Sono arrivato a questo libro perché pare sia molto simile a Hunger Games (nonostante l’autrice sostenga di non averne mai sentito parlare). Nonostante fossi scoraggiato dalla lunghezza, ho deciso di iniziarlo comunque: l’ho finito in due giorni. Questo considerando gli impegni, la palestra, lo studio (due materie da dare entro fine Giugno)… non sono riuscito a smettere di leggere. Non mi succede spesso, anzi; non mi succedeva da parecchio.
Titolo | Battle Royale |
Autore | Koushun Takami |
Data | 1999 |
Pubblicazione italiana | 2009 |
Editore | Mondadori |
Traduttore | Tito Faraci |
Titolo originale | バトル・ロワイアル |
Pagine | 617 |
Reperibilità | Reperibile online e in libreria |
Ogni anno una classe di terza media viene selezionata casualmente per partecipare al Programma:
Probabilmente non c’era un solo studente di scuola media nella Repubblica della Grande Asia dell’Est che non conoscesse il Programma. Era anche scritto nei libri scolastici dal quarto anno delle elementari in poi. Qui citiamo dalla più dettagliata Enciclopedia Compatta della Repubblica della Grande Asia dell’Est: “Esperimento di simulazione di combattimento diretto dall’Esercito di Difesa terrestre della nostra nazione, istituito per ragioni di sicurezza. Ufficialmente conosciuto come Programma Esperimento di Battaglia n. 68. Il primo Programma si è svolto nel 1947. Ogni anno, vengono selezionate cinquanta classi di terza media (prima del 1950, venivano selezionate quarantasette classi) per svolgere il Programma a scopi di ricerca. Il Programma è molto semplice: gli studenti di ogni classe sono costretti a combattere finché non rimane un unico sopravvissuto. I risultati di questo esperimento, incluso il tempo trascorso, sono registrati. Al sopravvissuto finale di ogni classe (il vincitore) viene data una pensione per tutta la vita e un foglio autografato dal Grande Dittatore.”
Noi seguiamo la storia della classe di Shuya Nanahara (che possiamo definire il protagonista): convinti di andare in gita scolastica, i ragazzi vengono drogati e portati in un’isola precedentemente evacuata. Si svegliano in una scuola dell’isola: qui Kinpatsu Sakamochi, il coordinatore del Programma, spiega loro le regole. I ragazzi usciranno ad uno ad uno dalla scuola (alla quale non potranno fare ritorno) insieme a un sacco (contenente un’arma casuale, una mappa, una bussola, acqua e pane). Al collo hanno un collare particolare: sono controllati e monitorati a distanza. Se non c’è almeno un morto ogni 24 ore, i collari esploderanno tutti simultaneamente, ponendo fine al gioco. Inoltre, per evitare che tutti rimangano nascosti, periodicamente alcune zone dell’isola diventeranno proibite: chiunque si trovi lì dopo l’ora annunciata, morirà.
Mappa dell’isola
Le analogie con Hunger Games sono state immediate; tuttavia Battle Royale è molto più duro e crudo. Se in Hunger Games i vari personaggi che partecipano ai giochi sono estranei fra di loro e sono di altri distretti, in Battle Royale si conoscono tutti, chi più chi meno… abbiamo i vari gruppetti di amici, i gruppi di teppisti, le coppiette. Uccidere i propri compagni è infinitamente più difficile e doloroso (sono solo ragazzini). Molti di loro si rifiutano di “partecipare”, mentre altri sono molto più predisposti a vincere massacrando. Le morti sono molto violente e l’autore non risparmia dettagli cruenti. Tuttavia approfondirò questi elementi nel paragrafo sullo stile. Metto sotto spoiler qualche episodio particolare o parere spoileroso sulla trama.
Non è semplicissimo ricordarsi i nomi. Sono 42 ragazzi, con nomi giapponesi. In alcuni casi molto simili tra di loro. Robe tipo Yuko, Yukie, Yuka, Yukiko, Yumiko…
Tuttavia, dopo un bel po’ di pagine, ho imparato a familiarizzare coi nomi. Il punto di vista principale è quello del protagonista Shūya Nanahara, il quale si muove insieme a Noriko Nakagawa e Shōgo Kawada. Siccome è impossibile parlare nel dettaglio di tutti loro, discuterò solo quelli che mi hanno colpito di più.
Le illustrazioni sono tratte dal manga
Molti personaggi di Battle Royale concentrano dentro di sé un’incredibile gamma di abilità, contro altri personaggi praticamente inermi e con scarse capacità di coping. Shōgo è uno di quei ragazzi fighi che sanno fare un sacco di cose: è abile con le armi e ha competenze mediche (che si riveleranno fondamentali dato che all’inizio sparano alla gamba di Noriko). All’apparenza duro e solitario, Shōgo è un buon amico, oltre ad essere molto intelligente. Caratteristica è la sua dipendenza da sigarette: ne fuma una dopo l’altra incessantemente.
Mitsuko si poteva definire una strega adolescente; pareva un’innocente monella, eppure era completamente fredda. Sotto la luce della luna, i suoi occhi erano come ghiaccio che brillava.
La ragazza più bella della classe, capo della banda delle teppiste della scuola, sembra trovarsi perfettamente a suo agio nella Battle Royale: riesce ad abbindolare tutti quanti, recitando il copione della ragazza ferita. Tuttavia Mitsuko è veramente spietata e il suo passato particolarmente torbido ci viene rivelato a poco a poco. Mitsuko mostra un minimo di pietà verso un solo ragazzo, Yuichiro: la loro interazione è toccante nonostante sia assurda e paradossale insieme.
Proprio in quel momento… nonostante fosse tra la vita e la morte, la coscienza di Mitsuko volò improvvisamente verso un luogo che non c’entrava niente. Forse fu il pensiero di un secondo. Si ricordò di ciò che aveva detto a Hiroki Sugimura, che ora giaceva ai suoi piedi…
“‘Io ho deciso di rubare invece che di essere derubata”, l’ho proprio detto io. Da quando… ho vissuto con questo motto? Come ho detto a Hiroki, da quando sono stata violentata da tre uomini a nove anni? Da quando sono stata violentata da uomini con la telecamera in una stanza di un vecchio appartamento in uno squallido sobborgo? Eppure la persona che mi aveva portato in quella stanza era stata proprio mia madre, ubriacona (mio padre era sparito prima della mia nascita), e dopo quello avevo ricevuto una busta spessa da quegli uomini (tuttavia non troppo spessa), ed ero uscita da lì. Da quando ho visto tutto ciò? Eppure per questo sono rimasta traumatizzata e avevo quasi perso la sensibilità. Ma c’era un solo maestro alla scuola elementare di cui mi fidavo, con cui avevo parlato di queste cose, e lui era stato molto gentile con me… quando alla fine gli avevo confidato tutto ciò che mi era accaduto, improvvisamente la sua espressione era cambiata e alla fine ero stata violentata di nuovo. Da quel giorno, dopo le lezioni nell’aula buia e piccola dell’archivio, allora? Oppure… da quando la mia migliore amica aveva visto la scena (o almeno una parte) e l’aveva detto in giro invece di consolarmi (e per questo quel maestro aveva dovuto lasciare la scuola)? Oppure da quando, dopo tre mesi, mia madre aveva cercato di portarmi lì di nuovo e avevo resistito, uccidendola? Da quando avevo distrutto perfettamente le prove dell’omicidio, e le avevo manipolate tanto bene che pareva fosse stato commesso da ladri, mentre io ero sull’altalena da sola nel parco? Oppure da quando, dopo essere stata adottata da un parente alla lontana, ed essere stata sempre maltrattata dai componenti di quella famiglia, uno dei figli è caduto per disgrazia dalla terrazza di un palazzo, e la madre mi ha accusato di averlo ucciso? Oppure da quando il padre, che aveva placato la situazione, dopo un po’ aveva iniziato a molestarmi sessualmente? Oppure…”
… tutti avevano portato via qualcosa a Mitsuko, oppure molto. Nessuno le aveva dato niente. E alla fine lei era diventata un guscio vuoto.
Tutto ciò è devastante.
Yoshimi è un personaggio secondario, ma lo scrittore le dedica qualche pagina molto intensa. È un membro della gang di Mitsuko: un gruppo di ragazze definite “ribelli” e bulle. Yoshimi sa di aver fatto tante cazzate nella sua vita, ma non le viene data la possibilità di riparare: infatti è convinta che nessuno si fiderà mai di lei per la sua reputazione. Se gli altri ragazzi infatti hanno modo di collaborare tra di loro, Yoshimi è tagliata del tutto fuori… però lei spera di potersi riunire con l’unico ragazzo che l’ha notata davvero. Effettivamente si riuniscono, ma…
Improvvisamente… Yoshimi non poteva credere ai suoi occhi. Non capiva assolutamente quello che stava accadendo, come se mentre guardava le mani di Yoji, stesse assistendo a un qualche trucco magico. Yoji stava puntando la Colt .45 contro di lei.
«Yoji?»
Yoshimi era stupefatta e Yoji indietreggiò di alcuni passi.
«Yoji?» Dopo aver ripetuto il suo nome, alla fine capì che lui era diverso dal solito. Il volto si era contorto. Gli occhi dalle ciglia lunghe, il largo naso adunco, le labbra, ogni parte del suo viso sembrava la stessa di prima, ma non l’aveva mai visto con quell’espressione sul volto, con la bocca contorta che mostrava i denti.
Quella bocca disse: «Vattene. Vattene via da qui».
Yoshimi non capiva cosa volesse dire.
Yoji sembrava irritato e continuò: «Ho detto che devi andartene subito via da qui!».
Ancora stordita, lei disse automaticamente:
«Perché?»
Spazientito, Yoji urlò:
«Ti aspetti che io stia con una puttana come te? Vattene via da qui, puttana!»
Qualcosa dentro Yoshimi iniziò a crollare, prima lentamente, poi tutto d’un colpo.
«Perché?» La voce di Yoshimi tremava. «Ho… ho fatto qualcosa di sbagliato?»
La pistola era ancora puntata. Yoji sputò a terra con disprezzo.
«Non dire sciocchezze. So che sei una sgualdrina. So che sei stata arrestata dai poliziotti… Ma soprattutto so che sei stata a letto con un uomo grande abbastanza da poter essere tuo padre. So anche questo! Ti aspettavi che mi fidassi di una puttana come te?»
Yoshimi era rimasta a bocca aperta mentre fissava il volto di Yoji. Era… vero. Era stata arrestata varie volte in flagrante per taccheggio, e la polizia l’aveva beccata una volta per aver ricattato, con le altre della banda, uno studente delle superiori. E poi c’era…la prostituzione. Tanto tempo prima Yoshimi era andata a letto con qualche uomo di mezz’età che le aveva presentato Mitsuko Souma. Il guadagno era buono, lei non era l’unica a farlo, e in quel momento della sua vita si era stufata di tutto quanto. Truccandosi come non si era mai truccata prima, comportandosi come un’adulta e stando con uomini che a loro modo sembravano gentili, la vita non le pareva così male. Yoshimi pensava che sapesse ogni cosa.
Ma quando aveva iniziato a uscire con lui, da quel giorno di autunno, aveva messo fine a tutto ciò. Ovviamente aveva continuato a essere amica della banda di Mitsuko Souma. Non che improvvisamente fosse diventata una ragazza modello, ma almeno aveva smesso di prostituirsi, e aveva fatto del suo meglio per tenersi fuori dai pasticci. E aveva creduto che Yoji l’avrebbe perdonata e amata comunque.
“… questo è ciò che ho sempre creduto.”
Una lacrima le scivolò giù lungo la guancia.
«Ho-ho smesso di farlo.» Diverse lacrime iniziarono a scorrere. «Io volevo essere… volevo essere la ragazza adatta per te, Yoji.»
Yoji fissò Yoshimi come se le sue parole l’avessero davvero colpito. Poi quell’espressione ricomparve.
«Bugiarda! Smettila! Non fingere di piangere!»
Yoshimi fissò Yoji con i suoi occhi umidi. Le parole uscirono automaticamente:
«Allora… allora perché uscivi con me?»
Yoji rispose immediatamente:
«Dai, pensavo che una sgualdrina come te fosse una facile! Vattene via da qui! Puttana!»
Shinji è il classico genietto della classe: intelligente e abile con la tecnologia. La sua parte della storyline mi è piaciuta parecchio, ma mi ha lasciato con l’amaro in bocca.
Impossibile non parlare dell’indistruttibile Kazuo, il killer principale del libro: è a lui che dobbiamo la maggior parte delle morti. Il comportamento di Kazuo sembra non sortire alcun effetto sullo stesso: la sua mitragliatrice uccide chiunque, persino gli amici. In realtà c’è un motivo per cui Kazuo è così spietato (anche Mitsuko lo è, in maniera differente), ma non ve lo dico; leggetevi il libro (no scherzo, ne parlo in uno spoiler nel paragrafo dello stile).
«Distruggere questo fottuto paese, questo paese che ci ha gettato in questo gioco di merda.»
Mentre guardava le labbra di Shogo che tremavano per la rabbia, Shuya pensò: “Lui è proprio come me. Vuole sconfiggere i bastardi responsabili di questo gioco. Questi stronzi che non ci hanno pensato due volte a farci partecipare a un fottuto gioco perverso, questo gioco di paura reciproca e odio. Vuole mandarli all’infemo proprio come me.
Il Giappone che viene qui rappresentato si chiama Repubblica della Grande Asia Orientale: è un paese di stampo totalitarista, con un dittatore (di cui Shogo dubita l’esistenza) che, per un motivo non meglio specificato, ha inventato il Programma di cui parlavo sopra (sempre secondo Shogo, il Programma nasce per tenere sotto controllo la popolazione e rendere impossibile qualsiasi ribellione). Ogni azione sovversiva è puntualmente individuata dalla polizia, che può mandare ai lavori forzati chi si ribella oppure ucciderli. Prostituzione e pornografia minorile sono accettate come qualcosa di normale e le donne sono ritenute oggetti di ornamento e di sfogo sessuale.
Non si fanno alcun problema a uccidere.
Ho lasciato alla fine la componente più drammatica del libro. L’autore sembra non avere alcuna idea di cosa sia la gestione del punto di vista, della focalizzazione, dei tipi di narratore… è il suo unico libro, quindi forse non si è impegnato più di tanto in tal senso.
Mi dicono sia una caratteristica prettamente giapponese (e io non la vedo una cosa negativa): c’è un’alternanza continua di momenti da High School Drama e momenti in cui di assassini spietati. Nel rigo prima i ragazzi discutono su chi hanno le loro cotte, nel rigo dopo magari vengono sgozzati. Ho trovato la combinazione di registro quantomai bizzarra.
Ogni volta che si focalizza su uno dei ragazzi parte il pippone sulla loro vita. Capisco l’intento di dare profondità e spessore ai personaggi, ma così diventa un po’ pesantuccio. In alcuni casi è riuscito bene: ad esempio c’è una coppia di innamorati che riesce a incontrarsi a nord dell’isola, Kazuhiko Yamamoto e Sakura Ogawa; i due dialogano ed escono fuori i momenti più romantici della loro storia. Questo è un modo carino e realistico di inserire dettagli sul passato! Invece, sotto spoiler, vi metto un esempio di spiegone buttato lì a caso.
I “genitori” di Kazuo gli avevano fornito un’educazione di primo livello. Ma nonostante sapesse quello che c’era da sapere del mondo per la sua giovane età, lui stesso non aveva alcuna idea di cosa avesse causato questo sentimento. Era inevitabile. Ogni traccia della sua ferita era quasi completamente scomparsa dal momento in cui era stato abbastanza grande da riconoscersi allo specchio. In altre parole, lui non ne sapeva niente: era quasi morto per un mostruoso incidente che aveva causato il danno quando era ancora dentro al grembo materno. Ovviamente, non sapeva nulla del fatto che sua madre fosse morta in quell’incidente, né della conversazione che avevano avuto suo padre e un dottore riguardo la scheggia entrata nel suo cranio proprio prima della nascita. Neppure del fatto che né suo padre né il medico, che si vantò del successo dell’operazione, sapevano che la scheggia aveva lesionato cellule del cervello. Erano eventi passati. Il medico era morto per una malattia al fegato poco tempo dopo, e anche il padre, o più esattamente, “il suo vero padre”, era morto per complicazioni dopo un intervento chirurgico. Per questo non era rimasto nessuno a condividere la vita con Kazuo. Una cosa era assolutamente certa…ovvero che tutto ciò per Kazuo era una cosa assolutamente normale. Era così. Lui, Kazuo Kiriyama, non sentiva alcuna emozione, alcuna colpa, alcun dolore, alcuna pietà, nei confronti dei quattro cadaveri, incluso quello di Mitsuru… ed era così dal giorno in cui era venuto alla luce. Non aveva mai provato, neppure una volta, una sola emozione.
Il narratore interviene spesso per fare commenti che si potrebbe francamente risparmiare; vi metto qualche esempio (il grassetto è mio).
Per di più, e questo era veramente stupido, quando erano studenti del primo anno, giravano pettegolezzi che lei e Kazushi stessero insieme (I ragazzini delle medie non avevano nient’altro di meglio da fare. Be’, lasciamogli dire quello che vogliono). Ogni volta che le voci aumentavano lui andava al banco di lei e la toccava sulla spalla (che coraggio!) e le diceva: «C’è un pettegolezzo in circolazione su di noi». Takako si scostava, gli toglieva la mano con delicatezza e rispondeva: «Ah, sono così onorata». Lo diceva senza prestargli la minima attenzione, prendendolo in giro senza farsene accorgere (“Vattene via, moccioso. Come osi.””), ma ora… non era nella posizione di poter fare altrettanto.
Kazushi la raggiunse. Vedendola seduta, gettò da parte la balestra, che con un tonfo finì per terra, e tirò fuori dei nunchaku8 da sotto la cintura. (A proposito, era l’arma in dotazione a Mayumi Tendo, e Kazushi l’aveva presa dopo aver ucciso Yoshio Akamatsu. L’arma che Kazushi aveva trovato nel suo sacco, per qualche bizzarra ragione, erano le corde di un comune shamisen).
Ogni tanto il narratore riesce a nascondersi bene dietro il personaggio che sta descrivendo: questa è sicuramente una cosa positiva, peccato che rompe l’illusione intervenendo con commenti anche qui random. Metto un esempio sotto spoiler perché è lungo, ma potete leggerlo tranquillamente (è anche indicativo della mentalità di uno dei ragazzi).
Perché aveva dovuto essere gettato in questo gioco volgare, combattere con le “masse volgari”? (Questa era un’espressione che suo padre, dirigente della più grande industria alimentare nella parte est della provincia, usava spesso a casa, ed era diventata la definizione preferita dallo stesso Toshinori per esprimere il suo disprezzo per la gente comune. Tuttavia, siccome doveva comportarsi da figlio di buona famiglia, non poteva mai usarla ad alta voce in pubblico.)
Che avesse o no il diritto di rivendicarlo, era pur vero che possedeva un dono particolare, particolare persino tra i suoi compagni talentuosi della classe B, anzi tra gli studenti dell’intera scuola media di Shiroiwa, che si vantavano di essere vere e proprie star delle loro squadre e club, oppure erano delinquenti, o persino gay (un gay era già morto, anche lui era molto volgare). Toshinori aveva iniziato a prendere lezioni private di violino quando aveva quattro anni, ed era diventato uno dei migliori violinisti delle medie di tutta la provincia. Non era bravissimo, ma dimostrava comunque doti non comuni. Aveva già quasi avuto la conferma che sarebbe entrato in scuole private di Tokyo che prevedevano l’insegnamento di musica. Per la sua futura carriera, pensava che sarebbe diventato come minimo direttore dell’orchestra del governo provinciale. Questo gli dava (almeno così credeva) tutte le ragioni per non morire. Avrebbe raggiunto un ruolo sociale prestigioso in quanto direttore d’orchestra, avrebbe sposato una bellissima donna raffinata e avuto rapporti sociali con gente ricchissima ed elegante. (Il fratello maggiore Tadanori avrebbe ereditato l’azienda. “Ovviamente, il pensiero di fare molti soldi come presidente è attraente, ma non ho bisogno di occuparmi di prodotti alimentari. Lascerò che ci abbia a che fare il mio volgare fratello.”) Insomma, lui era diverso dalla massa dei suoi compagni di classe. Le loro morti non avrebbero significato niente, ma lui era dotato. Lui era prezioso. E anche in termini biologici le specie superiori erano destinate a sopravvivere, no? […] Cos’era quella cosa riguardo la nobile anima del musicista? Assolutamente falso! Era vero che aveva solo quindici anni e non conosceva molto del mondo, ma almeno quello della musica sì. Per coloro che non erano dotati di qualità geniali, tutto era legato a soldi e a raccomandazioni. L’importante era possedere il talento di schiacciare la gente e sopravvivere senza essere schiacciati. Che questo fosse vero o no, era quello che Toshinori Oda credeva. Ovviamente non aveva amici stretti nella terza B, composta da una massa volgare. Anzi, disprezzava i suoi compagni di classe. Specialmente Shuya Nanahara. Toshinori non faceva parte del club di musica della scuola media di Shiroiwa, anch’esso pieno di gente volgare, particolarmente volgare. Tutto quello che suonavano quei perdenti era musica pop (persino l’ufficio del club era ingombrato di spartiti di musica straniera illegale).
Esatto, disprezzava particolarmente Shuya Nanahara. Toshinori era immensamente superiore a lui in termini di abilità musicale, dato il suo addestramento acustico e la comprensione della teoria musicale. Eppure, nonostante ciò, quelle ragazze volgari, le puttane della sua classe, urlavano in modo indecente quando Shuya Nanahara pizzicava le corde della chitarra al livello di asilo infantile (“Voglio dire, avanti, quelle puttane che ascoltano Shuya Nanahara che suona durante i brevi intervalli prima della lezione di musica, potrebbero pure aver stampato sulle loro fronti in grossi caratteri: oh, shuya, scopami ora, proprio qui.”).
Invece, avrebbero solo applaudito indifferenti quando Toshinori finiva di suonare un passaggio elegante da un’opera lirica su richiesta dell’insegnante di musica. Una spiegazione era che quelle puttane perdenti non avrebbero mai potuto apprezzare la musica classica, e per altro quei loro comportamenti assurdi erano dovuto solo al fatto che Shuya Nanahara aveva un bell’aspetto (sebbene Toshinori non l’avrebbe mai ammesso, in fondo non poteva sopportare quella faccia).
Bene. “In ogni caso le donne sono fatte così. Sono solo una specie diversa. Solo uno strumento per produrre bambini (e ovviamente per dare piacere agli uomini quando ne hanno bisogno), e se hanno un bell’aspetto allora sono anche ornamenti da piazzare accanto a un uomo di successo. Sì, tutto dipende da… soldi e raccomandazioni. E il mio talento vale l’investimento di soldi e raccomandazioni. Per questo… merito di essere il sopravvissuto.”
Battle Royale mi ha stupito in molti sensi: non penso sia un libro per tutti, bisogna avere fegato per leggere certe cose. Prima o poi mi vedrò pure il film. È certo che mi è rimasto davvero dentro.
Voto: 8/10.
Per leggere le altre mie recensioni, clicca qui.
(591)