Lo sguardo le cadde su un soffione solitario e per un istante si ritrovò a pensare che una Luce più piccola lo avrebbe strappato, avrebbe espresso un desiderio e avrebbe soffiato. Ma i desideri della Luce del presente erano troppo pesanti per qualcosa di tanto leggero.
Titolo: Fallen
Autore: Lauren Kate
Editore: Rizzoli
Pagine: 442
Prezzo: ebook 10,99€ – brossura 11,90€
Reperibilità: Online e in libreria
In seguito a un tragico e misterioso incidente, Lucinda è stata rinchiusa a Sword&Cross, un istituto a metà fra il collegio e il riformatorio. Nell’incidente un suo amico è morto. Lei non ricorda molto di quella terribile notte, ma la sua ricostruzione dei fatti non convince la polizia. La vita nella nuova scuola è difficile: il senso di colpa non le lascia respiro, proprio come le telecamere che registrano ogni singolo istante della sua giornata. E tutti gli altri ragazzi, con cui è più facile litigare che fare amicizia, sembrano avere alle spalle un passato spiacevole, se non spaventoso. Tutto cambia quando Luce incontra Daniel. Misterioso e altero, prima sembra far di tutto per tenerla a distanza, ma poi è lui a correre in suo aiuto, e a salvarle la vita, quando le ombre scure che Luce vede in seguito all’incidente le si stringono intorno. Luce, attratta da Daniel come una falena dalla fiamma di una candela, scava nel suo passato e scopre che standogli vicino, proprio come una falena, rischia di rimanere uccisa: perché Daniel è un angelo caduto, condannato a innamorarsi di lei ogni diciassette anni, solo per vederla morire ogni volta… Insieme, i due ragazzi sfideranno i demoni che tormentano Luce, e cercheranno la redenzione.
«Se a questo mondo è rimasto qualcosa di buono, tu saprai trovarlo.»
Scusate regà, non ho resistito a tanta balordaggine annunciata.
Io adoro i trailer. Andando al cinema sono sempre quella che non vuole fare tardi per non perderli, a volte se mi piacciono tanto mi commuovo e spesso li reputo migliori del film per intero.
Di questo romanzo, era balordo persino il trailer, al punto che sono corsa in biblioteca a prenderlo, attirata “come una falena dalla fiamma di una candela” per citare la scrittura scialba della Kate. Inoltre, volevo prendere anche il primo libro de La Confraternita del Pugnale Nero (Recensione: QUI), per iniziare una rilettura.
Quel giorno, avevo confuso gli orari e mi ero resa conto che il banco dei prestiti stava per chiudere, quindi, siccome passo parecchio tempo tra gli scaffali e conoscevo l’esatta collocazione dei libri, per non sprecare un viaggio mi sono messa a correre.
Io immagino la scena dal punto di vista degli studenti ancora lì: arriva una tizia di corsa, tutta imbacuccata, con gli occhiali appannati; sfreccia tra gli scaffali e afferra al volo due tra i libri più tamarri della biblioteca e poi fugge via.
La donna le rivolse il classico sorriso da “tu sei il tipo che legge” che Luce riceveva dai bibliotecari da tutta la vita.
Nel mio caso lo sguardo è stato “Tu sei il tipo che legge questa roba”, e nei giorni in cui ho letto questo romanzo in biblioteca, ho tolto la sovraccoperta e mi sono posizionata in punti strategici per non far vedere agli altri da quale libro prendevo appunti.
La gente non avrebbe capito. La gente non sa. Non immagina.
Ogni volta che qualcuno le parlava come se fosse una psicopatica, Luce si convinceva sempre un po’ di più di esserlo davvero.
Penso che prima di tutto io debba presentarvi i tre furetti personaggi principali. In realtà i personaggi della storia sarebbero anche tanti, ma essendo tutti degli stereotipi con lo spessore di un foglietto, ho preferito evitare.
Piccola premessa, visto che li prenderò in giro parecchio:
Non ho dimenticato cosa vuol dire essere adolescenti, confusi e con gli ormoni a mille. Ho alle spalle talmente tanti film mentali e amori platonici da poter scrivere un libro (no, non lo scriverò), tuttavia, quando questo lato adolescenziale viene portato all’estremo, stereotipato, trattato con superficialità e spacciato come se fosse una cosa normale, e soprattutto quando si punta alla bassa autostima delle lettrici adolescenti per farle immedesimare, come appunto ha fatto Lauren Kate in questo romanzo, allora come lì mi girano le balle, e do il peggio meglio di me.
Il ragazzo alla sua sinistra, invece, combaciava fin troppo bene con l’idea che Luce si era fatta di quel posto. Era alto e magro, con una borsa da DJ appesa alla spalla, capelli neri arruffati e occhi verdi, grandi e profondi. Aveva le labbra piene, di un rosa per cui molte ragazze avrebbero dato qualsiasi cosa. Dal bordo della maglietta nera, sulla nuca, spuntava il tatuaggio di un sole che sulla pelle chiara pareva quasi risplendere.
Lui è il figo#1. I nomi sono solo per distinguerli, non c’è nessuna caratterizzazione che non sia stereotipo. Non c’è spessore, non c’è credibilità. Lui è il figo sfortunato, quello che sappiamo già che, per quanto si impegni, verrà solo usato dalla protagonista in attesa che le cose col figo#2 si sistemino. E qui la protagonista non si fa proprio nessun problema ad usarlo come fantoccio.
E d’un tratto Luce sentì un terribile bisogno di scusarsi con lui per aver abbandonato la festa così presto… era strano, però, dato che non stavano insieme e lei non doveva rendere conto a Cam dei suoi spostamenti. Ma allo stesso tempo le piaceva quando lui le dedicava tutte quelle attenzioni. Le piaceva il suo odore. Profumava di fresco, come l’aria aperta, come guidare di notte con i finestrini abbassati. Le piaceva il modo in cui si concentrava solo su di lei mentre l’ascoltava, quasi che non riuscisse a vedere o sentire nessun altro. Le piaceva perfino che l’avesse praticamente presa in braccio alla festa, proprio sotto gli occhi di Daniel. Non voleva fare niente che potesse spingere Cam a riconsiderare il proprio comportamento nei suoi confronti.
No ma tranquilla, fai pure. Io intanto prendo i pop corn.
Luce arrossì. In genere i tipi rock non le interessavano, ma in effetti nessuno di loro aveva mai spostato il banco così vicino al suo, né si era mai seduto accanto a lei, guardandola con occhi così verdi.
Cam si frugò in tasca e ne recuperò un plettro verde con impresso sopra il numero 44.
«È il numero della mia stanza. Passa quando vuoi.»
Oh yeah, peccato che Cam semini plettri in giro, ma non si sia visto con la chitarra in mano nemmeno una volta, non la nomina nemmeno.
Fu allora che notò un’altra violazione al codice dell’abbigliamento.
Una violazione molto attraente.
Portava una sciarpa rosso acceso. Fuori non faceva affatto freddo, eppure indossava un giubbotto nero di pelle da motociclista sul pullover nero. Forse era perché la sua era l’unica macchia di colore in tutto il parco, ma Luce non riusciva a distogliere lo sguardo. Al confronto tutto il resto impallidiva talmente che per un lungo istante Luce dimenticò dove si trovava.
Lui è il figo#2, quello che vive di rendita perché destinato a stare con la protagonista, e che quindi non c’è bisogno che sfoderi una frase di senso compiuto o qualsiasi cosa gli dia un minimo di spessore. E lei, ovviamente, cade ai suoi piedi praticamente dal primo momento in cui lo vede.
Contemplò i suoi capelli color oro intenso e l’abbronzatura; gli zigomi alti, gli occhiali neri, le labbra morbide. In tutti i film che Luce aveva visto, in tutti i libri che aveva letto l’oggetto dell’amore era di una bellezza sconvolgente… tranne che per un piccolo difetto. Il dente spezzato, i capelli ribelli, una voglia sulla guancia sinistra. Lei sapeva il perché: se l’eroe è troppo perfetto, rischia di essere inavvicinabile. Avvicinabile o meno, Luce aveva sempre avuto un debole per il sublime. E il ragazzo davanti a lei lo era al cento per cento.
L’autrice ci tiene proprio a dircelo: “Originale? No, no, no! Figaccione biondo 4ever!!” (Si io immagino parli così)
Il personaggio di Daniel si può riassumere in questi paragrafi straripanti degli ormoni di Luce. E si dimostra da subito un gran gentiluomo maturo, che dimostra tutti i secoli vissuti:
Un fiotto di calore la attraversò e la ragazza dovette aggrapparsi alla panchina per sostenersi. Sentì le sue labbra scattare a loro volta in un sorriso, ma poi Daniel alzò una mano.
E le mostrò il medio.
Inoltre, non notate subito qualcosa di strano? Se Daniel ha vissuto per secoli e sa che ogni volta che si avvicina a Luce lei tira le cuoia… Non avrà studiato negli anni un piano per evitarla? Per non farsi scoprire? O non avrà anche solo imparato a controllarsi per non fare gaffe in sua presenza?
«Um» tentennò Luce, spremendosi il cervello in cerca di una bugia credibile. Invano. Fece scrocchiare le nocche.
Daniel le coprì le mani con le sue. «Non sopporto quando lo fai.»
Luce si ritrasse di scatto. Le loro mani si erano appena sfiorate, eppure Luce si sentì arrossire. Daniel doveva aver formulato male la frase, per forza. Voleva dire che sentire scrocchiare le nocche gli dava sui nervi, chiunque lo facesse, giusto?
No, ovviamente no.
«Hai vinto?»
Luce fece una risata triste e scosse la testa. «Neanche per idea.»
Daniel strinse le labbra. «Ma tu sei sempre stata…»
«Io sono sempre stata cosa?»
Non capiva che cosa stesse succedendo. Non capiva niente. E non le piaceva che a tutti gli altri invece fosse chiaro.
Eccola qui, la perla di questo romanzo. Colei che mi ha fatto ridere e venir voglia di darle una testata a distanza di minuti. Ho riflettuto se tagliare qualche citazione, già selezionate prima dal mucchio, ma poi ho pensato, perché privarvi di tanta balordaggine?
Vi avviso, se siete sensibili alla stupidità umana non leggete oltre, perché questa è scema forte.
Luce si infilò rapida nel gruppetto. Stava ancora cercando di capire se aveva compilato nel modo giusto la gigantesca pila di documenti, se quella guida dalla testa rasata era un uomo o una donna, se qualcuno poteva aiutarla a portare l’enorme sacca da viaggio, se i suoi genitori, dopo averla mollata lì, si sarebbero disfatti della sua amata Plymouth Fury non appena tornati a casa.
Luce nella prima scena già ha difficoltà a distinguere i sessi. Quindi iniziamo subito benissimo.
Donna, si disse Luce, studiandola.
Fermi tutti, ha avuto un’intuizione.
Nessun uomo sarebbe stato tanto malizioso da usare un tono così dolciastro.
Ah quindi l’ha capito da cosa ha detto, non dal tono di voce.
Luce era sbalordita. A Dover il mondo esterno era molto più a portata di mano, eppure non aveva mai saputo come fare per prendersi una sbronza. Cam era tornato da poco alla Sword & Cross, ma sembrava già sapere come si faceva a rimediare tutto l’occorrente per mettere in piedi una serata dionisiaca a cui invitare l’intera scuola.
Da brava adolescente stereotipo, trovare il modo per prendersi una sbronza è fondamentale, immagino quanto ti sarai impegnata, cercando una soluzione.
Le sue labbra sembravano quasi appetitose, soprattutto mentre diceva: «Saltavo su ogni volta che sentivo bussare, sperando che fossi tu.»
Ma Cam ti ha visto una sola volta, non ti sembra un po’ strano che sia così preso?
Qualunque fosse la cosa che l’aveva conquistato così in fretta, Luce non aveva intenzione di rovinarla. Cam era popolare, inaspettatamente premuroso, e le sue attenzioni la facevano sentire molto più che adulata. La facevano sentire più a suo agio in quel posto nuovo e strano. Luce sapeva che se avesse provato a rispondere al complimento avrebbe inciampato nelle parole. Quindi scoppiò a ridere, cosa che fece ridere anche lui, che poi la attirò a sé in un altro abbraccio.
Beh sì, scusa. Stolta me che cerco di trovare una logica tra furetti arrapati.
«Alla Sword & Cross ci sarà una cerimonia funebre giovedì» disse Gabbe a bassa voce. «Io e Daniel daremo una mano a organizzarla.»
Ecco, adesso è morta una persona. Luce sarà adeguatamente dispiaciuta e concentrata.
«Daniel?» ripetè Luce prima di riuscire a trattenersi. Guardò Gabbe, e perfino così sconvolta dal dolore non potè evitare di ritornare alla prima immagine che si era fatta di lei: una seduttrice bionda con le labbra rosa.
Era una bella giornata, proprio quel genere di giornata in cui una ragazza si sente sola se non ha in programma di uscire per andare a divertirsi.
Perché ovviamente leggere qualcosa ti farebbe sentire male, giusto? Un po’ come Cam che è rock ma senza chitarra, lei dice di amare la lettura ma non nomina un libro nemmeno per sbaglio.
Ma attenti che, se qualcuno gli fa notare qualcosa sulla sua intelligenza, si agita anche.
«Non capisco?» domandò. «Non capisco? Te lo dico io cosa capisco. Pensi di essere così intelligente? Ho studiato tre anni nel miglior college del Paese con una borsa di studio, e quando mi hanno sbattuto fuori ho dovuto fare un ricorso, un ricorso!, perché non cancellassero il mio curriculum scolastico.» […] «So il latino e il francese, ho vinto il concorso di scienze per tre anni di seguito.» […] «Faccio anche le parole crociate per super sapientoni, qualche volta in meno di un’ora. Ho un infallibile senso dell’orientamento… anche se non funziona sempre quando si tratta di ragazzi.»
…Regà chi glielo spiega che l’intelligenza non c’entra nulla con queste cose?
Sì Luce, bel tentativo.
Luce aveva fatto solo un passo indietro, ma all’improvviso sentì due mani che le davano un violento spintone. In un attimo realizzò che stava per cadere. D’istinto tese le mani in cerca di un sostegno, ma riuscì ad aggrapparsi solo al vassoio pieno di un altro studente. Il cui contenuto ovviamente rovinò a terra insieme a lei. Cadde con un tonfo, e una scodella di borscht le si rovesciò in faccia.
E potevano mancare le classiche figure da imbranata? L’autrice cerca in tutti i modi di puntare alla bassa autostima delle lettrici adolescenti, per farle immedesimare, come se fosse normale essere a questi livelli, e che dopo, addirittura, due figaccioni si innamoreranno di loro.
E dopo ovviamente non servirà mica avere una propria opinione, perché potrà essere tranquillamente modificabile in base a quello che pensa il ragazzo.
«Cosa ne pensi del ripasso?» Daniel sembrava chiuso in se stesso, rigido, come se non si fossero mai parlati prima. Forse la prendeva in giro.
«È stato una tortura» rispose Luce. L’aveva sempre irritata la posa di certe ragazze brillanti che fingono di non sopportare una cosa solo perché presumono che sia quello che i ragazzi vogliono sentire. Ma in quel caso non stava fingendo. Era stata una vera tortura.
«Bene» ribatté Daniel, come compiaciuto.
«È stata una tortura anche per te?»
«No» rispose lui, enigmatico, e Luce rimpianse all’istante di non aver mentito per sembrare più interessante.
«E con chi pensavi di fare un picnic prima che arrivassi io?»
«Prima che arrivassi tu?» Cam rise. «Ricordo a stento la mia triste vita prima che tu ci entrassi.»
Luce gli rivolse un’occhiata appena sprezzante, per fargli capire che considerava quel commento dozzinale…
Ecco brava Luce, vedi che poi alla fine hai un cervello anche tu?
e anche piuttosto incantevole.
…Come non detto.
Cam raccolse la pelle con un sorrisetto e la posò sulla mano di Luce. Sembrava ancora viva, come la buccia umida di una testa d’aglio che suo padre aveva raccolto fresca dall’orto. Ma si era appena staccata dal corpo di un serpente. Che schifo. Luce la buttò per terra e si pulì le mani sui jeans.
«Dai, pensavo che la trovassi carina anche tu.»
«L’hai capito da come tremavo?» Luce si sentiva un po’ in imbarazzo al pensiero di essergli sembrata infantile.
«Che ne è della tua fede nel potere della trasformazione?» chiese Cam toccando la pelle di serpente. «Tutto sommato, siamo qui per questo.»
Si era tolto gli occhiali. I suoi occhi di smeraldo erano pieni di sicurezza. Stava fermo, di nuovo in quell’immobilità non umana, in attesa di una risposta.
Ecco, finalmente qualcuno tira fuori un discorso decente. Forza Luce, è la tua occasione, dimostra di aver capito qualcosa, fai vedere a tutti quanto mi sbagliavo su di te.
«Sto cominciando a credere che tu sia un po’ strano» disse Luce alla fine, con un sorriso esitante.
Ad un certo punto si arrende, riuscivo quasi a sentire il suono del suo cervello che si sgonfia perché scopre di essere in realtà un palloncino.
Più Luce cercava di sbrogliare quella matassa di domande, meno ne veniva a capo. Forse doveva limitarsi a essere abbastanza “trendy” da farsi invitare.
Ecco, giusto. Punta tutto su quello.
Scoccò un’occhiata ai tavoli, alla ricerca di due persone in particolare. Daniel e Cam. Sapendo dov’erano, si sarebbe sentita più a suo agio, perché così poteva mangiare fingendo di non vedere né l’uno né l’altro. Ma per il momento, nessuno dei due era in vista…
«Mercoledì sera» rispose Penn in tono piatto. «Serata evento.»
«Del tipo… un ballo o roba del genere?» domandò Luce, già immaginandosi Daniel e Cam che si muovevano su una pista.
«Cam, tesoro» disse una voce dietro di lui. Era Gabbe, che gli batteva una mano sulla spalla. Due ciocche di capelli perfettamente intrecciate e appuntate dietro le orecchie le circondavano la testa come una fascia. Luce la fissò, gelosa.
Rimase a guardarlo mentre se ne andava con Roland. Lui non si voltò. Ogni passo che lo allontanava da lei la faceva sentire sempre più sola, come mai si era sentita prima.
Sul serio? Non ti sei mai sentita più sola di quando un tizio che conosci appena si allontana da te?
Se solo fosse riuscita a parlare con Daniel. Parlarci davvero, senza che lui la interrompesse per dirle di trasferirsi o se la svignasse prima che lei potesse arrivare al punto. Sarebbe stato d’aiuto.
Ma sì, in fondo sono adolescenti, suvvia, sono pensieri innocenti, niente di inquietante…
Così come legarlo e imbavagliarlo, per costringerlo ad ascoltarla.
Luce non ha pensieri suoi, e quando sono liberi da ormoni o dalla sua stupidità, sono pieni di pregiudizi. Ve ne metto qualcuno a caso ma il romanzo è pieno.
La ragazza sembrava facile da inquadrare: bionda e carina come in una pubblicità della Neutrogena, con unghie rosa pastello in tinta con la cartellina di plastica.
«Mi chiamo Gabbe» disse strascicando le parole, abbagliandola con un gran sorriso che svanì con la stessa rapidità con cui era apparso, prima ancora che Luce potesse presentarsi. Più che la ragazza tipo che si aspettava di trovare alla Sword & Cross, quell’interesse passeggero le sembrò una versione del Sud delle ragazze di Dover. Luce non sapeva dire se fosse consolante o no, e nemmeno riuscì a immaginare che cosa ci facesse in un correzionale una ragazza del genere.
Forse Arriane non amava la scuola in generale. Con le unghie smaltate di nero, la matita nera sugli occhi e la borsa nera che sembrava grande abbastanza solo per il coltellino svizzero, non aveva proprio l’aria della secchiona.
In fondo al corridoio, proprio prima di svoltare verso la biblioteca, Luce passò accanto all’unica porta socchiusa: non aveva decorazioni, ma era tutta dipinta di nero. Dall’interno proveniva un heavy metal pesante. Non c’era bisogno di fermarsi a leggere il nome sulla bacheca per sapere a chi appartenesse quella stanza. Molly.
Un ragazzo e una ragazza che si tenevano per mano avevano un teschio di paillettes con le ossa incrociate cucito sui maglioni neri. A ogni momento uno dei due attirava a sé l’altro per baciarlo sulla tempia, sull’orecchio, sull’occhio. Quando si abbracciarono Luce vide che avevano tutti e due al polso il braccialetto elettronico di sorveglianza. Avevano l’aria un po’ rozza, ma era evidente che si amavano molto.
Questa li ha guardati per due secondi e già li ha catalogati come rozzi.
Si può dire che questo sia il tratto caratterizzante di Luce, e di conseguenza, visto che non c’è altro, di tutto il romanzo: È esagerata, e gli ormoni la fanno andare oltre anche la logica più semplice. Non scherzo se vi dico che sia con Figo#1 che con Figo#2 si scambia si e no qualche frase, tre farfugli, due grugniti e un gestaccio. Eppure tira fuori continuamente paragrafi di questo tipo.
A differenza degli altri due, quando si voltò a guardarla, il ragazzo non distolse gli occhi. Il sorriso era forzato, ma lo sguardo era caldo e vivace. La fissò, immobile come una statua, e anche Luce si sentì inchiodata al suolo. Trattenne il respiro. Quegli occhi erano intensi, seducenti e be’, disarmanti.
Quella più vicina sembrava un Rodin: un uomo e una donna nudi uniti in un abbraccio. A Dover, Luce aveva studiato arte, e aveva sempre pensato che quelle di Rodin fossero le opere più romantiche. Ma ora era difficile guardare gli amanti abbracciati senza pensare a Daniel. Daniel.
«Non succederà più» continuò lei. «Ti giuro che…»
«Non può succedere di nuovo» sussurrò Daniel, ma il suo tono in pratica gridava lite tra innamorati. «Hai promesso che ci saresti stata, e non c’eri.»
Dove? Quando? Luce era disperata. Si incamminò lungo il corridoio, cercando di non fare rumore.
«Gabrielle Givens» chiamò Randy. Luce si voltò: la meno-preferita tra le sue compagne avanzava con passo armonioso in calzoncini e top nero. Era in quella scuola da tre giorni… come aveva fatto a prendersi Daniel?
Ma anche tu sei a scuola da tre giorni e ci hai parlato una volta!
Avrebbe voluto prendersela con Daniel per averle fatto perdere in quel modo il controllo di se stessa, e per un attimo cercò di immaginare la propria vita senza di lui. Ma era impossibile, come sforzarsi di ricordare la prima impressione di una casa dopo averci abitato per anni.
Uh signur, basta così poco?
Luce non ha una spina dorsale o una propria opinione, neanche un pensiero che le resti in testa per più di due minuti. È totalmente in balìa degli eventi, della trama inesistente e dei suoi ormoni. Per tutto il romanzo salta dal figo#1 al figo#2 di continuo, come una pallina da flipper, senza una vera logica a parte creare un triangolo forzatissimo.
Luce non voleva fare giochini, voleva solo stare con Daniel. Ma non aveva la minima idea del perché. O di come affrontare la cosa. O meglio, di che cosa mai volesse dire stare con lui. Sapeva solo che, a dispetto di tutto, Daniel era l’unico a cui pensava. A cui teneva.
Due minuti dopo
Cam si chinò verso di lei e asciugò una goccia che le scivolava lungo il naso. Luce ebbe un brivido, e all’improvviso non potè fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato meraviglioso e rassicurante essere fra le sue braccia come era successo alla cerimonia.
Altri due minuti
«Vuoi andare via?»
Luce si voltò, pronta a inventarsi una scusa per dire a Cam che no, non voleva filarsela, non ora, non con lui. Ma non era Cam che le aveva sfiorato il polso con il pollice.
Era Daniel.
Luce si sentì sciogliere. Alla sua telefonata settimanale mancavano appena dieci minuti, e Luce moriva dalla voglia di sentire la voce di Callie o quella dei suoi genitori, per poter parlare di che cosa succedeva fuori da quei cancelli di ferro battuto, di qualcosa di diverso dalla desolazione degli ultimi due giorni.
Ma uscire? Con Daniel? Si sorprese ad annuire.
Cam l’avrebbe odiata se l’avesse vista andarsene. E non c’erano dubbi che l’avrebbe fatto. Riusciva quasi a sentirsi sulla nuca i suoi occhi verdi. Ma doveva andare. Fece scivolare la mano in quella di Daniel. «Sì.»
E, a lungo andare, come poteva finire una situazione del genere?
Luce chinò la testa all’indietro e Cam in avanti, e un attimo dopo le loro bocche si incontrarono. Le labbra di Cam erano magnifiche, proprio come le erano sempre sembrate.
Era stato un bacio breve, appena accennato, ma a Luce parve molto di più. Le si mozzò il respiro per la sorpresa, l’eccitazione e la consapevolezza che erano stati molti gli spettatori di quel lungo, inaspettato…
«Ma porca…»
La testa di Cam era scattata da un lato; un attimo dopo, Luce si accorse che stava piegato, e si sfregava la mascella.
Ovviamente con i due furetti arrapati che si azzuffano!
Dietro di lui, Daniel si massaggiava il polso. «Giù le mani da lei.»
«Non ho sentito» ribatté Cam, alzandosi piano.
Non potete immaginare quanto abbia riso in questa parte, e si, lo so che sto citando parecchio, ma questa scena merita di essere commentata pezzo per pezzo.
Oh, santo cielo. Stavano facendo a botte. In biblioteca. Per lei.
Ecco, ora che lo hai capito, pensi di provare almeno a dire qualcosa per fermarli?
Poi, in un unico movimento fluido, Cam si allungò verso Luce, tentando di afferrarla. Luce strillò.
Ma fino a due secondi fa te lo stavi baciando! Bella questa cosa che, appena compare Daniel, Cam diventa un mostro.
Ma Daniel fu più veloce. Colpì Cam forte, scagliandolo contro il tavolo del computer, poi lo prese per i capelli e gli immobilizzò la testa. Cam grugnì.
«Ho detto giù le tue luride mani da lei, pezzo di merda.»
Azz, pure le parolacce adesso, roba seria allora.
Nel frattempo, Cam aveva spinto via Daniel, e ora i due stavano uno di fronte all’altro e si muovevano in cerchio. Le scarpe scricchiolavano sul pavimento lucido.
Dai, non se le sono ancora date seriamente, sei ancora in tempo per dire qualcosa.
Daniel fece per abbassarsi prima ancora che Luce si accorgesse che Cam stava caricando. Ma non fu abbastanza rapido. Cam lo colpì con un diretto proprio sotto l’occhio: Daniel barcollò all’indietro investendo Luce e Penn, che finirono contro il tavolo del computer. Daniel si voltò e borbottò un vago “scusa”, poi tornò alla carica.
«Oh, mio Dio, basta!» esclamò Luce, appena un istante prima che Daniel si lanciasse verso la testa di Cam.
Ecco Luce, buongiorno, puoi anche far finta di impegnarti di più a fermarli.
Daniel lo bloccò, tempestandolo di pugni alle spalle e al viso.
«Ah, così mi piace» bofonchiò Cam, girando la testa da una parte all’altra come un pugile. Daniel gli mise le mani attorno alla gola e strinse.
Cam lo trascinò contro un alto scaffale. L’impatto rimbombò nella biblioteca più forte del tuono.
Daniel grugnì e mollò la presa. Cadde a terra con un tonfo.
«Tutto qui quello che sai fare, Grigori?»
Luce barcollò, pensando che forse non sarebbe riuscito ad alzarsi. Ma Daniel si riprese subito.
Quindi, non solo non tenti nemmeno di fermarli, ma ti metti a fare il tifo per quell’altro? Ma stavi baciando Cam!
«Ti faccio vedere» sibilò. «Fuori.» Fece un passo verso Luce, poi se ne allontanò. «Tu resta qui.»
Corsero fuori tutti e due, passando dall’uscita sul retro che Luce aveva usato la sera dell’incendio. Le due ragazze rimasero immobili, a guardarsi a bocca aperta.
«Andiamo» disse Penn, trascinando Luce verso una finestra che dava sul prato. Si schiacciarono contro il vetro, pulendolo dalla condensa del loro respiro.
Certo, prendiamo i posti in tribuna. A nessuno viene in mente di risolverla in modo più intelligente?
La pioggia cadeva a scrosci. Il prato era buio, tranne che per le luci che venivano dalle finestre della biblioteca. Era un pantano, e non si riusciva a vedere nulla.
Poi due figure raggiunsero di corsa il centro del prato, ritrovandosi subito grondanti d’acqua. Parlarono per un momento, poi si fronteggiarono, i pugni alzati.
Daje, un vero duello tra gentiluomini per la donzella flipper.
Luce si afferrò al davanzale. Cam si mosse per primo, scagliandosi contro Daniel e colpendolo prima con una spallata e poi con un calcio alle costole.
Daniel stramazzò a terra, tenendosi il fianco. Alzati, lo incitò Luce.
Ma non stai assistendo all’incontro di Rocky! Senza contare che stai ancora facendo il tifo per quell’altro.
Si sentiva come se anche a lei avessero tirato un calcio. Ogni volta che Cam colpiva Daniel, lei sentiva il dolore sulla sua pelle.
Non riusciva a guardare.
[…] «Che succede?» Luce tornò a sbirciare. «Si è fatto male?»
«Tranquilla» rispose Penn. «È arrivato qualcuno a interrompere l’incontro. Proprio quando Daniel stava recuperando.»
Penn aveva ragione. Qualcuno – forse Mr. Cole – stava attraversando di corsa il campus; appena raggiunse i due contendenti, si fermò e li fissò per un attimo, quasi ipnotizzato dal modo in cui si scagliavano l’uno contro l’altro.
«Fa’ qualcosa» sussurrò Luce, disperata.
Alla fine Mr. Cole prese i ragazzi per la collottola. Lottarono tutti e tre per un momento finché Daniel non riuscì a liberarsi. Scosse la mano destra, fece qualche passo in circolo e sputò nel fango.
«Molto attraente, Daniel» disse Luce, sarcastica.
Ecco, almeno adesso per fortuna ha smesso di idealizzarlo.
Però lo era.
Ve lo dico subito, la trama non c’è. Non spiegano nemmeno perché questi angeli si siano fatti rinchiudere in un istituto del genere visto che sono super-forti e possono anche volare. È tutta fuffa, per mascherare il triangolo tra furetti. Se c’è qualcosa, l’autrice sembra non averci ancora pensato e ha rimandato tutto al secondo libro. Per adesso si perde ancora in un bicchier d’acqua.
Era ancora convinta che l’attrazione per lui fosse innocente, che i loro frequenti incontri nel gazebo fossero solo… liete coincidenze. Quanto era ingenua! Non le avrebbe mai raccontato la verità: quello era il suo segreto.
E fin qua non ci piove, se è un segreto non puoi raccontarle la verità.
Arriane guardò Luce; la ragazza sentì gli angoli della bocca piegarsi verso il basso, nonostante gli sforzi per mostrarsi indifferente.
Ma l’autrice lo sa che solo nei cartoni animati la bocca si piega così?
Lo spinse appena, molto lievemente. Non voleva affatto fargli perdere l’equilibrio, ma quella leggera pressione bastò a farlo cadere all’indietro.
Colta di sorpresa, Luce perse a sua volta l’equilibrio e finì sopra di lui. Daniel, a pancia in su, la guardava a occhi spalancati.
Ma secondo quale legge della fisica può succedere una cosa del genere?
Se già l’autrice fa fatica a gestire una trama che non esiste, figuriamoci un istituto correzionale che fa acqua da tutte le parti.
Nella sezione “Norme per l’abbigliamento” il sito della scuola assicurava che, fino a quando si fossero comportati bene, gli studenti erano liberi di vestirsi come volevano, con solo due piccole limitazioni: stile sobrio e colore nero. E la chiamavano libertà…
Ma perché dovrebbero farli vestire tutti di nero? Per deprimerli meglio? O in modo che, al buio, nei video di sorveglianza siano più difficili da riconoscere?
«E le spie?» domandò Luce, ricordandosi delle onnipresenti telecamere.
«Ho messo qualche batteria scarica qua e là sul percorso dalla mia stanza alla tua» rispose Penn, con la stessa naturalezza di chi dice “Ho appena fatto il pieno alla macchina”.
E da quando le telecamere di sicurezza vanno a pile? Ma Lauren Kate non ha fatto nemmeno una ricerca su google, per vedere come sono fatte? Oppure ha trovato una falla nella sicurezza mondiale e adesso tutti i ladri si metteranno a togliere le pile?
Ma questo è niente, i personaggi possono rigirare le telecamere come vogliono, e ovviamente senza conseguenze.
Tirò fuori un boa di piume di struzzo rosa acceso dalla stessa borsa magica da cui aveva preso i popcorn. «Dammi una mano» disse a Luce, agitando il piede in aria.
Luce intrecciò le dita e le offrì un appoggio: Arriane coprì con il boa la telecamera di sorveglianza, e poi la spense.
Ma l’autrice non ha mai visto un film? Con un tizio che osserva le telecamere e interviene ogni volta che c’è qualcosa di strano? Possibile che non ci sia mai nessuno?
Cieca? Voleva dire che…? Luce azzardò un’occhiata alla telecamera. Cam non stava bluffando: il nastro adesivo era stato applicato con cura sull’obiettivo della telecamera.
No, a quanto pare no.
Penn urlò, raccolse l’astuccio e si appiattì contro la parete. Lo lanciò una, due, tre volte in aria. La quarta volta l’astuccio arrivò abbastanza in alto da colpire e spostare verso sinistra la telecamera fissata al muro, mandandola a riprendere una fila inerte di saggi.
«Il suo amico si chiama Roland» continuò Arriane, indicando con un cenno il ragazzo con i dread. «È forte. È uno di quelli che sa procurarsi le cose, mi spiego?»
Tralasciando lo stereotipo de Ragazzo coi dread=fattone, perché il livello è davvero molto basso anche senza questo, ma ci può essere un espediente narrativo più balordo? Questo ragazzo tira fuori dal cilindro qualsiasi cosa per allestire ogni scenario, e creare situazioni che altrimenti in un istituto correzionale credibile sarebbero state impossibili. E ovviamente non viene mai spiegato come faccia effettivamente a procurarsi tutto.
«Roland» disse Luce, voltandosi verso di lui, «devo chiederti una cosa.»
«Spara.» Estrasse un taccuino e una penna dal blazer a strisce bianche e nere. Posò la penna sul foglio, come un cameriere in attesa di un’ordinazione. «Cosa vuoi? Caffè? Alcol? Ho la roba pesante solo di venerdì. Riviste porno?»
«Shigari?» biascicò Arriane, con il sigaro di cioccolato in bocca.
«No» ribatté Luce. «Niente del genere.»
«Okay, è un ordine speciale. Ho lasciato il catalogo di sopra, in camera.» Roland scrollò le spalle. «Puoi passare più tardi…»
Poi da un punto in poi l’autrice si dimentica anche del suo espediente narrativo, e fa comparire cose a caso anche quando Roland non c’è. Tipo pattini e cocktail dentro noci di cocco in un ospedale.
La tenda si aprì all’improvviso, ed ecco Arriane, con i roller e un’uniforme da infermiera volontaria bianca e rossa, i corti capelli neri raccolti a piccoli ciuffi. Entrò pattinando, reggendo un vassoio con tre noci di cocco da cui spuntavano cannucce fluorescenti e ombrellini colorati.
I quattro si avvicinarono alla scatola e Luce vide, sconcertata, che i ragazzi cominciavano a svuotarsi le tasche. La ragazza estrasse un coltellino svizzero rosa da dieci centimetri. Il tipo dagli occhi verdi si separò con una certa riluttanza da una bomboletta di vernice spray e un taglierino. Perfino il povero Todd lasciò cadere nello scatolone parecchie confezioni di fiammiferi e una piccola bomboletta di gas per accendini. Luce si sentì quasi stupida a non avere niente di pericoloso con sé, ma quando vide gli altri frugare nelle tasche e buttare i cellulari nella scatola, rimase a bocca aperta.
Ma che senso ha portarsi dietro tutte queste cose se già sai che te le toglieranno all’arrivo? Poi c’è anche da capire come questi ragazzi si siano alzati una mattina e abbiano deciso che bombolette spray, fiammiferi e coltellini svizzeri sarebbero stati utilissimi per affrontare la giornata.
E non ha doppiamente senso, visto che sono tutti già stati in quell’istituto e quindi sanno che Roland può magicamente procurare di tutto.
L’insegnante si limitò a gettare un fascio di fogli graffettati sul suo banco e su quello degli altri tre. Luce si chinò a leggere. C’era scritto Storia del mondo. Evitare la rovina dell’umanità. Mmm. Storia era sempre stata la sua materia preferita… ma evitare la rovina?
Bastò un’occhiata più accurata per capire che cosa intendesse Arriane con “girone infernale”: un impossibile carico di letture, COMPITO IN CLASSE scritto in grosse lettere nere ogni tre lezioni, e un tema di trenta pagine su – incredibile! – un tiranno deposto a scelta.
E ovviamente in un istituto correzionale si studiano solo i cattivi della storia e ciò che rovina il mondo. E poi, sempre ovviamente, l’unica altra materia nominata è Religione.
«Se mai qualcuno di voi ha disegnato l’albero genealogico della propria famiglia» vociò sopra il baccano nell’aula, «sa quali tesori si nascondono tra le sue radici.» […] «Potrete navigare in internet per venti minuti alla ricerca del vostro albero genealogico» continuò Miss Sophia picchiettando su un cronometro. «Una generazione equivale più o meno a venti, venticinque anni, quindi l’obiettivo è risalire di almeno sei generazioni.»
Qualcuno mi spiega come si fa a trovare sei generazioni di antenati in venti minuti? O cosa centri questo con la religione? Niente, serve solo per la trama. Ma sicuramente l’autrice si impegnerà a rendere la prossima lezione più credibile…
Lunedì sera, Miss Sophia si trovava dietro a un podio in fondo all’aula più grande del padiglione Augustine, e tentava di fare le ombre cinesi. Aveva convocato i suoi studenti di religione per una lezione supplementare prima dell’esame del giorno dopo, e Luce, dato che aveva già perso un intero mese, pensava di avere molto da recuperare.
No, niente.
Ma perché le ombre cinesi? Non avevano cinque anni!
Aspettate, forse adesso Luce tira fuori un pensiero sensato.
Un attimo dopo, però, si sentì in colpa. Dell’intero corpo insegnante, Miss Sophia era in assoluto la più gentile; l’aveva perfino presa da parte per discutere a quattr’occhi di quanto fosse indietro nella stesura del suo albero genealogico.
No, tranquilli, tutto come al solito.
«Da qui in avanti si estende la foresta» disse Daniel. Uscirono in una radura e Luce restò senza fiato per la meraviglia.
Qualcosa era cambiato durante la loro passeggiata nella foresta, qualcosa che non si poteva spiegare con la semplice distanza dall’edificio color moccio della Sword & Cross. Perché quando sbucarono dagli alberi e raggiunsero un’alta roccia rossa, fu come ritrovarsi in una cartolina, una di quelle che si vedono negli espositori di metallo negli empori di provincia, con l’immagine sognante di un Sud idilliaco che non esiste più. Luce aveva la sensazione che i colori fossero tutti più intensi e brillanti, dal lago blu cristallino sotto di loro alla fitta foresta di smeraldo che lo circondava. Due gabbiani volteggiavano nel cielo chiaro. Alzandosi in punta di piedi, Luce riusciva a scorgere il confine della palude sulla costa, quella che, da qualche parte lungo l’orizzonte invisibile, cedeva poi il passo alla schiuma bianca dell’oceano.
Ma questi non erano rinchiusi? Come fanno addirittura a raggiungere la foresta e l’oceano? Non scavalcano nemmeno una recinzione. Il bello è che in una scena, raccontano di due che sono stati beccati a scappare e sono stati puniti. Come hanno fatto a prenderli, visto che le telecamere sono dei giocattoli a pile? Hanno avvisato le guardie che stavano per scappare? Hanno sbagliato strada e sono passati dal cancello d’entrata?
E non poteva mancare il cliché totalmente sbagliato della segretaria che, sapendo usare il computer, all’occorrenza diventa un’hacker.
«Hai trovato il libro?»
«Non proprio.» Penn tese una mano per aiutare l’amica a uscire dalla piscina. «Il capolavoro del signor Grigori è ancora misteriosamente scomparso, ma sono riuscita a fare una sottospecie di attacco pirata al motore di ricerca letterario per abbonati di Miss Sophia, e ho scoperto un paio di cose che potresti trovare interessanti.»
Le mie abilità da hacker
Lo stile avete avuto modo di leggerlo dalle citazioni, è molto banale, quasi sciatto. E molto spesso l’autrice non riesce a farci capire quello che vuole dire.
Lo sguardo era felino, determinato e incerto allo stesso tempo… prometteva guai. Sì, erano proprio i suoi occhi. Si aprivano sotto la bella fronte aggraziata, a pochi centimetri dalla scura cascata dei capelli.
E come sarebbe uno sguardo determinato e incerto allo stesso tempo?
Aveva lo stesso sguardo che lui aveva disegnato così tante volte. Le sue guance erano accese. Era arrabbiata? Imbarazzata?
E che la stava fissando. Di proposito, con uno sguardo enigmatico, sfuggente, che Luce non avrebbe mai decifrato, nemmeno se l’avesse visto mille volte.
All’inizio pensò che fossero le ombre, ma stavolta era diverso e più spaventoso, come un velo frastagliato e irregolare, pieno di tasche nere, che lasciavano intravvedere macchie di cielo. Quell’ombra era fatta di milioni di minuscoli pezzi neri. Una tempesta di oscurità caotica e palpitante che si estendeva in ogni direzione.
Ma si può descrivere in questo modo uno sciame di locuste?
Poi, raddrizzandosi sulla sedia di pelle della biblioteca, lo sentì. Quel lieve calore sulla nuca.
Lei.
La sua sola vicinanza gli dava una sensazione insolita, simile al calore emanato dal legno che si sfalda in cenere in un fuoco.
Fuori tirava vento. Un gufo bubolò sulla palma nana. Quando passarono sotto le querce lungo l’edificio, i radi viticci pendenti della tillandsia le accarezzarono come ciocche di capelli intrecciate.
Finché si trattava di giocare a flipper con i personaggi, Lauren Kate sembrava avere le idee chiarissime; dopo essere arrivata a più di 300 pagine di inciuci, però, si è resa conto di doverci mettere un po’ di ciccia, qualcosa di consistente, giusto per dire che un minimo di trama c’è. Quindi ha iniziato ad impegnare Luce e la sua amica Penn nella ricerca di un fantomatico libro, scritto da un fantomatico antenato di Daniel, che avrebbe dovuto avere, chissà perché, tutte le risposte.
Lo aprì, sicura di dover decifrare un sommario estremamente accademico o di doversi inoltrare in un indice prima di trovare qualcosa di anche solo lontanamente legato a Daniel.
Non andò mai oltre il frontespizio.
E fin qua non avevamo dubbi, il problema è che tutto quello che è scritto dopo è totalmente senza senso:
Incollata all’interno della copertina c’era una fotografia color seppia. Era un vecchissimo ritratto formato tessera, stampato su carta ingiallita. Sul fondo c’era scarabocchiato: Helston, 1854.
Un’improvvisa ondata di calore le pervase la pelle. Luce si tolse il maglione nero, ma anche in canottiera sentiva ancora caldo.
La voce di Daniel riecheggiò profonda nei suoi ricordi. Io sono immortale, aveva detto. Tu torni ogni diciassette anni. Ti innamori di me, e io di te. E questo ti uccide.
Si sentiva pulsare le tempie.
Tu sei il mio amore, Lucinda. Per me sei tutto ciò che esiste.
Seguì con le dita il contorno della foto. Il padre di Luce, l’aspirante guru della fotografia, si sarebbe meravigliato di quanto l’immagine fosse ben conservata, di quanto dovesse essere preziosa.
Dal canto suo, lei era concentrata sul soggetto del ritratto. Perché, a meno che ogni singola parola uscita dalla bocca di Daniel fosse vera, era del tutto inspiegabile.
Un ragazzo, con capelli biondi corti e occhi chiarissimi, posava elegante in un bel cappotto nero. Il mento e gli zigomi ben definiti gli davano un’aria ancora più distinta, ma furono le labbra a farla trasalire. La forma esatta del sorriso, insieme allo sguardo… si sommavano a un’espressione che nelle ultime settimane era apparsa in ogni sogno di Luce. E, negli ultimi due giorni, anche dal vero.
Quell’uomo era l’esatta copia di Daniel. Quel Daniel che le aveva appena detto che l’amava, e che lei si era reincarnata dozzine di volte. Quel Daniel che le aveva detto così tante altre cose che lei era scappata via pur di non sentirle. Il Daniel che aveva abbandonato sotto gli alberi di pesco nel cimitero.
Avrebbe potuto trattarsi di una notevole somiglianza. Qualche lontano parente, l’autore del libro, magari, che aveva incanalato ciascuno dei suoi geni lungo l’albero genealogico diritto fino a Daniel.
Peccato che il giovane nella foto stava accanto a una ragazza, a sua volta terribilmente familiare.
Luce si avvicinò il libro al volto e studiò con attenzione la ragazza. Indossava un abito da sera nero, di seta, tutto a drappeggi, che la fasciava fino alla vita prima di esplodere in ampie balze. Alle mani aveva un paio di guanti stretti di pizzo neri, che le lasciavano scoperte solo le dita bianchissime. Tra le labbra, socchiuse in un sorriso sincero, si intravvedevano i piccoli denti. Aveva un incarnato luminoso, appena più chiaro di quello del ragazzo. Occhi profondi esaltati da folte ciglia. Una nera cascata di capelli le ricadeva in fitte onde fino alla vita.
Le ci volle un istante per ricordarsi di respirare, e anche allora non riuscì a distogliere gli occhi stanchi dal libro. La ragazza nella foto?
Era lei.
Ma cosa ci fa un libro scritto da Daniel secoli prima nella biblioteca dell’istituto correzionale? È addirittura catalogato. Daniel non solo voleva evitare che Luce scoprisse qualcosa, ma custodisce gelosamente tutte le sue cose. Inoltre, è un’unica copia in tutto il mondo, altrimenti non si spiega cosa ci faccia la loro fotografia dentro, dubito sia stata stampata e riprodotta in serie.
L’autrice a fine libro sembra essersi resa conto che, non solo non ha dato una sola risposta ai dubbi del lettore, ma che probabilmente non ha dato nemmeno un motivo per acquistare il seguito. Contando anche il fatto che il “colpo di scena” in realtà era facilmente prevedibile da subito.
Quindi inizia a buttare fumo negli occhi, rimandando ogni spiegazione al prossimo libro con “Capirai più avanti” o “Non possiamo dirti troppe cose insieme altrimenti ti senti male” e nell’epilogo, pur di convincerci a continuare la saga, ha anticipato qualcosa che probabilmente avverrà addirittura nell’ultimo libro.
In questo romanzo si sono toccate punte di balordaggine mai sfiorate, ma sapete il bello qual è? Ho riso un sacco a leggerlo, inoltre questi personaggi sono balordi oltre ogni immaginazione, ma sono talmente convinti di essere credibili che mi hanno quasi convinta a leggere il secondo capitolo. È come quando vedi giocare dei bambini concentrati in una storia inventata da loro; anche se non ha senso, alla fine sei quasi curioso di sapere come va a finire.
Un romanzo per adolescenti molto sciatto, banale e ricco di stereotipi. La protagonista è tra le peggiori mai trovate. Se volete staccare dai libri decenti e farvi qualche risata sguazzando nella balordaggine, questo romanzo è tra il peggio meglio che potrete trovare.
Voto: 3/10
(1667)
Magari la scrittrice puntava a far divertire i lettori!
Candido la parola “balordo” come parola dell’anno XD
Che dire…ultimamente ho seguito le recensioni trovandomi spesso a desiderare di prendere parte attiva e leggere ( o rileggere) i libri in questione, giusto per apprezzarli al meglio dopo queste analisi approfondite, MA in questo caso c’è veramente poco da approfondire, forse sono troppo buono per commentare questo libro in particolare ma allo stesso tempo troppo cattivo per dire: WOW che roba, non lo leggerò tipo mai XD.
Ero pronta al peggio dopo aver visto il trailer… e infatti XDDD Sono morta dalle risate leggendo tutta la recensione, mi mancava la Phedre demolitrice che tira capocciate ai personaggi, in questo caso sono tutte meritate!
Letto anni fa, ricordo solo che lo chiusi con un “bah!” grande quanto il Texas. La tua recensione è il top. X°°°D