Certi libri mi mettono in difficoltà. È il caso de L’Ombra del Torturatore di Gene Wolfe. Un libro così brutto che… non l’ho nemmeno terminato. L’ho mollato a 60 pagine dalla fine. Avendo letto 250 pagine, mi sento in diritto (e in dovere) di dire qualcosa.
Titolo | L’Ombra del Torturatore |
Autore | Gene Wolfe |
Data | 1980 |
Pubblicazione italiana | 2012 (ultima edizione) |
Editore | Nord/Fanucci |
Traduttore | Viviana Viviani |
Titolo originale | The Shadow of the Torturer |
Pagine | 293 |
Reperibilità | Normalmente reperibile su siti di e-commerce |
La trama segue la vita di Severian, un apprendista torturatore. L’intero libro consta di sequenze e vicende spesso scollegate tra loro e non si capisce nulla. Nulla. Mi verrebbe da pensare che è una storia senza senso, ma un senso deve avercelo. Io non l’ho trovato.
Durante il suo apprendistato arriva una donna misteryosa e lui se ne innamora a prima vista (!), l’aiuta a scappare, e a causa di ciò viene espulso dalla Corporazione. Anzi no, lo mandano a fare il suo lavoro in una cittadina sperduta. Nel viaggio qualcuno lo sfida (ma non si capisce perché), e inizia un viaggio scellerato con una donna appena incontrata (anche qui, la ama sin da subito). Nemmeno durante il combattimento contro lo sfidante si capisce granché. A quel punto l’ho mollato. Inutile torturarsi così per una porcheria di libro.
Non mancano le scene inutili: un intero capitolo è dedicato a un cane di cui si prende cura all’inizio e poi non si sa che fine faccia.
Inoltre, nel primo capitolo c’è la frase più spoilerosa di sempre…
E così iniziò il lungo viaggio che mi avrebbe condotto al trono.
Lo stile rende orribile una storia che sarebbe potuta essere vagamente interessante. Wolfe fa uso di un narratore inaffidabile. In sostanza è lo stesso Severian che ci racconta la sua storia dal suo punto di vista… scegliendo quali cose descrivere e quali no. Ne consegue che sono nominate tantissime, tantissime cose che non vengono assolutamente spiegate; ci sono anche molti neologismi. Quindi i personaggi parlano di qualcosa, ma sfugge sempre il punto della situazione; c’è sempre qualcosa che non torna. La lettura ne è inevitabilmente inficiata.
L’autore riesce a fare infodump su cose perfettamente inutili, mentre non da spiegazioni su cose più importanti. Ad esempio: viene arrestata una Esultante, ma non ci viene mai detto cosa voglia dire. Però ci spiega nel dettaglio come reagiscono solitamente dopo l’arresto…
Ci era capitato spesso di avere degli esultanti fra i clienti. Moltissimi, al loro arrivo, comprendevano la situazione, come stava facendo allora la Castellana Thecla. Ma quando passava qualche giorno senza che venisse loro inflitto alcun tormento, la speranza aveva la meglio sulla ragione e iniziavano a parlare di liberazione… sostenevano che i parenti e gli amici si sarebbero dati da fare per farli rilasciare e cominciavano a programmare quello che avrebbero fatto una volta tornati in libertà.
Uno si sarebbe ritirato nelle sue tenute e non avrebbe più frequentato la corte dell’Autarca. Un altro si sarebbe offerto come volontario per guidare a nord un drappello di lanzichenecchi. In tali casi gli artigiani della segreta sentivano parlare di cani da caccia e di brughiere lontane e di giochi campestri sconosciuti altrove, che si svolgevano sotto piante vetustissime. Le donne generalmente erano più concrete, ma talvolta anche loro parlavano di amanti altolocati (dimenticati da mesi o da anni) che non le avrebbero mai lasciate e raccontavano che avrebbero messo al mondo figli o ne avrebbero adottati. Quando sceglievano i nomi per quei bambini che non sarebbero mai nati, di solito iniziavano a parlare di vestiti: un nuovo guardaroba per la vita successiva alla liberazione, i vecchi abiti dovevano essere bruciati. Discutevano di colori, di mode nuove o vecchie da riesumare.
Esempio di dialogo indecifrabile…
Una scala a pioli fatta dello stesso legno nodoso della capanna e legato insieme da fibre vegetali conduceva alla veranda. — Non intenderai salire!— protestò Agia.
— Lo dobbiamo fare, se vogliamo vedere tutto quello che offre questo giardino — risposi. — E pensando alle condizioni della tua biancheria ho creduto che ti saresti sentita meno imbarazzata se ti avessi preceduto.
Il suo rossore mi stupì. — È solo una casa come quelle diffuse nelle zone più calde del mondo in altri tempi. Presto ti annoierà, vedrai.
— Allora non dovremo fare altro che tornare indietro e avremo perduto pochissimo tempo. — Mi aggrappai alla scaletta che oscillò e scricchiolò in maniera preoccupante; ma ero sicuro che in un luogo pubblico come quello non poteva essere veramente pericolante. Quando arrivai a metà, mi accorsi che Agia mi stava seguendo.
L’interno era poco più spazioso di una delle nostre celle, ma ogni somiglianza finiva lì. L’impressione predominante nella segreta era il senso di solidità. Le piastre metalliche delle pareti echeggiavano al minimo suono; i pavimenti vibravano al passo degli artigiani, pur reggendo bene il loro peso, il soffitto non avrebbe mai ceduto… ma se l’avesse fatto, avrebbe schiacciato tutto.
Se è vero che ciascuno di noi ha da qualche parte del mondo un gemello antitetico, luminoso se siamo oscuri, oscuro se siamo luminosi, allora quella capanna era senza dubbio l’opposto di una delle nostre celle. Su tutti i lati si aprivano delle finestre, a parte quello nel quale si trovava la porta d’entrata, e non c’erano sbarre o vetri o altri tipi di chiusure. Il pavimento, il soffitto e gli stipiti delle finestre erano rami d’albero gialli, non piallati, allo stato naturale, così che in alcuni punti ci si poteva vedere attraverso. Se avessi lasciato cadere un oricalco logoro, molto probabilmente sarebbe finito sul suolo sottostante. Non c’era un soffitto vero e proprio, ma solo uno spazio triangolare sotto il tetto al quale erano appesi tegami e sacchi di provviste.
In un angolo una donna stava leggendo ad alta voce e un uomo nudo era accovacciato ai suoi piedi. La persona che avevamo visto dal sentiero era alla finestra davanti alla porta e guardava fuori. Era evidente che si era accorto della nostra presenza — e anche se non ci aveva visti prima aveva certo avvertito le vibrazioni del pavimento — ma fingeva noncuranza. C’è qualcosa di particolare nella linea della schiena quando un uomo si volta per non vedere, e in lui era evidente.
La donna lesse: — «Allora lui salì dalla pianura al monte Nebo, che guarda verso la città, e il Misericordioso gli fece vedere l’intero paese, tutta la terra fino al Mare Occidentale. Poi gli disse: “Ho giurato ai tuoi padri che avrei dato ai loro figli questa terra. Tu l’hai vista, ma non vi metterai piede.” Infatti egli morì là, e venne sepolto in un burrone.»
L’uomo nudo ai piedi della donna annuì. — È lo stesso anche con i nostri padroni, Precettrice. Viene dato con il mignolo, ma il pollice vi sta agganciato. Un uomo deve solo afferrare il dono, scavare nel pavimento della sua casa e coprire tutto con una stuoia, perché quel pollice inizi a tirare e a poco a poco il dono si solleva da terra e sale in cielo e non lo si vede più.
La donna pareva spazientita. — No, Isangoma… — Ma l’uomo alla finestra li interruppe senza voltarsi. — Zitta, Marie. Voglio sentire cosa ha da dire. Potrai dargli più tardi le tue spiegazioni.
— Un mio nipote — riprese l’uomo nudo, — che appartiene al mio stesso cerchio di fuoco, non aveva pesce. Così, prese un tridente e andò in un certo stagno. Si allungò sull’acqua e rimase immobile, come una pianta. — Si alzò di colpo e mimo l’atto di colpire i piedi della donna con una lancia d’aria. — Restò fermo a lungo… fino a quando le scimmie smisero di temerlo e ripresero a lanciare fuscelli nell’acqua, e un esperorne si appoggiò svolazzando sul suo nido. Un grosso pesce lasciò la tana fra i tronchi sommersi. Mio nipote lo vide nuotare in cerchio, lentamente. Il pesce si avvicinò alla superficie, ma quando mio nipote stava per colpirlo con il tridente, al posto del pesce comparve una bellissima donna. Da principio mio nipote pensò che si trattasse del re dei pesci, che aveva operato quella mutazione per non farsi colpire, ma poi vide il pesce muoversi sotto il volto della donna e capì che si trattava di un riflesso. Sollevò la testa, ma non vide altro che liane. La donna era sparita! — L’uomo alzò il volto per imitare la meraviglia del pescatore. — Quella notte mio nipote andò dal Nume, il Fiero, e tagliò la gola di un giovane oreodinte, dicendo…
Agia mi riscosse bisbigliando: — In nome del Teoantropo, per quanto tempo intendi fermarti qui? Potrebbero andare avanti per tutto il giorno.
— Lasciami dare un’occhiata in giro — le risposi, — poi andremo.
— Possente è il Fiero, sacri sono tutti i suoi nomi. Tutto quello che si trova sotto le fronde è suo, i temporali stanno fra le sue braccia, il veleno non uccide fino a quando non viene pronunciata la sua maledizione!
Non abbiamo bisogno di ascoltare tutte queste lodi del tuo feticcio, Isangoma — disse la donna. — Mio marito vuole ascoltare la tua storia. E va bene, ma raccontala senza litanie.
— Il Fiero protegge il suo supplice! Non dovrebbe forse vergognarsi se quello che lo adora muore?
— Isangoma!
Dalla finestra, l’uomo disse: — Ha paura, Marie. Non lo capisci dalla sua voce?
— Non esiste paura per i seguaci del Fiero! Il suo alito è la nebbia che protegge il piccolo uakaris dagli artigli del margay!
— Robert, se non hai intenzione di intervenire, lo farò io. Isangoma, ta-ci. O vattene e non tornare più.
— Il Fiero sa che Isangoma ama la Precettrice. E la salverebbe, se gli fosse possibile.
— Salvarmi da cosa? Pensi che qui ci sia qualcuna delle tue belve spaventose? E se anche ci fosse, Robert la ucciderebbe con il fucile.
— I tokoloshe, Precettrice. Arrivano i tokoloshe. Ma il Fiero, nella sua condensazione, ci proteggerà. Egli è il possente che comanda a tutti i tokoloshe! Quando lui ruggisce, si nascondono sotto le foglie cadute!
— Robert, secondo me è impazzito.
— Lui ha gli occhi, Marie, tu no.
— Che cosa vuoi dire? E per quale motivo continui a guardare dalla finestra?
Lentamente, l’uomo si volse verso di noi. Fissò per un istante me e Agia, poi girò la testa. Aveva la stessa espressione dei nostri clienti quando il Maestro Gurloes mostrava loro gli strumenti che avrebbe usato nella loro anacrisi.
— Robert, per l’amor del cielo, dimmi cosa c’è.
— Come dice Isangoma, i tokoloshe sono qui. Non i suoi, credo, bensì i nostri. La Morte e la Signora. Hai mai sentito parlare di loro, Marie?
La donna scrollò la testa. Si alzò e aprì un bauletto.
— Lo immaginavo. È un quadro… anzi, un tema artistico. Quadri di molti artisti. Isangoma, non penso che il tuo Fiero abbia molta autorità su questo tokoloshe. Questi arrivano da Parigi, dove ho studiato, per rimproverarmi di aver abbandonato l’arte per questo.
— Hai la febbre, Robert, è chiaro — disse la donna. — Ti darò qualcosa e fra poco ti sentirai meglio.
L’uomo fissò nuovamente il volto di Agia e il mio, come se non volesse farlo ma non riuscisse a controllare gli occhi. — Se sto male, Marie, vuol dire che i malati sanno cose che i sani hanno trascurato. Anche Isangoma ha colto la loro presenza, non dimenticarlo. Non hai avvertito le vibrazioni del pavimento mentre leggevi? È stato allora che sono entrati, penso.
— Ti ho appena preparato un bicchier d’acqua per bere il chinino, e non ho visto la minima increspatura.
— Che cosa sono, Isangoma? Tokoloshe… ma cosa sono i tokoloshe?
— Spiriti maligni, Precettore. Ogni volta che un uomo ha dei pensieri cattivi o che una donna fa cose cattive nasce un tokoloshe. E rimane. L’uomo crede che nessuno lo sappia, perché sono tutti morti, ma il tokoloshe vive fino alla fine del mondo. E allora tutti vedranno e sapranno cos’ha fatto quell’uomo.
— Che idea terribile — disse la donna.
Il marito contrasse le mani sul davanzale della finestra. — Ma non capi-sci che si tratta solo delle conseguenze delle nostre azioni? Sono gli spiriti del futuro e siamo noi a generarli.
— Stai dicendo delle assurdità pagane, Robert. Ascolta. Tu hai la vista tanto acuta. Fermati ad ascoltare un istante.
— Sto ascoltando. Che cosa vuoi dire?
— Niente. Voglio solo che tu ascolti. Che cosa senti?
Nella capanna calò il silenzio. Mi misi in ascolto anch’io; non avrei potuto evitarlo, anche volendo. All’esterno, le scimmie ciangottavano e i pappagalli strillavano come prima. Poi, al di sopra dei rumori della giungla si udì un debole ronzio, come se un insetto grande quanto una barca stesse volando in lontananza.
— Cos’è? — domandò l’uomo.
— L’aereo postale. Se hai fortuna, fra poco riuscirai a vederlo.
L’uomo si sporse dalla finestra e io, spinto dalla curiosità, mi affacciai alla finestra di sinistra. Il fogliame era tanto fitto che non permetteva di vedere nulla, ma l’uomo stava guardando verso l’alto, oltre l’orlo del tetto, e in quella direzione riuscii a distinguere una chiazza azzurra.
Il ronzio aumentò, e comparve il velivolo più strano che avessi mai visto. Era dotato di ali, ma pareva che i suoi costruttori ignorassero il fatto che, siccome non poteva sbattere le ali come un uccello, la spinta ascensionale poteva tranquillamente venire dallo scafo. Ciascuna delle ali argentee presentava un rigonfiamento, e un terzo compariva sulla parte anteriore dello scafo, e davanti a ognuna delle tre protuberanze pareva baluginare una luce.
— In tre giorni potremmo raggiungere la pista d’atterraggio, Robert, e potremmo essere là ad aspettarlo la prossima volta che atterrerà.
— Se il Signore ci ha voluti qui…
— Esatto, Precettore! Noi dobbiamo fare la volontà del Fiero! Nessuno è come lui! Precettrice, lasciami danzare in suo onore e intonare il suo canto. Forse così i tokoloshe se ne andranno.
L’uomo nudo tolse dalle mani della donna il libro e iniziò a percuoterlo con il palmo, ritmicamente, come se stesse suonando un tamburo. I suoi piedi strusciavano sul pavimento irregolare e la sua voce modulata e acuta pareva quella di un bambino.Nella notte, quando tutto è silenzio, ascoltalo urlare fra i rami! Guardalo, balla nel fuoco!
Vive nel veleno della freccia, piccolo come una lucciola! Più splendente di una stella!
Uomini pelosi vagano per la foresta…— Io me ne vado, Severian — disse Agia, e varcò la soglia. — Se vuoi rimanere ancora fai pure. Ma poi dovrai andare da solo a raccogliere l’a-vern e ti dovrai arrangiare a cercare la strada per i Campi Sanguinati. Sai che cosa succederà se non ti presenterai?
— Si rivolgeranno a dei sicari, hai detto.
— E i sicari si serviranno del serpente detto barbagialla. Ma non se la prenderanno subito con te. Prima toccherà alla tua famiglia, se ce l’hai, e ai tuoi amici. E dal momento che ho girato con te per tutto il quartiere, ci andrò di mezzo anch’io.Lui viene al tramonto del sole: guarda i suoi piedi sull’acqua! Orme di fuoco sull’acqua!
La cantilena continuava, ma l’uomo nudo sapeva che ce ne stavamo andando e la sua voce aveva un tono di trionfo. Aspettai che Agia arrivasse a terra, poi la seguii.
— Credevo che non saresti più venuto via — disse. — Ti piace davvero così tanto questo posto? — I colori metallici del suo vestito lacero sembravano furenti quanto lei nel contrasto con il verde del fogliame.
— No — risposi. — Comunque lo trovo interessante. Hai notato il loro velivolo?
— Quando hai guardato fuori dalla finestra? Non sono tanto stupida.
— Era diverso da tutti quelli che conosco. Invece di scorgere le sfaccettature di questo enorme edificio, ho visto il velivolo che lui voleva farmi vedere. Almeno, questa è stata la mia impressione. Qualcosa che arrivava da un altro posto. Prima volevo raccontarti la storia di quell’amica di una mia amica che era rimasta prigioniera degli specchi di Padre Inire. Si trovò in un altro mondo e anche una volta tornata indietro non aveva la certezza di essere riapparsa nel punto esatto da cui era partita. Mi domando se per caso non siamo ancora nel mondo di quei tre invece che nel nostro.
Agia si era già avviata lungo il sentiero. Quando si volse verso di me, i raggi del sole trasformarono i suoi capelli bruni in oro scuro. — Ti ho già spiegato che alcuni visitatori sono attratti dai biorami.
Allungai il passo per raggiungerla.
— Con il passare del tempo, le loro menti si adeguano all’ambiente, ed è probabile che l’ambiente adegui a sé anche le nostre. Credo che quello che hai visto fosse un banalissimo velivolo.
— Lui ci ha visti. E anche il selvaggio.
— Ho sentito dire che più è distorta la coscienza di una persona più è probabile che restino frammenti di percezione. Mi sono accorta che i mostri di questi giardini sono più facilmente consapevoli della mia presenza di quanto non succeda agli altri.
— Parlami di quell’uomo — dissi.
— Non sono io l’artefice di questo luogo, Severian. So solo che se adesso tornassimo indietro, probabilmente non troveremmo più la capanna. Ascolta. Mi devi promettere che quando saremo fuori di qui ti lascerai condurre direttamente al Giardino del Sonno Eterno. Non abbiamo più molto tempo, nemmeno per visitare il Giardino delle Delizie. E non sei certo la persona più adatta per vagare da solo qui dentro.
— Perché volevo fermarmi nel Giardino della Sabbia?
— Anche per questo. Penso che finiresti per cacciarti nei guai.
Mentre diceva quelle parole, oltrepassammo una delle tante curve del sentiero. Un tronco con il relativo cartellino bianco della specie bloccava la strada, e tra il fogliame sulla sinistra apparve la parete di vetro verdastro che costituiva lo sfondo della vegetazione. Agia aveva già varcato la porta quando io strinsi Terminus est nell’altra mano e aprii.
Il worldbuilding è potenzialmente pieno di cose interessanti ma… non viene approfondito nulla. Sembra tutto buttato lì a casaccio. Severian è un Torturatore, ma non viene spiegato nulla del suo “mestiere” (per quanto ovvia possa sembrare).
L’Ombra del Torturatore non lo consiglio a nessuno. È una presa per i fondelli nei confronti del lettore.
Voto: 0/10
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E pensare che dal titolo sembrava interessante XD
Mi dispiace per te che ti sei dovuto sorbire questa lettura.