In tutti gli articoli precedenti ci siamo occupati di concetti più o meno basilari della scrittura, punti cardine del lavoro di scrittore come la creazione dei personaggi o dei luoghi oppure ancora di altre scelte stilistiche. Quest’oggi vorrei porre l’attenzione invece su quegli aspetti più avanzati che rendono il proprio romanzo più maturo e sicuramente più unico.
Abbiamo già parlato del punto di vista, quando abbiamo descritto nei dettagli i vari tipi di narratore che possiamo utilizzare ed i problemi che sorgono quando un autore vuole seguire più di un personaggio. In questa sede vorrei entrare più nel merito della questione.
Come già detto, per i narratori interni il problema non si pone, in quanto sono ancorati indissolubilmente ad un personaggio e questo è anche il motivo per cui io personalmente ritengo troppo limitante narrare in prima persona. Non ci è permesso spaziare tra i personaggi, non possiamo fornire al lettore informazioni aggiuntive che possano creare attesa o ansia e soprattutto siamo costretti ad utilizzare tecniche, talvolta artificiose per far conoscere al lettore come stanno veramente le cose. Assistiamo quindi ai soliti cliché della visione o del sogno premonitore, del cattivo che invece di dare il colpo di grazia all’eroe si lancia in spiegazioni sulle sue motivazioni, svelando possibilmente anche la falla nel suo piano o peggio ancora in un personaggio che sapeva tutto fin dall’inizio ma, per qualche motivo, ha deciso di rivelare la verità al protagonista solo alla fine della sua avventura, dopo avergli fatto rischiare la vita innumerevoli volte quando, se avesse parlato subito, avrebbero risolto la questione nel giro di dieci minuti.
Con un narratore esterno, che racconta i fatti in terza persona è invece possibile evitare tutto questo semplicemente decidendo di seguire più personaggi. Nessuno vieta all’autore, tra un capitolo e l’altro, di saltare dal protagonista all’antagonista, mostrando al lettore fatti che accadono in altri luoghi. In questo modo si ottengono contemporaneamente due risultati importanti:
In verità questo senso di maggiore consapevolezza da parte dei lettori è anche un modo più semplice per ingannarli perché, se, ad esempio, si mostra loro solo una selezione di scene appositamente scelte per indurli a pensare che un certo personaggio sia un doppiogiochista, il fatto di averli informati così bene li convincerà abbastanza velocemente.
È ovviamente necessario porre attenzione al caso opposto. Diventa molto difficile realizzare un colpo di scena credibile se al lettore abbiamo già detto tutto e quindi diventa di vitale importanza scegliere cosa tenere nascosto in modo da non rivelare troppo né indicare ai lettori più furbi la cosa che si vuole nascondere.
Tutto questo ragionamento va poi integrato in un sistema stilisticamente gradevole di punti di vista. È buona prassi cambiare il personaggio da seguire quando termina un capitolo oppure spezzare con un rigo vuoto o un segno tipografico le scene all’interno dello stesso capitolo che seguono due soggetti diversi così da evitare che il lettore risulti spaesato da un cambio repentino.
Purtroppo non posso creare io stesso un esempio come al solito, in quanto dovrei scrivere due capitoli interi per poter mostrare la gestione di due punti di vista diversi per cui prendo in prestito il celeberrimo George Martin che sicuramente in molti avete letto, almeno un po’.
Nelle sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, infatti, l’autore cambia personaggio narrante in ogni capitolo, talvolta narrando di nuovo alcuni avvenimenti per poter sottolineare come l’altro personaggio li ha vissuti. Durante il suo ciclo, Martin ha seguito ben venti personaggi portando al massimo questo tipo di narrazione con punto di vista frazionato, ma io ritengo che in un romanzo già seguire tre persone diverse sia sufficiente per avere in mano tutti gli strumenti necessari a coinvolgere come si deve il lettore.
Saper scegliere quali scene liquidare con poche righe e quali invece devono essere descritte fino in fondo, può fare la differenza tra un racconto noioso, uno approssimato ed uno perfetto.
In linea generale, tutti riescono a rendersi conto che le scene della trama principale non debbano mai essere scritte in maniera veloce, mentre quelle di contorno, magari tempi morti di attesa devono essere solo accennati per evitare che un lettore si addormenti aspettando che accade qualcosa.
Io vorrei invece parlare di quelle scene che si trovano nella zona grigia tra gli eventi fondamentali e quelli superflui e per farvi capire cosa intendo vi presento l’esempio dei combattimenti interni ad una battaglia. Se ai fini della nostra trama conta solo l’esito, quanto dovremmo dilungarci sui dettagli dei combattimenti? Sicuramente esagerare con la descrizione particolareggiata ci fa correre il rischio di annoiare i lettori, ma liquidare tutto l’evento in velocità, riportando solamente l’esito farà sembrare il nostro racconto solo uno stupido riassunto di qualcosa di più grande.
La mia idea è quella di sfruttare queste scene per uno scopo particolare. Nel nostro caso potremmo usare i combattimenti per mostrare il nostro eroe in azione, oppure per ampliare l’ambientazione presentando al lettore qualche arma particolare o creatura strana, senza dover essere poi costretti, qualche pagina più avanti, ad inserire spiegazioni noiose. In questo modo si mantiene viva l’attenzione di chi legge e si ha la possibilità di aumentarne il coinvolgimento senza paura di dilungarsi.
Sono invece sicuramente da tagliare scene inutili, utilizzate come mero riempitivo: se non fanno parte della trama principale e non apportano maggiori informazioni sul mondo o sui personaggi, allora risulteranno noiose e pericolose.
Appurato quali sono le scene degne di essere narrate, sorge il problema del tempo. A prescindere dalla durata “reale” dell’azione che stiamo descrivendo è facile renderci conto come è possibile rallentare o velocizzare una scena in base al numero di dettagli che forniamo regolandone il ritmo.
Per farvi capire cosa intendo, ho deciso di prendere ad esempio una scena dal film “300” che rende in maniera molto chiara questo discorso.
È una scena della battaglia delle termopili. A noi interessa la parte che inizia al minuto 03:00 in cui possiamo ammirare un assolo guerriero da parte di Leonida. Per rendere la scena epica e permettere agli spettatori di non perdere alcun dettaglio, si è fatto ricorso ad un sapiente rallenty dilatando i tempi.
Con la scrittura è possibile ricorrere ad un espediente simile aggiungendo dettagli alla scena.
Eccovi l’esempio, tratto proprio dal video che avete appena visto.
Leonida sollevò di peso il primo soldato persiano con lo scudo e caricò abbandonando la falange. Colpì in pieno ventre il secondo persiano con la lancia spillando il primo getto di sangue che non sarebbe stato sicuramente l’ultimo. Fece seguire una parata alta con lo scudo per deviare un colpo in arrivo e ripeté la mossa con un altro malcapitato, trafiggendolo. Lo sguardo deciso del re e l’urlo di guerra dei suoi compagni, erano armi altrettanto affilate per il morale dei nemici. Vedendone molti altri puntare verso di lui, Leonida, non rallentò la corsa, e con una mezza giravolta centrò al collo un altro nemico e poi un altro sempre al ventre. Scagliò la sua arma verso un altro soldato e mentre la punta si conficcava nel petto del nemico aveva già estratto la spada. Grazie allo scudo, Leonida riuscì a sbilanciare un altro aggressore, facendolo letteralmente volare sopra la sua testa e poi con due rapide finte aprì la guardia di un altro soldato che finì macellato dalla sua lama. Altri tre si fecero avanti ma con fendenti fluidi ed una giravolta il re spartano ebbe la meglio. Ne uccise altri tre volteggiando tra loro e colpendoli con la sua spada nei punti dove la loro guardia non poteva arrivare, tranciando sia gli arti di coloro che colpiva, sia il morale di chi stava a guardare e finalmente un ultimo persiano andò a fracassarsi sullo scudo che Leonida teneva ben saldo, cadendo di schiena. Lo spartano non ebbe pietà e piantò la sua lama nel petto dell’uomo a terra e solo allora riprese fiato, mentre tutto intorno a lui i suoi compagni mietevano vittime allo stesso modo.
La scena è ricca di dettagli ed è forse un po’ forzata in quanto è l’esatta trasposizione di quanto visto nel video, quindi è stata studiata per essere filmata più che descritta, ma rende l’idea di quante azioni velocissime si susseguono, tiene alto il ritmo fornendo molte immagini in sequenza, ma di fatto rallenta la narrazione, in quanto, ai fini della trama non è importante come tutti quei persiani siano morti e nemmeno quanti ne sono morti, ma è indubbio che una scena del genere apporti epicità al racconto e permetta all’autore di poter mostrare finalmente quanto sia forte ed addestrato uno spartano.
In definitiva io ritengo che non esista una regola generale per decidere quando rendere una scena particolareggiata o meno, ma è necessario, di volta in volta, analizzare la situazione e regolarsi di conseguenza.
Molto spesso si trovano nei racconti dei riferimenti ad altre opere, oppure, soprattutto nei romanzi ambientati ai giorni nostri, citazioni cinematografiche. Questo tipo di riferimenti spesso sono simpatici e permettono al lettore di considerare più realistico quello che sta leggendo, ma l’abuso di essi, ovviamente, è sconsigliato. Fin quando si tratta di citazioni chiare ed esplicite non ci sono però grandi problemi.
John si concentrò e mosse la mano davanti agli occhi di Katy.
– Tu stasera uscirai con me
La ragazza sorrise ed imitò il suo gesto
– E questi non sono i droidi che stai cercando
Chi conosce Star Wars sorride, chi non lo conosce (esiste ancora qualcuno che non lo conosce?) si rende comunque conto che la ragazza lo sta prendendo in giro e fine della storia.
Il problema sorge con le citazioni velate, quelle dove ad esempio si inserisce un personaggio che ricorda molto quello di un’altra opera per rendergli omaggio, oppure si ricrea una scena quasi identica ad una vista altrove, sempre volontariamente.
Il sudore imperlava la fronte di John, doveva essere rapido e preciso. Studiò con lo sguardo l’idolo d’oro, valutò quanto potesse essere pesante e raccolse una manciata di sabbia in un sacchetto.
Con un movimento velocissimo sostituì la statuetta con il peso e si allontanò di scatto dal piedistallo. Non accadde nulla e John tirò un sospiro di sollievo. Fece per voltarsi e sentì chiaramente un tonfo, si aprì una botola enorme dal soffitto ed un enorme masso di pietra prese a rotolare nella sua direzione.
– Dannazione – e prese a correre più veloce che poteva.
Ho evitato di inserire la frusta, ma sicuramente molti di voi avranno rivisto una famosissima scena di Indiana Jones.
In questo caso, siamo tutti sicuro che l’autore abbia voluto citare il famoso film, oppure a qualcuno potrebbe venire in mente che abbia scopiazzato la scena? Chi può dirlo?
Il mio consiglio è quello di evitare del tutto questo tipo di citazioni perché non si sa mai come potrebbe essere interpretare e se proprio si desidera citare Indiana Jones è meglio nominarlo subito, così da mettere in chiaro che lo si sta facendo volontariamente.
Gli stereotipi sono ancora più pericolosi delle citazioni. Il classico principe, il classico cattivo o il classico eroe vengono istantaneamente tacciati come scarsa originalità e personaggi poco profondi. In linea generale è anche vero che chi utilizza questi “personaggi prefabbricati” manca di originalità, ma può succedere che qualche autore decida di inserire appositamente uno stereotipo nel proprio racconto, magari per sottolinearne i difetti oppure per far sorridere il lettore.
Nella mia ottica, uno scrittore esordiente o poco famoso non può permettersi un lusso del genere perché non ha ancora intorno a sé quell’aura di fiducia che gli conferisce il successo. Se un autore famoso inserisce nella sua storia il principe azzurro, avrà sicuramente voluto in qualche modo comunicare un messaggio profondo, mostrando i difetti del personaggio. Se la stessa idea viene attuata da uno perfetto sconosciuto, allora viene indicato come qualcuno che non è in grado di creare un personaggio interessante.
Ovviamente il problema si estende anche alle situazioni, oltre che ai personaggi in senso stretto, per cui è necessaria la massima attenzione.
Questo è un problema che si verifica quando i personaggi parlano lingue diverse.
Di solito la lingua principale utilizzata nel racconto è quella del lettore e quindi nel nostro caso l’italiano. Racconti ambientati negli Stati Uniti, come in Cina o su Marte avranno comunque personaggi che parlano in italiano. Le altre lingue invece saranno inserite in originale fin tanto che si tratta di brevi frasi.
Ad esempio in un racconto ambientato negli Stati Uniti con un personaggio americano ed uno francese, avremo che il primo parlerà inglese (reso con l’italiano) ed il secondo un misto di inglese impreciso e francese (reso con un italiano incespicante e qualche parola francese)
Il problema si crea quando il nostro personaggio francese tiene un discorso completamente nella sua lingua. Possiamo mai scrivere una pagina di dialoghi tutta in francese? Se anche ne fossimo capaci, i lettori la salterebbero a piè pari indispettendosi.
In questo caso le soluzioni sono due:
Nel secondo caso però stiamo creando confusione perché il lettore ha sicuramente già associato l’inglese parlato dai personaggi all’italiano che legge. Dobbiamo quindi fare molta attenzione a specificare in qualche modo il fatto che ora siamo passati a “tradurre” il francese in italiano.
La cosa si complica con le lingue inventate in quanto potrebbe essere necessario strutturare anche qualche regola grammaticale o sintattica, se non proprio tutto il linguaggio.
Taluni autori liquidano le lingue incomprensibili con frasi del tipo “parole che non comprese” oppure “suoni che formavano parole a lui sconosciute” ma io ritengo che sia molto più verosimile inserire queste parole misteriose in modo che anche il lettore si trovi nella stessa situazione del personaggio che non le comprende e si immedesimi.
Questo appuntamento si chiude qui. Mi sono dilungato un po’ più del solito ma non valeva la pena di spezzare in due articoli questi argomenti che fanno riferimento alle scelte stilistiche più avanzate. La prossima settimana cercheremo di mettere in pratica questi consigli con la storia degli alchimisti.
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Ciao 🙂
Innanzitutto volevo complimentarmi con te per il bellissimo blog e i chiarissimi e utili articoli. Essendo io un’aspirante scrittrice con ZERO esperienza sulle spalle, anche contando che ho solo 14 anni, ho trovato questa serie di articoli molto completa e chiara, soprattutto a confronto di altri blog, perchè avendo in testa un’ideuzza da un bel po’, finalmente sono riuscita a capire bene cosa fare per organizzare la marea di idee che ho in testa. Quindi grazie di cuore.
Avrri anche un paio di domande da porti, premettendo che ho letto gli articoli solo fino a questo, che mi è sembrato il più coeremte per intervenire.
La prima domanda riguarda il punto di vista.
Nella mia storia i protagonisti sono due, ma si incontrano quasi subito e proseguono quasi sempre insieme. Insomma, a me sembrerebbe un po’ pesante descrivere ogni scena da due punti di vista diversi, ma dato che sono, appunto, inesperta, mi piacerebbe sentire il tuo parere.
Inoltre, se optassi per il cambio di punto si vista, come dovrei organizzarmi? Cioè, a ogni capitolo, sotto il titolo, dovrei scrivere il nome del personaggio in cui “entro”, ad esempio?
La seconda domanda riguarda una parte più tecnica, sulla punteggiatura. Quando apro le virgolette del discorso diretto, andrebbero utilizzate – – o « »? Inoltre ho letto in molti libri che gli scrittori usano mettere spesso la virgola prima della e (congiunzione) ma altri no. Esiste una regola precisa oppure no? Infine (so che può sembrare stupido) nell’uso di ?! quale dei due segni va prima?
Grazie in anticipo per l’attenzione 😀
Ciao Elena,
prima di tutto ti porgo i miei ringraziamenti per le belle parole spese. Sono contento che ti piaccia il blog in generale e che tu abbia trovato questi miei articoli interessanti.
Rispondo volentieri alle tue domande, ma, come sempre, tieni presente che si tratta della mia opinione in merito e mai di verità assolute circa il mondo della scrittura.
1) Per quanto riguarda il punto di vista.
Non conosco il tuo caso specifico, ma sarei quasi quasi sul punto di suggerirti di seguire un solo personaggio. Bada bene che seguire un personaggio non significa renderlo più protagonista dell’altro (basti pensare a Sherlock Holmes ed il Dr. Watson… i romanzi sono “scritti” dal dottore, ma il protagonista è l’investigatore). Se i tuoi due protagonisti si incontrano presto e restano sempre insieme, non ha senso descrivere le stesse scende da due punti di vista e potrebbe addirittura non avere senso descrivere cosa fa il secondo in quei pochi momenti in cui resta solo. Valuta bene se conviene seguirli entrambi, alternando le scene, oppure seguirne uno solo.
I pro nel seguirne uno solo (che chiameremo in amicizia John) a discapito di uno che non viene mai usato come punto di riferimento (che in amicizia chiameremo Tom), sono che puoi rendere John un tipo più semplice da capire, mentre Tom può avere un alone di mistero che non viene facilmente diradato da un narratore piazzato nella sua testa. Procedendo in questo modo, dovrai far in modo che il lettore conosca Tom tramite gli occhi di John ed hai qualche possibilità in più di creare interesse.
I contro, invece, sono che Tom potrebbe essere degradato, agli occhi di un lettore inesperto, al livello di comprimario.
Puoi ovviamente scegliere una qualunque via di mezzo tra il seguire entrambi nella stessa misura o solo uno dei due piazzandoti dove la narrazione risulti più interessante.
Per il fatto di inserire come sottotitolo il personaggio che segui, potrebbe essere un interessante vezzo stilistico, ma non è assolutamente obbligatorio. Delle volte, anzi, leggendo libri di autori molto famosi, capita anche che cominci un capitolo e non si capisca chi sta seguendo. Solo a metà capitolo (20 pagine dopo) ti rendi conto che sta parlando di qualcuno che già conosci, magari solo con un altro nome.
2) Questioni stilistiche
A) Virgolette e trattini. Scegli tu a piacere. Non c’è un sistema più valido di altri, devi solo ricordarti che i trattini non si chiudono mai.
Esempio:
– Ciao, scusa il ritardo – disse John entrando – non capiterà più.
Il discorso è introdotto dal trattino, l’incidentale di azione è contornata da trattini, ma alla fine del rigo non c’è la “chiusura” del discorso. Con le virgolette ci sarebbe stata.
Oltre a questo, devi decidere come usare i punti in combinazione con virgolette e trattini. Il punto va dentro? va fuori? sia dentro che fuori? Onestamente non lo so. Ognuno fa quel cavolo che gli pare e tra autori famosi ed editor ancora più importanti, non c’è uno schema preciso da seguire. Sfoglia un po’ i libri che hai per casa e scegli lo stile che più ti piace.
B) Virgola prima della congiunzione. È una fottuta regola importata dai paesi anglosassoni. Se stiamo parlando di un elenco, in italiano la virgola non va né prima né dopo la congiunzione. È perfettamente lecita in caso di frasi incidentali.
Esempio:
Marina era molto brava in quello che faceva e, sono costretto ad ammetterlo, molto più brava di me.
“Sono costretto ad ammetterlo” è una incidentale e solo così può essere usata, tra virgole. Poco importa se prima c’era una “e” congiunzione.
Negli elenchi invece la virgola non va mai prima o dopo la e. Purtroppo gli inglesi la mettono e negli anni le capre traduttrici l’hanno importata nei libri italiani.
Loro hanno una logica particolare per inserirla. In sostanza ritengono che la virgola vada sempre quando si separano gli oggetti di un elenco e la “e” congiunzione serva ad indicare l’ultimo, oppure ad unire insieme due oggetti dell’elenco.
Esempio:
– I’ve to buy: eggs, bread, milk, fish and chips, and sugar.
Il primo “and” unisce insieme due oggetti che sono indissolubilmente legati, quindi niente virgola. Il secondo indica l’ultimo elemento dell’elenco, quindi necessita di virgola.
C)?!. Semplicemente non si usa. Non è un fumetto e vista l’enorme rarità di una frase che sia contemporaneamente sia interrogativa che esclamativa, semplicemente metti solo il punto interrogativo (obbligatorio da grammatica per le domande) e dici in qualche maniera che il tono del personaggio era quasi una esclamazione.
Esempio:
– Ce l’ha fatta? – Tom era ebbro di euforia. Conosceva già la risposta a quella domanda, ma non riusci a non dare un inflessione interrogativa a quella che invece era l’esclamazione più felice della sua vita.
Alla stessa maniera sono da evitare sfilze di punti interrogativi o esclamativi. La grammatica non prevede che due punti esclamativi siano più forti di uno solo. Pure i tre puntini sono un po’ mal visti perché fino all’ultima volta che ho letto un libro, non c’era il buffering di Youtube ad interromperne la scorrevolezza.
Penso di aver risposto a tutto e spero di esserti stato utile. Se serve altro ci trovi qui.
Mi permetto di segnalarti, se hai seguito tutti gli articoli fino ad ora, lo svolgimento della storia degli alchimisti che è ancora in corso nella rubrica dedicata: https://www.landeincantate.it/illiar-lelemento-mancante/
Così poi potrai dirmi se siamo riusciti a tenere fede a quello che c’è scritto qua. (Sì è un messaggio pubblicitario bello e buono e allora? Qualche problema?)
A presto