Questa recensione arriva molto in ritardo rispetto all’uscita del libro, ne sono consapevole. Il fatto è che solo ora ho avuto modo di leggere questo libro: una volta finito A Feast for Crows mi sono lanciato subito su A Dance with Dragons, ignobilmente diviso in tre parti dalla Mondadori.
Titolo | I guerrieri del ghiaccio – I fuochi di Valyria – La danza dei draghi |
Autore | George R. R. Martin |
Data | 2011 |
Pubblicazione italiana | 2011 |
Editore | Mondadori |
Traduttore | Sergio Altieri e G. L. Staffilano |
Titolo originale | A Dance with Dragons |
Pagine | 1051 |
Reperibilità | Reperibile online e in libreria |
In queste foto ho confrontato le edizioni tascabili italiane con quella americana. Come potete vedere, quella americana è piccola e compatta, ancora più piccola rispetto alle edizioni italiane! Possibile che, dopo aver diviso in 3 libri l’edizione cartonata, non possano fare una edizione economica degna? In questo modo, con 30€ mi porto a casa le edizioni economiche, contro i 10€ dell’edizione inglese. È vero che ci sono edizioni a libro unico, ma sono enormi, scomode; nulla a che vedere con l’edizione americana, che risulta migliore di tutte le varianti italiane. Poi non si spiega perché la gente preferisca leggere direttamente in inglese…
Questo libro si sviluppa parallelamente al precedente, considerando tutti quei personaggi che abbiamo lasciato in A Storm of Swords. Ciò che significa che sapremo già alcuni fatti descritti; ci sono anche capitoli che si sovrappongono, ad esempio i primi di Jon descrivono le stesse cose che abbiamo già visto con Samwell.
Curiosamente, ho apprezzato molto i capitoli su Jon mentre ho trovato deleteri quelli di Dany; Tyrion interessante come sempre, Theon inquietante, Bran si è visto troppo poco, Arya WTF, Quentyn Martell meh. In generale, sembra che gli eventi narrati non siano poi così interessanti; inoltre molte delle trame iniziate nei primi libri si sono definitivamente concluse, lasciando spazio a nuovi personaggi e nuovi percorsi.
La venuta di Daenerys è il compimento di un’antica profezia. È nata dal fumo e dal sale per ricreare il mondo dall’inizio. Daenerys è Azor Ahai che ritorna… Il suo trionfo sulle tenebre porterà un’estate che non avrà mai fine e… la morte stessa si piegherà e tutti coloro che moriranno combattendo per la sua causa rinasceranno…
In narrativa l’espediente della profezia a mio avviso è particolarmente odioso; ogni volta storco il naso. Non a caso non rimasi soddisfatto della profezia su Cersei, sebbene il contenuto non sia immediato da interpretare. Quanto a Daenerys, sin da subito lei si impone come persona giusta, desiderosa di fare le cose per bene. Si adatta bene a qualsiasi profezia relativa alla nascita di una nuova era. La sua giovane età, insieme alla sua ingenuità, non le permettono di essere tuttavia così saggia; se nei libri precedenti si era comportata in modo impeccabile, in A dance with dragons pare fare stupidaggini continuamente. Nell’ansia di fare la cosa migliore cerca di venire incontro a tutti, di far felici tutti… e tra le sue scelte peggiori ci sta quella del rinchiudere i draghi. Ora, si è detto più volte che il grande potere di Dany sta nei suoi draghi, che però sono troppo giovani e troppo piccoli per poter diventare un vero e proprio strumento di conquista. E tu cosa fai? Li rinchiudi, consapevole che in tal modo la loro crescita non sarà mai ottimale? Mi preoccupa anche il suo disinteresse su come si domano i draghi: possibile che non abbia mandato qualcuno a cercare libri o maestri o chiunque possa darle qualche dritta a riguardo? Insomma, i capitoli di Dany a Meereen sono particolarmente dolorosi. E lo dice uno che aspettava con ansia le sue vicende… poi, per carità! Non è che le cose debbano andare per forza bene. Anzi. Se c’è qualcosa che può andare storto in GoT, probabilmente si verificherà. In ogni caso, è bello che lei senza saperlo salva la vita a Tyrion. E anche la sua prima cavalcata su Drogon merita.
Incredibile pensare come abbia apprezzato Jon. Per quanto odi le parti alla Barriera, qui succede qualcosa di interessante… Jon prende una decisione così intelligente che mi chiedo perché nessuno ci abbia mai pensato prima: coinvolgere i bruti e sistemarli nei castelli diroccati della Barriera. È vero, c’è una lunga inimicizia tra le due fazioni, e i bruti non sono certo dei santi; eppure fare fronte comune contro un nemico ancestrale mi sembra una scelta quantomai azzeccata. Questo in qualche modo aumenta l’avversione e i pregiudizi su Jon da parte dei confratelli (non era lui, in fondo, che si era unito ai bruti tempo prima?); io ritengo in ogni caso sia una mossa sensata.
“Potrei essere con loro… invece no, dovevo farmi una puttana. Assassinare consanguinei non mi bastava, avevo bisogno di fica e vino per sigillare la mia rovina. Ed eccomi qui, dall’altro capo del mondo, con un collare da schiavo e delle campanelle dorate ad annunciare il mio arrivo. Se ballo nel modo giusto, forse riesco a suonare Le piogge di Castamere.”
Abbiamo lasciato Tyrion in una situazione piuttosto scomoda nel 3° libro: Joffrey muore; Tyrion è il primo sospettato e chiede un verdetto per singolar tenzone; la Montagna uccide il principe Oberyn Martell; Tyrion, con l’aiuto di Jaime e Varys, scappa… non senza aver ucciso il padre, Tywin Lannister, e Shae. Insomma, una situazione abbastanza intricata. Tyrion fugge su una nave verso le Città Libere, mentre Cersei si da da fare per rintracciarlo e offrire grandi ricompense a chi le riporta la sua testa.
Il Tyrion che troviamo in A dance with dragons è un Tyrion tormentato da un groviglio di sensi di colpa, paure e paranoie; tormentato dall’assassinio del padre (“dove vanno le puttane?” è una domanda ricorrente) e dal tradimento del fratello. La sua storyline, più che per quanto succede in sé, mi è piaciuta proprio per il personaggio (un po’ scontato ma è così!).
«[…] Perché ami gli Stark?»
«Io…» Theon appoggiò una mano guantata contro uno dei pilastri. «Io volevo essere uno di loro…»
Il mio cuore è diviso tra il “povero Theon!” e il “queste sono le conseguenze delle sue azioni”. Theon Greyjoy, catturato dal bastardo Bolton, trascorre un periodo della sua vita particolarmente infelice. Scuoiato e torturato periodicamente, Theon regredisce a uno stato animale; vive con i cani, sporco, lacero e con una nuova identità: Reek. Reek è un individuo che sta in disparte, pronto a compiacere il suo signore, di cui è terrorizzato. Grazie al suo punto di vista, scopriamo di più di Ramsay Snow, un uomo incredibilmente crudele e sicuramente patologico.
«Ramsay è un grande cacciatore» continuò Wyman Manderly «e le donne sono la sua preda preferita. Le spoglia e le lascia libere nei boschi. Concede loro mezza giornata di vantaggio, poi si mette a caccia, con corni e segugi. Di tanto in tanto una di loro riesce a scappare e lo può raccontare. La maggioranza è meno fortunata. Quando Ramsay le cattura, le stupra, le scuoia, getta i cadaveri in pasto ai suoi cani e riporta la pelle a Forte Terrore come trofeo. Se le ragazze lo hanno fatto divertire, prima di scuoiarle taglia loro la gola. Altrimenti fa il contrario.»
Il percorso di Theon è sicuramente uno dei più interessanti, e mi chiedo che ruolo avrà nell’economia di questo mondo.
Su Arya non ho granché da dire. Non mi hanno coinvolto molto i suoi capitoli (molto pochi, oltretutto).
Bran finalmente arriva dove deve arrivare, in un luogo ancestrale e magico in cui vivono i figli della foresta. Qui fa la conoscenza del famigerato corvo con tre occhi, che sembra essere un uomo il cui corpo va decomponendosi da secoli, intrecciato con gli alberi-diga.
«Un… corvo?» La voce del pallido lord era asciutta. Le sue labbra si muovevano lentamente, quasi avessero dimenticato come formulare le parole. «Un tempo, aye. Abiti neri e sangue nero.» I suoi vestiti, marci e sbiaditi, macchiati di muschio e bucherellati dai vermi, un tempo erano stati neri. «Sono stato molte cose, Bran. Ora sono come mi vedi e capisci perché non sarei potuto venire da te… tranne che in sogno. Ti ho osservato a lungo, ti ho guardato con mille e un occhio. Ho assistito alla tua nascita e prima ancora a quella del lord tuo padre. Ho visto i tuoi primi passi, ho ascoltato le tue prime parole. Ho partecipato al tuo primo sogno. Ti guardavo mentre cadevi dalla torre. Adesso sei finalmente arrivato, Brandon Stark, anche se il tempo è breve.»
«Sono qui» disse Bran «ma sono spezzato. Tu… tu mi… mi riparerai?… Voglio dire, le mie gambe?»
«No» rispose il pallido lord. «È al di là dei miei poteri.»
Gli occhi di Bran si riempirono di lacrime. “Abbiamo fatto tutta questa strada invano.” Nella caverna riecheggiò il rumore del fiume nero.
«No, Brandon Stark, non potrai più camminare» promisero le livide labbra «però potrai volare.»
Perché parlare di Cersei? In fondo ci sono solo due capitoli su di lei… oh, beh. Il suo ultimo capitolo è eccezionale. Il suo percorso di espiazione nelle strade di Approdo del Re è emblematico, simbolico e restituisce una Cersei differente (almeno spero!).
Ultimo personaggio a cui voglio dedicare un paragrafo. Varys sin dai primi libri appare come un personaggio misterioso, di dubbia lealtà; a pelle mi è subito piaciuto. In questo libro scopriamo di più sui suoi natali, grazie a magistro Illyrio, che racconta a Tyrion come sono cresciuti insieme questi due ragazzi di Pentos:
Lo incontrai non molto tempo dopo il suo arrivo, appena prima degli schiavisti. Di giorno dormiva nelle cloache, di notte vagava sui tetti come un gatto. Io ero povero quasi quanto lui: una lama in vendita, ricoperto di luride sete. […] «A Myr era stato il principe dei ladri, fino a quando un rivale non lo denunziò. A Pentos, era riconoscibile per via dell’accento e, una volta identificato come eunuco, fu disprezzato e picchiato. Per quale ragione mi abbia scelto come suo protettore, non lo saprò mai, riuscimmo comunque a trovare un accordo. Varys spiava i ladruncoli e s’impossessava del loro bottino. Da parte mia, offrivo aiuto alle vittime, promettendo di recuperare i beni trafugati in cambio di una ricompensa. In breve, chiunque avesse subito un furto sapeva di doversi rivolgere a me, mentre tutti i violatori di case e i tagliaborse erano alla ricerca di Varys… metà di loro per tagliargli la gola, l’altra metà per rivendergli quello che avevano rubato. Diventammo ricchi entrambi, soprattutto quando Varys cominciò ad ammaestrare i suoi ratti.»
«Ad Approdo del Re aveva i suoi uccelletti.»
«All’epoca noi li chiamavamo ratti. I ladri più anziani erano degli stolti, interessati solo a convertire il bottino della notte in vino. Varys, invece, preferiva le ragazzine e gli orfanelli. Sceglieva quelli di statura più bassa, rapidi e silenziosi, e li istruiva su come scalare i muri e infilarsi nei camini. Insegnava loro anche a leggere. L’oro e le gemme li lasciavamo ai ladri comuni. I nostri ratti, invece, s’impossessavano di lettere, diari, mappe… e dopo averli letti li rimettevano esattamente dove li avevano trovati. I segreti valgono più dell’argento o degli zaffiri, soleva dire Varys. Ed è vero. Da parte mia, acquisii un tale livello di rispettabilità che un cugino del principe di Pentos mi diede in sposa la figlia vergine, questo mentre voci appena sussurrate riguardo ai talenti di un certo eunuco varcavano il Mare Stretto, arrivando all’orecchio di un re. Un re quanto mai ansioso, che non si fidava completamente del proprio figlio, né della propria moglie, né del proprio Primo Cavaliere, un amico di gioventù, quest’ultimo, diventato troppo arrogante e sicuro di sé. Penso che tu conosca il resto della storia, non è così?»
Che Varys abbia un ruolo cruciale nel sostenere il regno è fuori dubbio; alla fine risultano ancora più chiari i suoi propositi. In particolare, nell’epilogo…
Penso che A dance with dragons sia un buon libro. Probabilmente nel complesso non raggiunge il coinvolgimento e la tensione dei primi tre libri, ma fa il suo dovere di intrattenere e far sospirare. Molte sottotrame finiscono lasciandoti col fiato sospeso, con l’ansia di sapere cosa succederà dopo. Ad esempio, Davos dovrà recuperare Rickon Stark (ma non si sa dove sia al momento, forse Skagos?). Ad ogni modo non ho percepito quella delusione che leggo in molte recensioni: a mio parere, con George Martin si deve arrivare fino in fondo, nonostante l’attesa, nonostante il dolore (e qui mi riferisco a tutte le morti e le cose che non vanno per il verso giusto).
Voto: 8.5/10.
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