Nelle culture di tutto il Mondo, come pure nella letteratura, sono presenti numerosi esempi di uomini che mutano in animali, e viceversa. Vengono definiti in vario modo: mutaforma (in inglese “shapeshifter”), mannari (nei paesi di lingua anglosassone è costume indicare questi soggetti con “were” seguito dall’animale in cui mutano, ad esempio “wereleopard” o “weretiger”) oppure con dei nomi ben precisi. Essendo creature diverse dal licantropo, hanno anche caratteristiche diverse, per cui possono non essere legati al ciclo lunare o soggetti a quei limiti tipici di taluna letteratura licantropica (ad esempio la vulnerabilità all’argento). Elencarli tutti sarebbe improponibile, per cui ci limitiamo a una veloce carrellata di quelli più significativi, concentrandoci prevalentemente su felini e simili.
Una precisazione. In molte regioni dell’Africa, ricca di etnie (che spesso vivono all’interno di confini tracciati in maniera arbitraria dalle antiche potenze coloniali), ciascuna con la propria cultura e le proprie tradizioni, sono diffuse delle società segrete i cui adepti devono superare dei rituali di iniziazione, spesso violenti e sanguinari. Superate le prove, i nuovi membri vestono le pelli dell’animale-totem, si inebriano di qualche sostanza allucinogena e iniziano le loro missioni, che sono quasi sempre omicidi rituali (e possono sfociare anche nel cannibalismo). La struttura è molto simile in tutta l’Africa, ciò che cambia è l’animale totem. Si va dagli Uomini-Leopardo del Congo agli Uomini-Leone della fascia della savana, agli Uomini-Pantera del Gabon, proseguendo poi con Uomini-Iena, Uomini-Coccodrillo e addirittura Uomini-Scimpanzé.
Con il nome di Uomini-Leopardo (in inglese: “Leopard Society”) vengono indicati i membri di varie società segrete diffuse nell’Africa Occidentale e Centrale, che si identificano con l’animale totem, il leopardo in questo caso, indossando travestimenti (pelli animali) e maschere che ne riproducono l’aspetto e attuando comportamenti omicidi e violenti, lacerando il corpo delle vittime con le unghie. Sviluppatesi in particolare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, durante le guerre tribali che dilaniarono il continente africano, queste società vennero alla ribalta dell’opinione pubblica mondiale nel Secondo Dopoguerra, durante il processo, violento, di decolonizzazione per l’efferatezza dei loro adepti e dei crimini da loro commessi, che mescolavano motivazioni religiose e politiche. Un po’ come gli ulfhednar fedeli a Odino, i componenti di queste sette seguono riti di iniziazione simili ma molto più cruenti, servendosi di bevande eccitanti e droghe vegetali, che fomentano in loro la convinzione di essere realmente divenuti leopardi. Una tra le società più note è quella degli Anyoto o Anioto, di stanza in Congo.
Degli Uomini-Leopardo parla anche T.J. Alldridge nel libro del 1901 The Sherbro and Its Hinterland, in cui descrive la Confraternita degli Uomini Leopardo, la sua storia e il modus operandi dei suoi membri. In letteratura invece figure di leopardi mannari (che non hanno niente a che vedere con le sette africane) sono presenti nel ciclo di Anita Blake, nella serie Leopard, di Christine Feehan, e nella serie Psy/Changeling di Nalini Singh. I “wereleopards” o “were-leopards” compaiono anche nel racconto “Werehunter” (una donna che può mutare in leopardo), di Mercedes Lackey e in “Fangs of Vengeance”, un racconto di Robert Bloch, pubblicato sotto lo pseudonimo di Nathan Indin su Weird Tales Aprile 1937 e poi inserito nell’antologia Flowers from the Moon and Other Lunacies, 1998. In Italia è noto come “Le zanne della vendetta” e appare in Urania 1398, Arnoldo Mondadori Editore.
“Were-panthers”: nella letteratura la prima “were-panther” compare nel racconto tardo-Ottocentesco “The Eyes of the Panther” di Ambrose Bierce. Oggi le troviamo nella saga The Southern Vampire Mysteries di Charlaine Harris, nel racconto “Beauty and the Beast” di C.H.B. Kitchin, nel racconto “Panther in Argyll” di Lisa Tuttle e in altri racconti contemporanei, focalizzati soprattutto sulla dimensione sensuale di queste Pantere Mannere, ad esempio “Dominated by the werepanther” di Mia Harris. Inoltre nel romanzo fantastico per ragazzi Sebastian Darke – Prince of Pirates, di Philip Cavaney (2008), appare Leonora, una maga potente in grado di mutare in pantera.
Werepanther di Matterial (deviantart)
Gli Uomini-Iena sono tipici dell’Africa. Nella zona del Lago Ciad sono noti come bultungin che significa “mi trasformo in una iena” nella lingua di Bornu. In Etiopia gli Uomini-Iena sono legati alla figura del fabbro, il lavoratore della materia, quindi un artigiano sacro che ha la capacità di plasmare i metalli; questi stregoni vengono definiti “buda”, possono lanciare il malocchio e mutare in iena. In The life and adventures of Nathaniel Pearce, autobiografia dell’esploratore inglese che trascorse molti anni in Abissinia, si narra di un servo che può mutare in iena. Anche Mansfield Parkins in Life in Abissinia cita un caso simile, di bambine avvicinate da un fabbro locale che si trasforma in iena versandosi addosso della cenere (che portava racchiusa in una cocca dell’abito).
Figure simili ai bouda sono diffuse anche tra le popolazioni berbere, che parlano di esseri umani in grado di diventare iene durante le notte e tornare uomini all’alba. Considerando che la iena è, per eccellenza, il predatore che si nutre di carogne, figure mutaforma di questo tipo vengono considerate negativamente, come portatrici di male e morte.
I “werehyenas” o “were-hyenas” sono tra le figure mannare della saga di Anita Blake, assieme ai “were-lions”. Nella narrativa troviamo “were-hyenas” nel racconto “The hyena” di Robert E. Howard (Weird Tales, 1928) e nel racconto “Death of a Poacher” di H. Russell Wakefield.
A proposito di leoni mannari, il famoso esploratore Livingstone ricorda che la tribù dei Malakolo crede che alcune persone possano mutare in animali, chiamando queste persone pondoro. In Narrative of an Expedition to the Zambesi and its tributaries, Livingstone avrebbe addirittura incontrato uno di questi pondoro che poteva mutare in leone.
Sempre restando in Africa dobbiamo ricordare i dogri (singolare: dogir), spiriti acquatici che vivono nel Nilo o presso le sorgenti e che possono assumere varie forme, tra cui quella di lupo mannaro.
Spostandoci in Amazzonia, incontriamo gli Uomini-Giaguaro, che si rifanno al più grosso felino americano. Questo animale è legato soprattutto alle civiltà pre-colombiane, che lo consideravano simbolo di forza e potenza: per gli Aztechi il giaguaro era l’animale totem del Dio Tezcatlipoca, per gli Olmechi i “were-jaguars” erano delle figure sovrannaturali, quasi divine. In Guayana, i nativi credono nei Kanaima, spiriti maligni che possiedono le persone e le spingono a mutare in animali mortali, come i giaguari appunto.
Kanaima, di Mario Alberto Lopes
Immancabili personaggi della saga di Anita Blake, i giaguari mannari vengono citati anche nel romanzo Il Sangue dell’Azteco di Gary Jennings. Compaiono anche nel racconto “The Jaguar Princess” di Clare Bell (1994), dove una donna, discendente appunto degli antichi Olmechi, può mutare in giaguaro. Come per i “werepanthers”, anche i “werejaguars” sono presenti in numerose opere di narrativa erotica e paranormal romance. Anche Mister No, protagonista dell’omonimo fumetto di Sergio Bonelli, ha affrontato uomini-giaguaro in ben due numeri.
In India è diffusa da molti secoli la credenza degli Uomini-tigre, molto violenti e letali, al pari dell’animale di riferimento. Possedute dagli spiriti della tigre, tramite qualche allucinogeno, queste figure si comportano come tali, uccidendo e divorando uomini, ma se superano la soglia di un’abitazione tornano uomini. Maria Penkala, nel saggio La reincarnazione, sottolinea che la tribù indiana dei Khond dell’Orissa crede “che gli uomini possono mutarsi in tigri, con l’aiuto degli dei, per vendicarsi dei nemici”. Stefano Beggiora, nel suo lavoro Sacrifici umani e guerriglia nell’India britannica dedica un intero capitolo ad analizzare le origini e le funzioni della figura del “Palto bagho” khond, ossia degli uomini-tigre, in cui i nativi credono fermamente.
In letteratura “were-tigers” o “weretigers” compaiono in numerosi racconti, ad esempio “Tiger Dust” di Bassett Morgan (Weird Tales, Aprile 1933); “Toean Matjan”, di Vennette Herron (Weird Tales, Gennaio 1938), “Beauty and the Beast” di C.H.B. Kitchin e “The Were-Tiger” di Sir Hugh Clifford. Sempre di Bassett Morgan è “Tiger”, racconto pubblicato in Strange Tales, Marzo 1932, in cui il proprietario di una piantagione a Sumatra viene mutato in una tigre dallo stregone di un tempio, noto come il Signore delle Tigri. Compaiono anche nella pluricitata saga di Anita Blake.
Gatti-Mannari (noti in inglese come “were-cats” o “werecats”): è un termine che nasce proprio associandolo alla figura del Lupo Mannaro, per indicare una figura felina teriomorfa. Sono divenuti celebri con il Ciclo dell’Eredità di Christopher Paolini, che include, tra i personaggi, dei gatti mannari, tra cui Solembum, amico di Angela l’erborista. Erano già comparsi in La notte del Gatto Mannaro (in inglese: Night of the Werecat, 1996), romanzo inserito nella serie di libri per ragazzi La strada della paura di R. L. Stein (autore di Piccoli Brividi). Proprio una Gatta Mannara è la protagonista della serie Shifters, dell’autrice americana Rachel Vincent, composta da sei libri usciti dal 2007 al 2010: Stray, Rogue, Pride, Prey, Shift e Alpha. Abbiamo già citato la saga di Anita Blake di Laurell Hamilton. Nella storia breve “Lusus Naturae” di Margaret Atwood la protagonista scopre che i suoi genitori avevano finto la sua morte per nascondere il fatto che fosse una Gatta Mannara. Il titolo riprende l’espressione con cui naturalisti dell’Età Moderna spiegavano i fenomeni che uscivano dal “normale” delle cose, il sovrannaturale quindi.
Concludiamo con il Giappone, dove è diffusa la credenza nelle Kitsune, le donne volpe. Animale sacro ai giapponesi, la volpe è portatrice di una misteriosa sacralità, può vivere a lungo e avere poteri sovrannaturali, tra cui assumere forma umana (un caso di licantropia all’incontrario, quindi, prima animale e poi essere umano). Generalmente le volpi assumono la forma di donne o ragazze, giovani, mai vecchie; per svariati motivi. Possono essere buone, e allora sono dette zeko (volpi celestiali associate al culto di Inari), o cattive, e allora sono chiamate yako.
Inari appare a un guerriero accompagnato da una kitsune. Opera di Utagawa Kuniyoshi.
La narrativa sulle “volpi-mannare” o “were-foxes” è molto ampia. Citiamo alcuni esempi: l’incompleto romanzo The Fox Woman, di A. Marritt; il romanzo Lady into Fox, di David Garnett e “The foxes of Fascoum” di Peter Tramayne. Anche Elliott O’Donnell si occupa di volpi mannare in “Vampires, Were-wolves, Fox-women ecc” in Satanism and Witches, 1974.
(5478)