Rose lo spiava coperta da alcuni cespugli di biancospino, era primavera e sui rami verdi spuntavano dei fiori bianchi piccoli e delicati, che lei avrebbe sicuramente apprezzato, ma in un’altra occasione. Non lo avrebbe fatto in quella circostanza, poiché troppo intenta nel suo scopo, né fino alla prossima fioritura, perché quando gli eventi corrono più del destino stesso non si ha il tempo di scorgere un candido fiore. L’appostamento di Rose continuò per qualche altro minuto infruttifero finché Vincent non uscì in giardino dalla porta sul retro della sua casa. La ragazza si fece subito più attenta. Lo vide togliersi il cappuccio e rivolgere il viso verso il sole, gli occhi chiusi a carpirne i tiepidi raggi. L’argento dei suoi capelli brillò così come il ciondolo della sua gatta, Kimi, che seguiva a pochi metri il suo padrone. Quell’animale era davvero molto bello. Piccolo e aggraziato, era completamente bianco, mentre gli occhi erano dell’azzurro di un cielo cupo screziati di viola. Dal collare le ciondolava un’ametista con dei riflessi blu che sembrava rappresentare l’esatto opposto delle sue iridi: dove gli occhi del gatto avevano l’azzurro, la pietra aveva il viola ed in corrispondenza delle striature celesti della gemma, il felino presentava quelle screziature tendenti al lilla.
Rose rimase imbambolata a fissare prima la pietra, ipnotica alla luce del sole, e poi gli occhi di Kimi, perché si erano appena incrociati con i suoi. Poi accadde tutto molto velocemente. La gatta scattò verso di lei con la rapidità propria dei felini e prima che la giovane potesse nascondersi aveva già attirato il suo padrone verso di lei. Il movimento repentino dell’animale, infatti, aveva fatto si che l’alchimista la seguisse.
Ecco il primo evento che le sfuggiva di mano, Rose, però, avrebbe capito solo molto dopo che quello era stato il momento esatto del mutamento.
– Rose Van Rosh, cosa stai facendo dietro il cespuglio di un povero eremita?
L’uomo aveva parlato con una voce cantilenante, tuttavia la sua postura era più dritta e aveva la mandibola contratta, i pugni chiusi lungo i fianchi.
Ha già capito tutto, comprese Rose in un lampo di intuizione, ma volle comunque giocare la partita a modo suo, così come se l’era immaginata, anche se gli eventi erano precipitati senza il suo consenso, o almeno doveva provarci. Ostentando calma, infatti, strisciò fuori dal biancospino e si avvicinò a Vincent, spazzolandosi via le foglie dal vestito con gesti lenti e plateali, incrociò lo sguardo dell’uomo solo quando gli fu vicino.
– Salve, com’è che hai detto? Vecchio eremita? – lo squadrò fino alla punta dei piedi – non sarebbe meglio vecchio… alchimista?
L’ultima parola la pronunciò in un sussurro, ma la sfida a contraddirla le si leggeva chiara sul suo giovane volto.
Aspettò scrutandolo, mostrandosi sicura di quel che aveva detto.
Al suo interlocutore si disegnò un sorriso sghembo sul volto.
– Kimi, non credi anche tu che questa ragazzina sia una sfrontata?
La gatta miagolò una volta rivolta al suo padrone ed una seconda verso Rose.
– Credo che tu abbia ragione, dovremmo proprio mostrarglielo – e si chinò per accarezzare il piccolo animale sulla testa e poi sul dorso.
Sotto gli occhi sempre meno sicuri della ragazza, una chiazza di pelo nero comparve sul capo della bestiola e corse veloce lungo tutta la schiena fino alla coda, poi Vincent si alzò e si riavviò i capelli. Prima una ciocca, poi tutte le altre si tinsero quasi del tutto di nero rendendo l’uomo appena brizzolato. Passò poi la stessa mano sul volto, e le rughe intorno agli occhi e la bocca diminuirono, anche sulla fronte si appiatirono come se qualcosa stesse tirando la pelle per darle una nuova forma. Infine rilassò le spalle, abbandonando la postura leggermente curva mostrando il fisico di un uomo ancora in forma, capace di brandire una spada. Rose rimase colpita ma il particolare che attirò di più la sua attenzione furono gli occhi: di solito azzurri e quieti si erano scuriti brillando di una intelligenza acuta alla luce solare, ma in quel caso non c’entrava l’alchimia semplicemente egli si mostrava per ciò che era.
La ragazza dentro di sé era intimorita, quello era forse il più grande uso dell’alchimia che avesse visto fare all’uomo, così veloce e silenzioso.
L’intuito fedele le disse ciò di cui avrebbe dovuto aver paura.
– Sai fare queste cose! E…
– Silenzio! Ho il sospetto che tuo padre ti abbia insegnato ad osservare troppo… dovresti essere a casa tua
Il tono asciutto, secco, la stava scacciando, accantonando tutti i suoi progetti. Quello che più fece infuriare Rose era la presunzione dell’altro. Credeva forse che la voce grossa e un paio di trucchetti sarebbero bastati a farla desistere dai suoi scopi?
Quando ribattè, la ragazza, lo fece in tono tagliente e cattivo.
– Credo che tu debba troppo a mio padre…
Rose avrebbe voluto aggiungere altro, sentiva la rabbia che le ribolliva sotto pelle scottare come lava. Tuttavia, senza preavviso, il dolore balenò sul viso dell’alchimista mostrandone la fragilità e lei si sentì meschina e ingiusta. Ammutolì a metà frase distogliendo lo sguardo.
Vincent rimase in silenzio a sua volta, col tempo aveva imparato ad apprezzare quanto si potesse dire senza parole e a riflettere prima di fare ciò che l’istinto gli suggeriva. Distrattamente si ravviò i capelli, portando tutta la sua attenzione su di una Rose contrita e addolorata. La ragazza aveva determinazione, intuito e anche ragione… doveva a Rosh almeno quello.
– Rose – la chiamò, attirando gli occhi della ragazza su di sé e per la prima volta le sorrise.
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Toc, Toc, due colpi e l’altro sarebbe giunto di lì a poco. Leira lo sapeva e quindi aspettò il terzo prima di andare ad aprire con l’aria seccata e annoiata che lo avrebbe ferito.
Terristo sulla soglia di casa sua conservava la bellezza di un tempo, forse la sua vita avrebbe conosciuto un’andatura più dolce e meno intensa senza Rosh. Tuttavia ormai lui era quel che era e lei anche. Erano finiti per giocare parti avverse nella vita che qualcuno aveva riservato loro. Certo avevano fatto le proprie scelte da soli, ma nessuno dei due avrebbe voluto impersonare il ruolo della vittima o del carnefice dopo aver tanto amato l’altro.
Tuttavia la vita continua ad esigere il ruolo che ci ha cucito addosso e quindi Terristo entrò in casa con un ghigno sul volto aristrocratico e la mano sinistra poggiata sul pomolo di un pugnale appeso alla cintura.
– Ho già pagato questo mese… cosa vuoi? – esordì Leira.
– Non smetterai mai di pagare abbastanza… – era niente di più che un pensiero ad alta voce, distratto, la guardò solo dopo che i suoi occhi erano di nuovo distanti e parlò solo quando ebbe la voce salda.
-Ah Leira, Leira, stavolta non sono qui in veste da riscossore, ma sono solo un messaggero… – un sorriso torvo. poi continuò – beh… il messaggio in realtà e per tua figlia, bella ragazza davvero! Assomiglia a te quando avevi la sua età
Un lampo di apprensione balenò sul volto della donna, tutto ciò che le era rimasto… eppure fu solo un attimo e poi la maschera di disgusto e distanza tornò saldamente al suo posto, a coprire qualunque altra emozione.
– Dimmi ciò che devi… verme
Terristo socchiuse le palpebre e poi un lampo d’argento e poi del sangue, lei sentì il coltello sfiorarle la gola e del dolore. Una goccia scarlatta, pesante e veloce, scorse lungo il collo della donna, andando ad impregnarle di quel colore rosso acceso l’orlo bianco del colletto.
– Allontana tua figlia dal vecchio, lui serve a noi!
E Leira nonostante la paura, nonostante l’uomo l’avesse immobilizzata contro la parete, nonostante il coltello, rise a lungo con tono amaro e profondo, facendo scorrere altre gocce di sangue dove il filo del pugnale continuava a graffiarle la gola.
– Se avessi potuto fare qualcosa in proposito, credi che le avrei, prima di tutto, permesso di avvicinarsi a lui? – il tono della donna era gelido e così dicendo, afferrò l’avambraccio dell’uomo con la mano ferma e spinse lentamente Terristo ad affondare di più il suo coltello. Lo guardò dritto negli occhi sfidandolo tacitamente.
L’uomo sentì la pressione della propria mano aumentare contro il collo della donna, per un attimo non vi resistette, ma non poteva permetterlo. Con un grido di rabbia scagliò il suo pugnale lontano, poi posò la sua fronte su quella della donna come se fosse stato lui ad essere aggredito.
Respirarono la stessa aria, ognuno dei due lontano nei propri luoghi. Lui si riscosse per primo, afferrando Leira. La spinse via in malo modo.
– Fa quello che ti ho detto, non importa come! – le gridò prima di uscire correndo dalla casa.
La porta sbatté violentemente e la donna fissò il pugnale abbandonato sul pavimento. Dopo tutto anche quella volta non si capì bene chi era stato la vittima e chi il carnefice.
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Questo non me lo aspettavo! Terristo e Leila! Incredibile!