturale dovrà essere esportato, né si dovrà utilizzare il linguaggio paraverbale con esseri d’intelligenza superiore non Comunicanti, né su alcun Pianeta Coloniale, finché non si sia deciso da parte del Consiglio di Zona, con il consenso del Plenum, che tale pianeta è pronto per il Controllo o per lo stato di Membro… Significa, vedi, che dovevamo vivere esattamente come voi. E nei casi in cui non viviamo allo stesso modo, allora abbiamo infranto le nostre leggi.”
La storia viene seguita dai punti di vista di Jakob Agat Alterra, uno dei discendenti della colonia originaria, di Rolery del clan di Wold, e Wold stesso, l’anziano capo. Jakob si impegna per allearsi con i nativi, e incappando in Rolery, i due si innamorano. La storia d’amore sembra un po’ perché sì, forse in parte motivata dall’intrusione mentale di lui (proibita tra le due razze). Ho apprezzato la maniera incantata della ragazza di guardare il mondo sconosciuto quando va nella città dei coloni, Landin; inoltre l’evoluzione della storia con Jakob porta delle conseguenze per entrambi (pur essendoci dei precedenti, l’unione non è ben vista dai nativi). Il personaggio di Wold è interessante: non capita spesso di veder filtrata la storia dal punto di vista di un anziano, costretto a riflettere tra il vecchio e il nuovo, tra le tradizioni e la novità, tra bias ingroup e outgroup.
Pianeta dell’esilio è una piacevole lettura. Anticipa uno dei temi caratteristici della produzione della Le Guin: società e culture differenti che interagiscono tra loro. Il romanzo è molto breve, appena 140 pagine, e si legge tutto d’un fiato. Consigliato.
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Voto: 7.5/10
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