I dodici punti cardinali è un’antologia dei primi racconti di Ursula Le Guin – una retrospettiva insomma. Trovo che il racconto sia un’ottima tipologia di letteratura, e in particolare si sposa bene con la scrittrice americana; la sua capacità di sintesi è ideale per questa forma di narrativa (non dimentichiamo che i suoi romanzi non superano quasi mai le 300 pagine). Alcune raccolte sono state tradotte in Italia, altre purtroppo no. Per chi è interessato dovrà leggerle in inglese, perché dubito le tradurranno mai qui. Non è sempre stato così, ma in Italia c’è una certa avversione per il racconto. Ricordo antologie portate avanti da editori differenti: Le più belle storie di Marion Zimmer Bradley di Longanesi, Le città del domani di Fanucci, Il diario della rosa per citare un altro esempio dell’Editrice Nord. Persino le antologie di George R. R. Martin, nel pieno del suo successo, vendono molto meno della saga principale (complice il vergognoso smembramento in non so quanti libri?). Posso solo limitarmi a segnalare le raccolte che ho letto, magari qualcuno si incuriosisce e se le procura usate.
Questa recensione si struttura con un racconto per paragrafo; alcuni racconti avranno più spazio e altri saranno solo brevemente descritti. Questo dipende da quanto ho gradito il racconto e dalla sua lunghezza. Inoltre, questa antologia presenta delle brevi introduzioni della scrittrice; sono piccole spiegazioni sul testo in questione… curiosità, ispirazioni, ricordi. In alcuni casi, sono migliori dei racconti stessi in quanto ci permettono di accedere direttamente ai pensieri di Ursula Le Guin. Che ha sempre da dire cose interessanti.
Titolo | I Dodici Punti Cardinali |
Autore | Ursula K. Le Guin |
Data | 1975 |
Pubblicazione italiana | 1979/2004 |
Editore | Nord |
Traduttore | Roberta Rambelli |
Titolo originale | The Wind Twelve Quarters |
Pagine | 291 |
Reperibilità | Reperibile online (poche copie) |
Questo racconto riguarda una bellissima donna, Semley, alla ricerca di un tesoro perduto della sua stirpe: una collana d’oro con incastonato uno zaffiro. La sua ricerca la conduce in un altro pianeta: la collana è conservata in museo. Il ritorno a casa, però, le riserva qualche sorpresa…
È un bel racconto: uno dei primi della scrittrice, pubblicato nel 1963. Interessante notare il rapporto tra racconto e romanzo. La collana di Semley, (chiamato anche La dote dell’Angyar) darà in seguito origine al romanzo Il mondo di Rocannon.
Quando lo finii, non mi occupai più di Semley; ma c’era un personaggio secondario, una comparsa, che non rientrò diligentemente nell’oscurità quando il racconto venne ultimato, e che continuò ad assillarmi. “Scrivi la mia storia”, ripeteva, “Io sono Rocannon. Voglio esplorare il mio mondo…”. Così gli ubbidii. Con certa gente non si può discutere.
Questo è il secondo racconto pubblicato da Ursula Le Guin. Interessante la sua introduzione, che, tra le altre cose, dice:
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Aprile a Parigi è un racconto curioso, improbabile: attraverso un rituale di magia nera, alcune persone provenienti da secoli diversi vengono trasportate in una Parigi di fine ‘400. Gli scorci di questa Parigi antica sono affascinanti, e le interazioni fra donne medievali e donne dell’anno 7000 bizzarri e divertenti.
I maestri fu il mio primo racconto pubblicato di genuina fantascienza in pura lana vergine: intendo un racconto in cui l’esistenza e le realizzazioni della scienza sono in qualche modo essenziali. Almeno, questo è ciò che intendo al lunedì per “fantascienza”. Il martedì, qualche volta, intendo qualcos’altro.
Inizialmente un po’ ostico, andando avanti con la lettura si fa chiaro lo sviluppo di questa storia, che ruota attorno a delle scoperte matematiche importanti, bollate come arti nere.
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Uno dei miei racconti preferiti dell’antologia, che ho riletto spesso negli anni. In questo mondo senza ombre, l’ora è fissa sempre alle 10 meno 10. Il tempo sembra scorrere di pochissimo – qualche ora al massimo – pertanto il principe Rikard va a combattere il fratello in spiaggia, lo sconfigge, torna a casa per poi ripetere tutto daccapo. Sarà un bambino a trovare una scatolina proveniente dal mare, contente il buio, a cambiare lo scorrere del tempo.
Questo racconto, insieme al successivo, rappresenta un primo approccio al mondo di Earthsea, successivamente esplorato così tanto da generare cinque romanzi e una raccolta di racconti. Inoltre, secondo la Le Guin, questo racconto…
rivela anche una certa passione per gli alberi, che se ci fate caso, continuano a spuntare in tutte le mie opere.
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Un altro tema qui affrontato è quello della morte, poi sviluppato nel terzo libro di Earthsea.
L’altro racconto su Terramare è meno cupo del precedente ed è ambientato in una isoletta lontana, Sattins. Il tema affrontato principalmente è quello dei nomi… e dei draghi.
Questo racconto è ambientato su Gethen, il pianeta de La mano sinistra delle tenebre. L’autrice ha voluto rendere giustizia alla questione dei pronomi – i getheniani sono androgini, ma nel libro principale ci si riferisce a loro con i pronomi maschili – utilizzando il femminile per tutti gli abitanti di questo mondo. La cosa mi ha un po’ sconcertato all’inizio: curioso quanto diamo per scontate certe cose.
Questo racconto fu pubblicato quando le droghe erano all’ordine del giorno nei mezzi d’informazione, e una delle reazioni fu che io cercavo di approfittare di un argomento scottante. […] Non è un racconto antidroga. La mia unica convinzione incrollabile, per quanto riguarda le droghe (erba, allucinogeni, alcol) è a sfavore della repressione e favore dell’educazione. Devo riconoscere che quanti espandono la loro coscienza vivendo anziché prendendo sostanze chimiche, di solito tornano indietro con relazioni molto più interessanti. Ma anch’io sono tossicomane (tabacco), e sarebbe sciocco da parte mia celebrare o condannare chiunque altro per una tossicodipendenza più o meno simile.
Questa è l’introduzione a questo racconto molto breve e semplice, senza infamia e senza lode.
Libra è un pianeta definito morto ed epilettico, spesso soggetto di terremoti, dove Owen Pugh (geologo extraterrestre) e Alvaro Guillen Martin (tecnico e cartografo) si sono stanziati a causa di una grande miniera di uranio.
Era vivo dentro, ma esteriormente morto, e il suo volto era una rete nera e brunogrigiastra di pieghe, protuberanze, crepe. Era calvo e cieco. I tremori che scuotevano la faccia di Libra erano soltanto fremiti di corruzione. Sotto, nei neri corridoi, nelle gallerie sotto la pelle, c’erano crepitii nell’oscurità, fermenti, incubi chimici che si protraevano da secoli. – Oh, maledetto pianeta flatulento – mormorò Pugh, mentre la cupola vibrava e una bolla scoppiava un chilometro a sudovest, spruzzando pus argenteo sul tramonto.
Ad aiutarli viene una squadra di… cloni. Dieci cloni di un tale John Chow, un biomatematico morto a 24 anni, dalle cui cellule intestinali che hanno coltivato per la clonazione. Questo gruppo non pensa le stesse cose contemporaneamente, infatti
Niente esp, niente di eccezionale. Ma pensiamo in modo simile. Abbiamo esattamente lo stesso equipaggiamento. Dato lo stesso stimolo, lo stesso problema, è estremamente probabile che abbiamo le stesse reazioni e soluzioni nello stesso tempo. Le spiegazioni sono facili: di solito non abbiamo neppure bisogno di darle. Raramente ci fraintendiamo. E questo facilita il nostro lavoro di squadra.
Come sempre con la Le Guin, le implicazioni più affascinanti sono quelle psicologiche; in questo senso si evolve il racconto, che mi ha appassionato e coinvolto parecchio.
In un villaggio si avvicina la fine del mondo. Quasi tutti – dai vecchi ai bambini – si preparano per lasciare la città e recarsi da qualche parte per salvarsi. Ma non tutti appunto: un uomo, ispirato da un sogno, decide di costruire una strada di mattoni sott’acqua, per arrivare a qualche fantomatica isola. In quel villaggio, o in quella parte di mondo, non esistono nemmeno alberi… un racconto un po’ magico, un po’ romantico, con un bel finale.
Molti “vivono vite di silenziosa disperazione”, e molti racconti cominciano così. Eravamo in Inghilterra ed era novembre, e veniva buio alle due del pomeriggio e pioveva e la valigia contenente i miei manoscritti era stata rubata nel porto di Southampton e io non scrivevo niente da mesi e non riuscivo a capire il fruttivendolo e lui non riusciva a capire me.
Dopo questa fase di “blocco dello scrittore”, i manoscritti vengono recuperati e lei riprende a scrivere. Questo racconto quindi rappresenta una sorta di “apribottiglie”. Ed è l’unico che non mi è piaciuto; in realtà non l’ho nemmeno capito. Fortunatamente è brevissimo. Molto più interessante, in questo caso, è l’introduzione che vi ho citato.
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Mi prendo un pochino di spazio in più per parlarvi di questo racconto, sicuramente uno dei miei preferiti (l’ho riletto parecchie volte). Questa vicenda fantascientifica tratta di un equipaggio che parte alla volta di un pianeta non ancora colonizzato dagli Hain; i volontari sono del tutto squilibrati.
Quale individuo sano di mente, dopotutto, andrebbe in giro a raccogliere informazioni che verrebbero ricevute solo dopo cinque o dieci secoli? L’interferenza della massa cosmica non era stata ancora eliminata dall’ansible, e perciò la comunicazione istantanea era affidabile solo entro un raggio di 120 anni-luce. Gli esploratori si trovavano completamente isolati. E naturalmente non sapevano cos’avrebbero trovato al ritorno, se fossero tornati. Nessun essere umano normale che avesse fatto l’esperienza dello scarto del tempo – anche solo per pochi decenni – tra i mondi della Lega si sarebbe offerto volontario per un viaggio che tra andata e ritorno richiedeva secoli. I Ricognitori erano spostati. Erano matti.
La storia mette su un cast abbastanza variegato (due cetiani, due haini, una beldeniana e cinque terrestri) di scienziati con varie competenze: tra gli altri, abbiamo Porlock (chimico, fisico, geologo), Mannon (psicologo, psichiatra, antropologo), Asnanifoil (matematico e navigatore), Haito (coordinatrice), Olleroo (assistente scienziata)… ma il vero protagonista, il personaggio geniale è Osden. Osden era affetto dalla Sindrome di Render, una variante di autismo (da cui è guarito). Le sue capacità empatiche sono fuori dalla norma, incredibilmente potenziate: la sua sola presenza causa estremo disagio all’intero equipaggio. Osden, avvertendo l’ostilità degli altri membri, reagisce a sua volta con disprezzo, o ignorandoli. Quando Haito dice a voce alta che sarebbe preferibile l’autismo a questa “guarigione”, Osden replica:
Sono d’accordo […]. Perfino l’autismo sarebbe preferibile allo smog delle meschine emozioni di seconda mano con cui mi circondate. Perché adesso sta trasudando odio, Porlock? Non sopporta la mia vista? Vada a praticare un po’ di autoerotismo come ha fatto stanotte: migliora le sue vibrazioni.
Osden fa parte della squadra per la sua ricettività bioempatica ad ampio raggio: può captare sensazioni di qualsiasi cosa capace di sentire, dalla sofferenza di uno scarafaggio schiacciato alla fototropia di una falena. Haito gli chiede cos’è una emozione. Osden risponde:
Schifo. […] Gli escrementi psichici del regno animale. Io mi muovo a guado nelle vostre feci.
Le interazioni fra i vari membri del gruppo variano dal drammatico al comico, e non stancano mai.
Il mondo 4470 non ha vita animale: sono presenti solo piante, in una grande varietà e moltitudine.
Quando incominciarono le analisi sul campo non trovarono animali, neppure a livello microscopico. Lì nessuno mangiava qualcun altro. Tutte le forme di vita erano basate sulla fotosintesi o sulla saprofagia: vivevano della luce o della morte, non della vita. Piante: infinite piante, e nessuna specie nota ai visitatori venuti dalla casa dell’Uomo. Infinite sfumature e intensità di verde, viola, porpora, marrone, rosso. Silenzi infiniti. Si muoveva solo il vento, agitando foglie e fronde, un caldo vento mormorante carico di spore e di pollini, che alitava la dolce polvere verdechiara sulle praterie di grandi erbe, sulle brughiere senza erica, sulle foreste senza fiori, dove nessuno aveva mai messo piede e dove nessun occhio aveva mai guardato. Un mondo caldo, triste: triste e sereno.
I problemi arrivano quando la squadra percepisce un senso di panico incredibile: è possibile che le piante reagiscano in questo modo all’invasione? E come reagisce Osden a queste emozioni così violente, percepite anche da chi non è empatico? Beh… leggete questa novella e lo saprete!
Un astronomo vede bruciare la sua casa e i locali in cui lavorava; ora lo cercano per bruciarlo vivo, per eresia. Il conte Bord, affascinato dai suoi discorsi e dal suo lavoro, lo protegge portandolo nella zona abbandonata di una miniera. Girovagando per la miniera, incontra dei minatori che lo aiutano con del cibo; l’astronomo li aiuta lavorando insieme a loro. Si tratta di un racconto affascinante, in qualche modo collegato a I maestri: non fondato su un congegno o un’ipotesi ma sull’idea stessa di scienza. Questo pezzo mi ha colpito particolarmente:
Non esiste luogo privo di luce, dello splendore e del conforto dello spirito creatore. Non esiste luogo che sia reietto, abbandonato, dimenticato. Non esiste un luogo immerso nel buio. Là dove hanno guardato gli occhi di Dio, c’è luce. Dobbiamo andare oltre, guardare più oltre! C’è luce, se vogliamo vederla. Non soltanto con gli occhi, ma con la maestria delle mani e la conoscenza della mente e la fede del cuore si rivela l’invisibile, si scopre ciò che è nascosto. E tutta la terra buia splende come una stella addormentata.
Un gruppo di astronauti torna sulla Terra dopo un viaggio esplorativo su un pianeta, in particolare in luogo chiamato “la sala”. Uno di loro è morto, un altro pare catatonico, il terzo invece sembra essere cieco. Cosa vede, Gerry, quando apre gli occhi? Qualcosa di indescrivibile: prima immagini che si sfocavano e diventavano trasparenti, poi luce, troppa luce che cancella tutto. Lo psichiatra Shapir commenta così la situazione:
“Avere l’input sensorio più importante per la mente conscia (la vista) che segnala cose inesistenti e incomprensibili, in flagrante contraddizione con tutto il resto dell’input sensorio (il tatto, l’udito, il senso dell’equilibrio e così via) e constatare che continua, ogni volta che cerca di aprire gli occhi, e non soltanto sopportarlo ma tentare d’indagare… non mi sembra facile.”
Temski, lo scienziato in stato catatonico, si scopre avere un problema all’udito: una volta messi dei tappi alle orecchie, sembra in grado di rendersi conto della realtà circostante. Col passare del tempo, Temski riesce a gestire e controllare le due sensazioni trasmesse dalle orecchie: la realtà… e cos’è il resto?
Avete mai letto un racconto dal punto di vista di un… albero? Ursula Le Guin l’ha scritto. Una grande quercia, che si ingrandisce e si rimpicciolisce in base a chi lo guarda, continuamente; dapprima è facile, solo qualche galoppo. Poi con l’avvento dei cavalli diventa più arduo sincronizzare i movimenti, mai quanto con le macchine; con il continuo traffico, la quercia cresce enormemente, torreggia, per poi rimpicciolire e sparire. Molto in fretta. Ma la quercia sostiene fieramente l’ordine delle cose. Ci sono tanti piccoli dettagli magnifici: le altre creature non arboree le chiama “esseri sradicati”, oppure non si risparmia a commentare altri alberi.
I meli del frutteto ai piedi della collina non sembravano dispiaciuti: ma si sa che i meli sono docili. I loro geni vengono manomessi da secoli. E poi sono creature di branco: difficilmente un albero da frutto può avere opinioni sue.
Questo racconto mi ha fatto ridere tantissimo e piangere allo stesso tempo, verso la fine. E non sono sicuro di averla capito del tutto: come sostiene un saggio su questo racconto, a ogni rilettura acquisisco una piccola consapevolezza in più, una nuova intuizione.
Mi viene estremamente difficile parlarvi di questo racconto, vincitore del premio Hugo nel 1973. È un racconto così elevato che qualsiasi descrizione che possa farne sarà sempre indegna. Mi tremano le mani nello scrivere, i miei occhi diventano lucidi: so di trovarmi dinanzi un capolavoro, un testo che ti scuote e ti rivolta. Trattasi di uno psicomito, che trae origine da William James, un pensatore americano radicale. Questi pone una domanda: vorreste vivere in un mondo utopico in cui tutti sono incredibilmente felici, a costo che una persona, un’anima perduta, viva in una condizione di estrema infelicità e solitudine?
Naturalmente non è che io abbia letto James e poi abbia detto “Ora scriverò un racconto su quell’”anima perduta”. Di rado le cose vanno in modo tanto semplice. Mi misi a sedere e cominciai a scrivere un racconto, solo perché ne avevo voglia e non avevo in mente altro che la parola “Omelas”. Proveniva da un cartello stradale (Salem, Oregon) letto al contrario. Non leggete mai i segnali stradali al contrario? POTS. ALOUCS ERATNELLAR. Ocsicnarf Nas… Salem uguale schelomo uguale salaam uguale pace. “Dove prende le sue idee, signora Le Guin?” Dimenticando Dostoevskij e leggendo a rovescio i segnali stradali, naturalmente. Dove, se no?
Omelas è una città meravigliosa e ricca, i cui cittadini sono felici e gioiosi. Qual è la ragione? Non c’è un re, e non ci sono schiavi. Ci sono poche leggi, e fanno a meno della pubblicità, della polizia e delle bombe. Attenzione però:
non erano gente semplice, pastori zuccherosi, buoni selvaggi, miti utopisti. Non erano meno complessi di noi. Il guaio è che noi abbiamo la pessima abitudine, incoraggiata dai pedanti e dai sofisticati, di considerare la felicità come qualcosa di abbastanza stupido. Solo la sofferenza è intellettuale, solo il male è interessante. Questo è il tradimento dell’artista: il rifiuto di riconoscere la banalità del male e la terribile noia della sofferenza. Se non potete batterli, unitevi a loro. Se fa male, ripetete. Ma elogiare la disperazione significa condannare la gioia, abbracciare la violenza significa abbandonare tutto il resto. Abbiamo quasi perduto la presa: non sappiamo più descrivere un uomo felice, né celebrare la gioia.
I cittadini di Omelas sono felici, ma a un prezzo altissimo: un bambino viene tenuto rinchiuso in un seminterrato buio, piccolo. Il bambino è nudo, siede sui propri escrementi e vive di una mezza ciotola di farina di granoturco e di grasso al giorno. Tutti i bambini, almeno una volta nella vita, vanno a trovare il bambino: nessuno però può toccarlo o parlargli. Gli abitanti di Omelas prima rifiutano, si arrabbiano, vivono un periodo di tensione: poi però capiscono che la loro felicità e la loro prosperità, dipende dalla misera vita di quel bambino. Si giustificano sostenendo che, anche se sarebbe bello se il bambino conoscesse di nuovo calore e affetto, sarebbe ormai troppo degradato per poterne beneficiare; inoltre nessuno vorrebbe liberarlo, perché questo significherebbe il declino di Omelas. Non tutti gli abitanti però accettano il compromesso, può capitare che uno di loro taccia per qualche giorno, per poi avventurarsi fuori la città.
Credit illustration by Rob Dunsmuir
Il lavoro di ricerca sull’anarchia fatto da Ursula Le Guin è stato notevole, ed è durato anni:
Inserirla in un romanzo, cosa che prima non era mai stata fatta, fu per me un lavoro duro e lungo e mi assorbì completamente per vari mesi. Quando lo terminai mi sentii perduta, esiliata: una persona senza più patria. Perciò fui molto riconoscente quando Odo uscì dalle ombre del golfo della probabilità e volle che scrivessi un racconto non più sul mondo da lei realizzato ma su lei stessa. Questo racconto narra di uno di coloro che si allontanarono da Omelas.
Odo, la celebre rivoluzionaria, colei che scrisse libri come Comunità, Analogia, Società senza governi e così via, è qui ritratta nella sua vecchiaia: una vecchietta piena di pensieri e acciacchi, con la mente rivolta all’uomo che amava. Il racconto (vincitore del premio Nebula) ripercorre la memoria di avvenimenti del passato di Odo, piccoli, deliziosi dettagli di colei che ha creato il mondo su Anarres. Il racconto conclusivo quindi, “autunnale”, è denso di emozioni e di richiami al grande capolavoro della scrittrice.
Abbiamo percorso insieme questo viaggio alla scoperta di questi Dodici punti cardinali. Forse ho parlato troppo. Ma se avrò incuriosito anche una sola persona, allora il lavoro non è stato invano. Ringrazio tantissimo Phèdre Banshee per aver creato le immagini; dovrebbero esserci tutti i credits giusti, eventualmente basta contattare la redazione Lande Incantate per rimuovere un contenuto inappropriato.
Voto: 9.5/10
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Una volta in una libreria dell’usato ero indecisa se prenderlo, e alla fine scelsi La Mano Sinistra delle Tenebre, ma penso che prima o poi mi procurerò anche questo.
“Aprile a Parigi”, “La scatola del buio”, “Nove vite”, “Cose”, “Più vasto degli imperi e più lento”, “Quelli che si allontanano da Omelas” sono i racconti che mi hanno incuriosito di più.
Davvero una bella recensione.