Solo nel silenzio la parola,
solo nella tenebra la luce,
solo nella morte è vita;
fulgido è il volo del falco
nel cielo deserto.La creazione di Éa
La spiaggia più lontana è il terzo libro di Earthsea/Terramare. È quello che ricordavo meno e a cui sono meno legato ma… è riuscito a commuovermi lo stesso!
Titolo | La spiaggia più lontana |
Autore | Ursula K. Le Guin |
Data | 1972 |
Pubblicazione italiana | 1981 |
Editore | Nord/Mondadori |
Traduttore | Roberta Rambelli |
Titolo originale | The Farthest Shore |
Pagine | 214 |
Reperibilità | Reperibile online e in libreria |
Sono passati circa 16 anni dagli eventi delle Tombe di Atuan, e Ged è Arcimago da 5 anni. Una nuova minaccia incombe su Earthsea: i maghi delle isole meridionali stanno perdendo i loro poteri, e nessuno conosce il motivo. Il latore di questa notizia è il principe di Enland, il giovane Arren: egli giunge a Roke in prima persona per dare la notizia ai maghi dell’isola. Ged decide di partire alla ricerca di questo pericolo, portandosi con sé Arren: inizia così un viaggio attraverso le isole, che per il ragazzo è un viaggio di formazione, mentre per Ged è, per certi versi, di conclusione.
La spiaggia più lontana riguarda la morte. È per questo che è un libro meno solido, meno completo, meno accurato degli altri. Quelli trattavano di cose che io avevo già vissuto e alle quali ero sopravvissuta. La spiaggia più lontana parla di quella cosa a cui non si sopravvive, se viene vissuta. Mi è sembrato un argomento perfettamente adatto per dei giovani lettori, dal momento che in un certo senso si può dire che quando un bambino si rende conto, non esiste che la morte (i bambini sono intensamente consapevoli della morte), ma che lui/lei è personalmente mortale, che dovrà morire, è allora che finisce l’infanzia, e comincia la nuova vita. È ancora un diventare maturi, ma in un contesto più ampio.
In ogni caso, non avevo molta scelta sull’argomento. Ged, che è sempre stato risoluto, che ha sempre detto cose che mi sorprendevano e fatto cose che non avrebbe dovuto fare, n questo libro ha preso il potere. Era deciso a insegnarmi come doveva terminare la sua vita e perché. Ho cercato di tenere il passo con lui, ma era sempre avanti. Ho riscritto il libro più volte di quanto non voglia ricordare, cercando di tenerlo sotto un qualche genere di controllo. Pensai che era finita quando è stato stampato, ma l’edizione inglese differisce in tre lunghi brani da quella americana che la precedeva: la mia curatrice della Gollancz mi disse: “Ged parla troppo”, e aveva decisamente ragione, e io gli chiusi la bocca per tre volte, con grande vantaggio di tutto il resto. Se si insiste nell’esplorazione, invece che nella pianificazione, questo genere di problemi è inevitabile. È una maniera di scrivere tra le meno economiche. Il libro è ancora il più imperfetto dei tre, ma è quello che mi piace di più. È la fine della trilogia, ma è il sogno che non ho ancora finito di sognare.(Ursula Le Guin, Il Linguaggio della Notte, tr. it. di A. Sacchi, Editori Riuniti, Roma, 1986 pp.48-49)
E infatti la Le Guin aveva ancora tanto da dire, considerando gli altri due libri che ha scritto su Terramare (oltre a vari racconti, di cui uno uscito nel 2016)…
Una voce tormenta maghi e incantatori, ma non solo… una voce che li ammalia e li tenta con la promessa della vita eterna. Il libro si gioca tutto su questa ambivalenza vita/morte: ne parlerò più avanti.
Altre isole vengono scoperte in questo libro: Wathort, in cui molti maghi fanno uso di hazia, una droga che intorpidisce, Lorbanery, l’isola della Seta, Obehol, i cui abitanti attaccano chiunque si accosti alle loro spiagge, Selidor, una delle isole più remote di tutto Earthsea. Ma la trovata più originale per me sta…
Ursula Le Guin è famosa per aver inventato civiltà, popoli, modi di vivere e organizzarsi: questo tema viene affrontato ampiamente nel meraviglioso libro Su Altri Piani. Ne La spiaggia più lontana colpisce subito questo gruppo di persone che vivono tutta la vita su delle grosse zattere, in mare, lontano dalle isole. A parte il canto più antico, condiviso con le altre isole, e la tradizionale notte della Lunga Danza, questo popolo ha poco in comune col resto di Earthsea.
Arren guardò. E vide, a nord della barca, tante zattere, alcune radunate vicino e altre sfilate lontano, attraverso il mare: tante zattere che sembravano foglie d’autunno in uno stagno. Ciascuna, bassa sull’acqua, aveva al centro una o due cabine o capanne, e molte avevano anche alberi montati.
Ad Arren sembra di vivere in un paradiso, in cui lo spazio e il tempo si dilatano e il suo passato ad Enland viene dimenticato. Tuttavia, la vita sulle zattere non è sempre idilliaca: infatti, in inverno ci sono tempeste e onde possenti, e in primavera, capita che manchino delle zattere. In autunno invece vanno alla Lunga Duna, dove tagliano gli alberi e provvedono alla manutenzione delle zattere.
Si sposavano giovanissimi. Granchio Azzurro, il ragazzo che portava tatuato il simbolo del suo nome, e la ragazza graziosa, Albatros, erano marito e moglie, sebbene lui avesse appena diciassette anni e lei addirittura due di meno; c’erano molti matrimoni come il loro, tra il popolo delle zattere. Molti bimbetti camminavano carponi qua e là, legati a lunghi guinzagli fissati ai quattro pali dei ripari centrali, e tutti vi rientravano nelle ore più calde, e dormivano in mucchi frementi. I bambini grandicelli badavano ai più piccoli, e gli uomini e le donne si spartivano tutto il lavoro. Tutti facevano a turno per raccogliere le grandi alghe dalle foglie brune, i nilgu delle Strade, frangiati come felci e lunghi venti o trenta braccia. Tutti lavoravano insieme, battendo il nilgu per ricavarne stoffe o intrecciandone le fibre grezze per ricavare funi e reti; pescavano e seccavano il pesce, e fabbricavano utensili con avorio di balena, e insieme sbrigavano tutte le varie mansioni. Ma c’era sempre tempo per nuotare e chiacchierare, e non c’era mai un termine fisso per ultimare un lavoro. Le ore non esistevano: c’erano soltanto notti e giorni.
Ged nemmeno credeva esistesse un popolo del genere, infatti:
Molto tempo fa ho sentito parlare del Popolo delle Zattere: ma credevo che fosse solo una delle tante leggende dello Stretto Meridionale, una fantasia inconsistente. Eppure siamo stati salvati da quella fantasia: le nostre vite sono state salvate da un mito.
I draghi! I draghi sono avidi, insaziabili, infidi, spietati, privi di scrupoli. Ma sono malvagi? Chi sono, io, per poter giudicare le azioni dei drafhi? …Sono più sapienti degli uomini. In un certo senso sono come i sogni, Arren. noi uomini facciamo sogni, operiamo la magia, compiamo il bene, compiamo il male. I draghi non sognano. Sono sogni loro stessi. Non operano la magia: è la loro sostanza, la loro essenza. I draghi non fanno: sono.
In questo libro, i draghi hanno un certo spazio: ne vediamo due, Orm Embar, e Kalessin. Ecco una descrizione di Kalessin, un drago antichissimo.
Infine si levò a sedere, e così vide, sull’altra sponda del ruscello, un drago immenso.
La testa color ferro, chiazzata dalla rossa ruggine delle narici e delle occhiaie e delle guance, era sospesa davanti a lui, quasi sopra di lui. Gli artigli affondavano nella sabbia bagnata e molle, sul bordo del corso d’acqua. Le ali, ripiegate, erano parzialmente visibili, come vele, ma il lungo corpo scuro si perdeva nella nebbia.
Non si muoveva. Era come se stesse acquattato là da ore, o da anni, o da secoli. Era scolpito nel ferro, modellato nella roccia… ma gli occhi, gli occhi in cui Arren non osava guardare, gli occhi simili a olio che spiraleggia sull’acqua, simili a un fumo giallo dietro un vetro, i profondi occhi gialli e opachi lo scrutavano.
Lo stile è sempre lo stesso degli altri libri di Terramare: qui vorrei includere delle citazioni che in generale mi hanno colpito o fatto riflettere (spesso collegate col tema della morte di cui sopra).
Vedi, Arren: contrariamente a quanto pensano i giovani, un’azione non è un sasso che si raccoglie e si scaglia e che colpisce il bersaglio o lo manca e tutto finisce lì. Quando quel sasso viene sollevato, la terra è più leggera; la mano che lo stringe è più pesante. Quando viene lanciato, i circuiti delle stelle reagiscono, e dove colpisce o cade, l’universo cambia. Da ogni azione dipende l’equilibrio del tutto. I venti e i mari, le potenze dell’acqua e della terra e della luce, tutto ciò che loro fanno e tutto ciò che fanno le bestie e le piante, è ben fatto, e fatto giustamente. Tutti agiscono nell’ambito dell’Equilibrio. Dall’uragano, dall’immersione di una grande balena, fino alla caduta di una foglia secca e al volo di un moscerino, tutto ciò che viene fatto viene fatto nell’ambito dell’equilibrio del tutto. Ma noi, poiché abbiamo potere sul mondo e l’uno sull’altro, dobbiamo imparare a fare ciò che la foglia e la balena e il vento fanno per loro natura. Dobbiamo imparare a mantenere l’equilibrio. Poiché abbiamo l’intelligenza, non dobbiamo agire nell’ignoranza. Poiché possiamo scegliere, non possiamo agire senza responsabilità. Chi sono io, anche se ho il potere di farlo, per punire e ricompensare, giocando col destino degli uomini?
Morte e vita sono la stessa cosa… come i due lati della mia mano, il palmo e il dorso. Eppure il palmo e il dorso non sono la stessa cosa… Non è possibile separarli né confonderli.
E ancora:
Rifiutare la morte è rifiutare la vita. […] Sì, so ciò che credono di cercare. Ma so che è una menzogna. Ascoltami, Arren. Tu morirai. Non vivrai in eterno. Nessun uomo, nessuna cosa vivrà in eterno. Non c’è nulla d’immortale. Ma solo a noi è dato sapere che dobbiamo morire. Ed è un grande dono: il dono dell’io. Perché noi abbiamo solo ciò che sappiamo di dover perdere, ciò che siamo disposti a perdere… Quell’io che è il nostro tormento, e il nostro tesoro e la nostra umanità, non dura. Cambia; sparisce, come un’onda sul mare. Vorresti che il mare diventasse immobile, che le maree cessassero, solo per salvare un’onda, per salvare te stesso? Vorresti rinunciare all’abilità delle tue mani, e alla passione del tuo cuore, e alla luce dell’aurora e del tramonto, per comprare la sicurezza per te stesso, la sicurezza eterna? È quanto cercano di fare a Wathort e a Lorbanery e altrove. Questo è il messaggio udito da coloro che sanno udire: negando la vita puoi negare la morte e vivere per sempre! E io non odo questo messaggio, Arren, perché non voglio udirlo. Non ascolterò il consiglio della disperazione. Sono sordo; sono cieco. Tu sei la mia guida. Tu, con la tua innocenza e il tuo coraggio, con la tua mancanza di sapienza e la tua lealtà, tu sei la mia guida… il bambino che invio davanti a me nell’oscurità. Ciò che io seguo è la tua paura, la tua sofferenza. Tu mi hai giudicato duro nei tuoi confronti, ma non hai mai saputo fino a che punto lo sono stato. Uso il tuo amore come un uomo che brucia una candela, e la consuma, per illuminarsi il cammino. E dobbiamo andare avanti. Dobbiamo andare avanti. Dobbiamo arrivare fino in fondo. Dobbiamo giungere al luogo dove il mare s’inaridisce e s’inaridisce la gioia, il luogo verso il quale ti attrae il tuo terrore mortale.
Che cos’è il male? Una ragnatela intessuta da noi uomini
Ged e Arren in una meravigliosa illustrazione di Rebecca Guay
Ged viene definito il
più grande incantatore di tutto Earthsea, l’uomo che aveva tappato il Nero Pozzo di Fundaur e aveva strappato l’Anello di Erreth-Akbe alle Tombe di Atuan e aveva costruito la possente diga marina di Nepp; il navigatore che conosceva tutti i mari da Astowell a Selidor; l’unico Signore dei Draghi vivente. E adesso stava lì, inginocchiato accanto a una fontana: un uomo non più giovane, di statura modesta, dalla voce quieta e dagli occhi profondi come la sera.
Non sappiamo nel dettaglio gli avvenimenti accaduti tra il secondo e il terzo libro relativi a Ged: tuttavia esiste un racconto (Nell’Alta Palude, contenuto nei libri Le Leggende di Earthsea e La Saga di Terramare) su Ged nei suoi anni da arcimago. Ged è ormai anziano e saggio: non è il ragazzino immaturo che abbiamo visto ne il Mago. La sua esperienza, tuttavia, non basta nell’adempiere questa missione: è necessario che al suo fianco ci sia il giovane Arren ad aiutarlo e sostenerlo.
Se nel primo libro era Ged a crescere e formarsi, e nel secondo era Arha (Tenar) a mettere in gioco se stessa, in questo libro è il giovane Arren a vivere un’avventura degna di un futuro re. Incantato e ammirato da Ged, decide di imbarcarsi in questa missione pericolosa, sebbene non sappia in che modo potrebbe aiutare il mago. E così, come Ged è indispensabile al ragazzo, pure Arren trova il suo ruolo in questa avventura: si instaura un legame profondo tra i due, non solo di affetto, ma di fiducia.
La spiaggia più lontana è un libro… magico. Sento un profondo legame la Saga di Terramare, e rileggere questo libro è stata una bellissima esperienza. Ovviamente lo consiglio a tutti quelli che vogliono proseguire con questo ciclo!
Voto: 8.5
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