Il Mangiatore di Lacrime è un romanzo breve scritto da Marco Dini Sin.
Dico subito che si tratta di un romanzo atipico in quanto oltre alla trama, che è naturalmente il punto fondamentale di ogni racconto, l’autore ha spinto in maniera profonda sulle sensazioni che i suoi personaggi trasmettono.
Mi prendo qualche altra riga in questa introduzione per dire che, proprio a seguito di uno scambio di e-mail con l’autore, ho scoperto che, sebbene i personaggi non possiedano un riscontro storico e siano completamente inventati, tutto l’insieme delle credenze religiose, dei riti esoterici e magici ed i luoghi visitati sono invece frutto di ricerche storiche che affondano le radici nella mitologia etrusca e di altre popolazioni. L’autore, infatti, crede egli stesso in quello che agli occhi di molti può apparire solo una ambientazione inventata.
A prescindere dalle implicazioni religiose, il Mangiatore di Lacrime è a tutti gli effetti un romanzo in cui intervengono fenomeni sovrannaturali, divini o magici. Per questo motivo ricade nella “giurisdizione del fantasy” e la mia analisi seguirà i canoni che utilizzo di solito per i romanzi brevi.
Il Mangiatore di Lacrime ci presenta la storia di Vanthur, un essere mistico dai grandi poteri, il cui compito sarà quello di preservare la conoscenza degli antichi Dèi e della civiltà Rasna.
Tutto sommato la sua storia è abbastanza lineare. Cominciamo a seguirlo fin dal concepimento e più che un’avventura, si tratta della scoperta del mondo, del suo importante passato e della sua ancor più fondamentale missione. Mi piace definire la trama di questo romanzo con il termine: “tranquilla”. Di fatti non ci saranno grandi battaglie o viaggi ai limiti del possibile, ma non mancheranno momenti d’ansia o di forte emozione. Posso dire che tutto è traslato ad un livello spirituale più alto.
Devo riportare di aver un po’ criticato la scelta dell’autore di inserire, nel finale, una spiegazione poco religiosa e molto più fantascientifica sulle origini di Vanthur, ma proprio dal discorso tenuto con lui via e-mail è emerso, come già detto, che non si è trattata di una scelta di fantasia ma di una necessità di riportare in maniera corretta quello che c’è alla base del culto dei personaggi.
In ogni caso, leggendo il libro come una semplice opera di intrattenimento, non sono stato completamente soddisfatto dalla piega degli eventi del “passato del personaggio”.
Per dirla in modo spiccio, il romanzo è ambientato nell’Italia centrale nel momento storico in cui la monarchia Romana sta per prendere possesso dei territori degli Etruschi. Non mancheranno citazioni dei luoghi più sacri e mistici del periodo. Il più importante tra tutti è il lago d’Averno dove, nelle caverne vicino alle sue sponde, la sibilla dei Cimmeri dispensava le proprie frasi criptiche.
Devo ammettere però che è riduttivo definire l’ambientazione in meri luoghi geografici. Gran parte del tempo, avremo a che fare con templi intitolati alle antiche divinità e spesso i personaggi avranno modo di recarsi in luoghi a confine con il mondo immortale in un atmosfera spirituale abilmente ricostruita. L’autore è riuscito a sovrapporre uno strato di misticismo sui luoghi da lui descritti rendendoli in un certo senso più ampi.
È un racconto breve. I personaggi che meritano di essere menzionati sono solo tre.
Vanthur. Come già detto, essere immortale dai grandi poteri il cui compito sarà quello di preservare la cultura Rasna. È lui il Mangiatore di Lacrime, che grazie a queste riesce a provare le emozioni di chi le ha versate e a comprendere gli infiniti misteri dell’animo degli uomini e del mondo in generale. Senza lacrime da bere, è destinato a cadere nell’apatia e tramutarsi in pietra.
Caratterialmente è un personaggio ben definito. È un essere antico, portatore di una saggezza che è andata perduta, ma allo stesso tempo è come un bambino che esplora le varie sfaccettature dei sentimenti umani e prova emozioni forti e coinvolgenti.
Manth. Altra creatura divina. Un genio della corte della dea Vanth. Non posso svelare troppo su di lui, ma sappiate che sarà fondamentale nella seconda parte della storia, con il suo carattere meno timoroso di Vanthur e per l’enorme passione che gli trasmette.
Hinthial Vanth. La madre di Vanthur e sacerdotessa della dea Vanth. È la protagonista della prima parte della storia, finché tiene in grembo il bambino magico che poi sarà Vanthur. È una donna forte che accetta il destino che la sua dea ha tracciato per lei. Le sue convinzioni sono ferree e confida in maniera totale nella guida della dea. Rappresenterà il punto di riferimento di Vanthur nella prima parte della sua vita ed è tramite lei che apprenderemo gran parte dei dettagli dell’ambientazione.
Lo stile è contemporaneamente il punto forte ed il punto debole del romanzo. Mi rendo conto che possa essere un paradosso ma siamo davanti ad un paio di situazioni un po’ estremizzate e quindi determinati lettori potranno gradire ed altri invece storcere il naso.
Prima di tutto c’è da dire che il linguaggio utilizzato è ad un livello più elevato rispetto alla media. Dai miei articoli dell’Apprendista Scrittore, sapete già che io gradisco molto chi utilizza la parola giusta al posto giusto, anche a costo di inserire un termine che può sembrare inconsueto o desueto. È ovvio che chi non possiede una buona proprietà di linguaggio potrebbe trovarsi a dover cercare il significato di un termine ogni quattro righe e annoiarsi velocemente.
Unitamente a questa particolarità del linguaggio, c’è la forte tendenza da parte dell’autore all’uso di similitudini e metafore particolarmente evocative. Questa volta la situazione è ribaltata: ad alcuni lettori piacciono molto i voli pindarici indotti dall’accostamento di soggetti appartenenti a situazioni molto distanti tra loro, a me no. Tanto per fare un esempio, in una occasione l’autore paragona la passione travolgente tra due personaggi ad un buco nero che attira a sé la luce in maniera potente ed irrefrenabile. Dal mio punto di vista, vista la distanza misurabile effettivamente in anni luce tra un buco nero e la passione dell’amore tra due persone, mi sono trovato a storcere il naso.
Altra caratteristica stilistica non da poco è l’attenzione altissima per i dettagli. Conosciamo il tipo di alberi che crescono nel bosco sacro, il legno con cui è fatto il bastone per le divinazioni del gran sacerdote, il nome tecnico del bastone, i materiali con cui sono composte le sue vesti, i petali di quale fiore vengono gettati nel catino per le abluzioni della sacerdotessa e così via. Il tutto sparpagliato nel testo senza appesantirlo, in un modo molto naturale. A questo si aggiunge la puntuale descrizione dei riti a cui prendono parte i personaggi, tutti spiegati in modo semplice ma completo. Ancora una volta io posso dire di aver gradito molto questo genere di cose, ma alcuni lettori di mia conoscenza, invece, si sarebbero annoiati dicendo che un bosco è fatto di alberi, non importa che siano abeti, pioppi o ontani.
Devo segnalare, però, la presenza di qualche infodump molesto in alcune pagine. Vista la necessità di spiegare molte cose in poco spazio, capita talvolta che un personaggio “apra virgolette” per parlare e non smetta per un paio di pagine, nemmeno per grattarsi il naso.
In conclusione io ho trovato la lettura gradevole, forte del fatto che a me piacciono le ambientazioni ben studiate e l’attenzione per i dettagli. La trama è funzionale alla volontà dell’autore di trasmettere emozioni mistiche e quindi passa un po’ in secondo piano proprio in favore di quelle sensazioni che si generano nel lettore.
Se vi piacciono molto i romanzi con forte sfondo emotivo, allora questo libro fa per voi, se invece cercate azione, spargimenti di sangue e intrighi politici, avete sbagliato portone.
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