I ferri che gli bloccavano i polsi erano penetrati nella carne facendogli scorrere il sangue lungo le braccia, ma non sentiva il dolore. Rispetto a quello che aveva dovuto sopportare negli ultimi giorni, era il meno. Cercò di aprire l’unico occhio che gli era rimasto, l’altro era uno dei primi pezzi che gli avevano asportato, e solo dopo parecchi tentativi riuscì a mettere a fuoco quello che aveva intorno.
Purtroppo nulla era cambiato, si trovava ancora in una stanza sotterranea di tre metri per tre, la puzza di feci era quasi insopportabile, ed erano le sue. Lo avevano appeso al centro della stanza a delle robuste catene che scendevano dal soffitto, munite di anelli capaci di resistere persino alla sua forza, questo gli permetteva di potersi girare e vedere a trecentosessanta gradi intorno a lui, non che ci fosse qualcosa di interessante. La stanza era una cella di un antico castello e se non fosse stato appeso come un salame, questo lo avrebbe fatto ridere di gusto. Il suo aguzzino doveva avere un animo romantico per preferire i castelli europei ad una bella suite.
Non mancavano i confort, ovvero l’assoluta discrezione.
Nonostante avesse urlato durante le torture peggiori, nessuno era venuto a salvarlo o quantomeno a chiedere cosa stesse succedendo. Non aveva neanche idea di dove fosse esattamente, un momento prima era in una stanza di un albergo tre stelle a Venezia, il momento successivo era incatenato in quel buco. Sicuramente la droga era nel bicchiere di whisky che aveva accettato da quella bella donna.
Lo sapeva che la sua passione per il gentil sesso l’avrebbe fatto finire in un mare di guai, i suoi amici glielo dicevano sempre.
Poteva avvertire chiaramente la magia che lo circondava, ed era anche molto potente, qualsiasi persona lo tenesse prigioniero era a conoscenza del mondo delle creature.
Ciò era alquanto strano, era sicuro che il bastardo che lo aveva torturato fosse umano e conosceva benissimo le leggi che regolavano il loro mondo, gli umani non dovevano sapere.
Eppure questi sapevano.
Aveva compreso che il suo aguzzino non era solo, anzi, in realtà era troppo stupido per essere stato lui ad architettare tutto. La telecamera nell’angolo mimetizzata con ragnatele e altre schifezze, confermava la sua ipotesi.
Non aveva fatto che chiedergli di altri come lui, voleva conoscere l’ubicazione di altre creature, ma sarebbe morto piuttosto che dire qualche cosa.
La Bestia gli stava torturando le viscere, come se la tortura esterna non fosse abbastanza. Voleva uscire, voleva fare a pezzi il castello e chi c’era dentro e lo voleva anche lui, ma quei maledetti ceppi non la facevano uscire. Se lo avesse fatto anche solo per un po’, le ferite si sarebbero rimarginate immediatamente, compreso l’occhio perso, ma evidentemente i suoi carcerieri lo sapevano.
Il rumore di passi nel corridoio lo avvisò che stava per cominciare un’altra sessione di torture, sospirò chiudendo l’occhio ancora integro, rassegnandosi a ciò che stava per accadere.
Quando lo riaprì rimase perplesso, per la prima volta erano in due, il suo aguzzino e un uomo con lupetto nero e pantaloni di velluto marroni. Aveva i capelli neri quasi rasati e portava un paio di occhiali da vista, nel complesso alquanto insignificante. Quando il nuovo arrivato posò lo sguardo su di lui storse la bocca in un ghigno freddo.
“Finalmente ci incontriamo Signor Shan, sono Desmith, il responsabile di questa ala di contenimento” fece un cenno della mano ad indicare la stanza.
“Gradirei i cioccolatini sul cuscino” rispose con voce impastata Seth.
L’individuo continuò a parlare come se non lo avesse sentito.
“Lei è una bestia interessante e molto resistente, ma a me servono delle risposte.”
Seth avrebbe voluto rispondere in tanti modi, molti dei quali sarebbero stati censurati in parecchi paesi, ma si limitò ad osservarlo.
“Signor Shan, sia comprensivo, ho necessità di queste informazioni, soprattutto ora che la mia cara Bree si è volatilizzata e anche quella che avevo trovato per sostituirla è scappata. Ho bisogno di un’altra potente strega, per poter mantenere calme le mie creature.”
Quando si fu avvicinato abbastanza prese dal tavolo un bisturi sporco e incrostato di sangue, lo osservò un momento e poi lo appoggio sulla guancia sinistra di Seth che non distolse lo sguardo.
“Se lei fosse così gentile da darmi qualche indirizzo io potrei darle il tempo di trasformarsi, in modo da guarire” dicendo ciò fece pressione sull’utensile che affondò nella carne come un coltello caldo nel burro.
La Belva dentro di lui stava ringhiando e smaniava per bere il sangue di quell’essere.
“D’accordo” disse Seth in un sussurro “facciamo un patto.”
Desmith sorrise gelido fermando la sua mano.
“Cosa le ha fatto cambiare idea, signor Shan? Non penso questa misera ferita”
“Vuole una strega e io le odio, gliene fornirò una, ma prima come faccio a essere sicuro che mi farà trasformare?”
“Beh, non può. Si dovrà fidare della mia parola. Nel momento in cui la strega verrà rintracciata io la farò trasformare per qualche minuto. Ci sta?”
Seth valutò l’ipotesi attentamente, c’era un stronza che meritava una lezione, ed era sicuro che sarebbe anche riuscita a svignarsela molto meglio di lui. Anche se l’avessero catturata se ne sarebbero pentiti presto, come aveva fatto lui dopo averla conosciuta, e a lui non rimanevano molte ipotesi per scappare.
Aveva bisogno che quelle manette gli fossero tolte.
Desmith teneva il bisturi conficcato nella sua faccia e lo osservava attentamente.
“Pratt, in Kansas. Si chiama Jenny. 598 St Taylor street.”
Desmith tolse il bisturi dalla sua faccia lanciandolo sul tavolo.
“Molto bene, a quanto pare voi animali non siete fedeli tra razze. Immaginavo. Non sarete mai all’altezza di noi umani, rimanete della sporca feccia.”
“Le manette” ruggì Seth, ignorando lo sfogo razzista dell’uomo.
“Appena avremo verificato che esiste realmente questa Jenny, Signor Shan.”
Detto ciò uscirono dalla cella lasciandolo nuovamente solo. Il sangue colava dalla ferita appena inferta andando ad alimentare con gocce fresche le pozze di quello coagulato che erano ai suoi piedi. Sperò che Jenny ne uccidesse almeno un paio prima di scomparire.
Dopo qualche ora la porta della sua cella si aprì nuovamente. Era il solito aguzzino, questa volta armato di pistola. Seth tenne lo sguardo fermo nei suoi occhi castani, cercando di capire cosa volesse.
“Signor Shan” la voce proveniva da qualche altoparlante sopra la divisa dell’uomo “abbiamo confermato le sue parole, ora la libererò. La pistola del mio uomo è caricata a tranquillanti.”
Non appena ebbe terminato di parlare i ferri ai polsi si aprirono e lui cadde di peso al suolo. Stava cominciando a pensare a tutti i dolori che aveva nel corpo quando la Belva prese il sopravvento. Quegli idioti non avevano mai avuto a che fare con uno di loro, altrimenti non avrebbero mai fatto quel patto. Nei Vanara, quando la Belva rimane troppo tempo intrappolata all’interno del corpo, diventa ingovernabile e irrefrenabile, inoltre nello stato trasformato i tranquillanti non hanno effetti. Prima di cedere completamente il controllo del suo corpo, che già cominciava la mutazione, si concesse una risata di cuore.
La Belva ruggì, mentre nere ali si facevano strada sulla sua schiena, gli arti si allungavano e gonfiavano e le lunghe zanne fuoriuscivano dalle gengive. Le ferite si rimarginarono velocemente e quando alzò lo sguardo sull’uomo in piedi alla porta, due profondi occhi neri spiccavano sul suo volto.
L’uomo sbiancò e, senza prendere la mira, sparò.
Il dardo si conficcò nella spalla ormai coperta di peluria nera come la notte e la belva ruggì più forte, mentre spiccava un balzo e atterrava di peso sull’uomo. Riuscì a sparare un’altra volta prima che le zanne si conficcassero nella sua gola squarciandogliela. Il sangue caldo zampillò nella sua bocca dandogli l’energia di cui aveva bisogno.
Senza nessun tipo di controllo da parte di Seth, la Belva fece a pezzi l’uomo prima di correre per i corridoi seguendo l’istinto. Aveva ucciso dilaniandole altre cinque guardie quando, finalmente, trovò una via di fuga, mentre una sirena gli rompeva i timpani aumentando la sua ferocia.
La finestra dava verso l’esterno e la Belva ci si lanciò di peso sfondandola.
Il castello era stato costruito su una rocca alta qualche centinaio di metri e Seth si accorse, dal luogo lontano nella sua mente in cui la Belva lo aveva costretto, che stavano precipitando velocemente, prima che le grandi ali si dispiegassero e la creatura si facesse accompagnare dalle forti correnti del vento.
A quel punto la Belva era soddisfatta e tornò a dare a Seth il controllo del suo corpo.
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