Questo articolo analizza la figura del licantropo in alcune mitologie antiche.
Partiamo dal Vicino Oriente e dall’Epopea di Gilgamesh. È un poema epico, il primo a noi noto, risalente al 2600/2500 a.C., che narra le gesta di Gilgamesh, Re sumero di Uruk. Esistono ben sei versioni di quest’opera, che offrono un interessante corpus mitologico del Vicino Oriente. Tra le gesta ivi narrate, ci soffermiamo sulla tavola VI, in cui Gilgamesh racconta come la Dea Ishtar, Signora della Bellezza e della Fecondità, abbia trasformato un pastore in lupo. Un brav’uomo, che preparava focacce cotte per la Dea e sacrificava le proprie caprette, viene dunque percosso da Ishtar e mutato in lupo, venendo cacciato dai suoi stessi aiutanti e inseguito dai suoi cani.
Ecco dunque il primo esempio di trasformazione indotta da una volontà divina: una metamorfosi causata da una maledizione. Qualcosa di simile accadrà anche a Licaone, sebbene in quel caso non si tratti di maledizione bensì di punizione, come vedremo.
Restando nell’Antichità, impossibile non citare la Bibbia che, tramite le parole del profeta Daniele, racconta la storia di Nabucodonosor, re di Babilonia che incorre nello stesso destino del pastore, venendo maledetto e mutato in lupo addirittura dall’Altissimo.
“Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli” (Daniele 4:30)
Dopo sette anni però guarì, riacquistando la ragione e potendo ritornare al proprio trono. Una punizione quindi non fine a se stessa, ma in vista di un reinserimento nella società.
Va detto che la Bibbia mostra un’aperta ostilità verso i lupi, connotati sempre negativamente: bramosi di sangue, uccisori di persone, cupidi e rapaci.
Nell’Antico Egitto non troviamo riferimenti a licantropi ma la religione è caratterizzata da una forte rappresentazione antropomorfa delle Divinità, tutte associate a un animale considerato sacro. Tra le tante, la figura di Upuaut è la più interessante ai fini della nostra analisi.
Upuaut, Dio lupo della guerra e della morte presso gli Egizi
Divinità guerriera, nota anche come Ap-Uat e Wepwawer, il cui nome significa “colui che apre la via” (“battistrada” quindi), con riferimento al suo ruolo di guida per i morti, era raffigurato come un lupo e venerato a Lycopolis, la “città del lupo” (l’attuale Asyūṭ), ricca città in cui confluivano le piste carovaniere. Massimo Izzo ci ricorda che Upuaut “era rappresentato ritto a prua della barca solare, durante la traversata notturna del regno sotterraneo” e compariva inoltre sugli stendardi di guerra, rimarcando la sua duplice connotazione, guerriera e funeraria. Da non confondere con Anubis, divinità invece dalla testa canina.
Spostandoci nella penisola italica, presso i popoli etruschi è un Dio infero, di nuovo, a incarnare a modo suo la figura dell’uomo-lupo. È Aita, Signore dell’Oltretomba, rappresentato con una pelle di lupo addosso che usa come mantello e cappuccio, quasi fosse un elmo. Anche in questo caso, come per gli Egizi, un evidente collegamento tra il lupo e l’Aldilà, di cui l’animale diventa psicopompo (epiteto di divinità, designante la funzione di guida delle anime dei trapassati verso il regno dei morti). Dedicheremo alla mitologia nordica un apposito articolo, ma è interessante notare che, per i popoli norreni, i lupi erano chiamati Grey norna, i cani delle Norne, ovvero le Dee portatrici del destino.
Il dio etrusco Aita, in un particolare dell’affresco parietale della Tomba dell’Orco II a Tarquinia.
Giungiamo infine alla mitologia greca, che ha prodotto il maggior numero di leggende di trasformazioni di uomini in lupo e che, in virtù del livello raggiunto dalla cultura greca e dalla sua penetrazione in successive civiltà, ha influenzato la rappresentazione dell’uomo-lupo nella società occidentale.
Giova ricorda che gli Dei greci erano appassionati mutaforma, sempre pronti ad assumere un aspetto diverso nelle loro missioni segrete o per non farsi riconoscere dai propri partner durante le loro scappatelle amorose. Su tutti, Zeus, oltre che essere Sovrano dell’Olimpo e degli Dei, è stato anche signore di avventure extraconiugali e di trasformazioni. Nel suo vasto repertorio, mutò anche in lupo e come tale venne venerato, sotto il nome di Zeus Liceo, da Lykos (lupo).
Il caso più celebre di licantropia nel mito greco è quello di Licaone, figlio di Pelasgo e re di Arcadia. Esistono varie versioni di questo mito, che differiscono per il numero e il nome dei figli di Licaone, per le modalità in cui l’oltraggio viene perpetuato e anche per la punizione finale, che comunque è inflitta dal Dio a Licaone e/o ai suoi figli. Pausania, nella Descrizione della Grecia, dichiara che Licaone aveva sacrificato un bambino a Zeus Liceo, venendo per questo punito e trasformato in lupo. Precisa però Pausania che il cambiamento non è perenne, in quanto se l’uomo, quando è lupo, si astiene dal nutrirsi di carne umana dopo nove anni potrà tornare un uomo; se invece la assaggia, rimarrà lupo per sempre.
Alla stessa punizione va incontro Licaone nelle Favole di (Pseudo)Igino, sebbene la vicenda sia un po’ diversa: durante la visita di Zeus al re di Arcadia, i figli di Licaone vollero metterlo alla prova, per capire se fosse o meno un Dio, così mescolarono carne umana con altra carne e gliela offrirono a un banchetto. Quando comprese l’accaduto, Zeus si adirò, rovesciando il tavolo e uccidendo i figli con un fulmine; Licaone, invece, fu mutato in lupo. Una conferma dello stesso mito arriva dall’Astronomica dello stesso autore, in cui apprendiamo che il nome del ragazzo sacrificato e offerto a Zeus era Arcade, figlio proprio del Signore dell’Olimpo e della ninfa Callisto; dopo aver mutato Licaone in lupo, Zeus resuscitò Arcade e lo pose in cielo, a rappresentare la costellazione del Pastore.
Zeus trasforma Licaone in un lupo, incisione di Hendrik Goltzius
La versione più nota del mito di Licaone è forse quella narrata da Ovidio nel Libro Primo delle Metamorfosi per bocca di Zeus. Il Signore dell’Olimpo si era recato nell’inospitale dimora del re di Arcadia, annunciandosi come un Dio e suscitando la perversa curiosità di Licaone, che dubitava del suo status divino. Così il re aveva sgozzato un ostaggio inviatogli dalle genti di Molossia, per servirlo in pasto al Dio, ma questi, scoperto l’inganno, aveva fatto crollare la casa su di lui, mutandolo poi in lupo.
Atterrito fugge e raggiunta la campagna silenziosa
lancia ululati, tentando di parlare. La rabbia
gli sale al volto dal profondo e assetato come sempre di sangue
si rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue.
Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe:
ed è lupo, ma della forma antica serba tracce.
La canizie è la stessa, uguale la furia del volto,
uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce.
Compaiono, in queste poche righe, elementi “classici” del licantropo che riempiranno le storie di molti autori successivi e si faranno strada, radicandosi, nella mentalità popolare.
Giove e Licaone, xilografia di Salomon Savery
La versione di Pausania, in particolare, rimanda a quelli che Robert Graves in “I miti greci” definisce “gli orridi culti di Licaone”, diffusi nelle zone boscose dell’Arcadia, cerimonie che neppure il diluvio scatenato da Zeus (quello da cui si salvarono solo Deucalione e la moglie) era riuscito a eliminare. Pare che in queste regioni selvagge venissero praticati riti di sacrificio in onore a Zeus Liceo, in cui un fanciullo veniva ucciso e poi le sue carni offerte a un gruppo di pastori riuniti sulle rive di un fiume. Uno di loro (scelto a sorte) avrebbe mangiato la carne umana e iniziato a comportarsi come un lupo, spogliandosi, ululando e vivendo una vita selvaggia nella solitudine delle foreste dell’Arcadia. Il processo però era reversibile, in quanto se fosse riuscito a tenere a bada il suo lato animalesco, e non si fosse nutrito di carne umana per otto anni, al nono sarebbe potuto tornare in forma umana. Altrimenti sarebbe rimasto lupo per l’eternità.
Un esempio lo troviamo negli scritti di Plinio il Vecchio che, per quanto dubbioso al riguardo, riferisce nella Naturalis Historia di Demeneto di Parrasia, un tizio che, durante uno di questi riti, mangiò carne di fanciullo, mutando in lupo e così vivendo per otto anni. Al nono anno, non essendosi nutrito di carne umana, tornò a essere un uomo e vinse addirittura alle olimpiadi nella categoria di pugilato.
Il mito di Licaone, e i riti a lui connessi, vanno interpretati alla luce di quanto ricordato nell’articolo di apertura della rubrica, collegando l’evoluzione economica della società alle leggende che tramanda. L’Arcadia era una regione pastorale, dove quindi il lupo rappresentava un pericolo per le greggi, e non era più l’animale venerato e accanto al quale l’uomo avrebbe voluto cacciare e che avrebbe voluto imitare. Ecco quindi la funzione “morale” di questi racconti, che vogliono criticare tali riti e invitare ad abbandonarli e, a posteriori, hanno contribuito a originare il mito del “lupo cattivo”. Non per nulla Plutarco, in Vita di Pelopida, giudica questi riti cannibalistici “barbari e contro natura”, contrapponendo a Licaone il più civilizzato Cecrope, il primo re di Atene, che abolì i sacrifici di sangue, offrendo focacce d’orzo agli Dei.
Incisione di Virgin Solis per le Metamorfosi di Ovidio
Anche Apollo venne chiamato Liceo e adorato sotto questo aspetto ad Argo (in Grecia). Varie motivazioni esistono a sostegno di quest’epiteto, a partire dalla sua venuta al mondo: fu partorito infatti da Latona, assieme alla sorella Artemide, quando la donna era in forma di lupa e, dopo la sua nascita, fu portato in Licia. Ad Apollo Lykos venne dedicato un bosco a est di Atene, chiamato Lykaion (ossia il “territorio del lupo”), dove Aristotele era solito tenere lezione agli allievi della sua scuola peripatetica, una prassi, questa, che avrebbe originato il termine liceo nel senso di ordinamento scolastico. Infine, la Treccani indica un’ulteriore ipotesi, collegando l’epiteto alla natura di divinità solare (dalla radice λευκ-, λυκ- «candore, luce») del Dio.
Da non dimenticare Poseidone, fratello di Zeus e Signore dei Mari. Igino, nelle Favole, racconta di Teofane, una bellissima fanciulla, figlia di Bisante, il re di Tracia, e circondata e inseguita da numerosi corteggiatori. Per proteggerla da loro, Poseidone la rapì e la isolò sull’isola di Crumissa. Quando i pretendenti seppero che si trovava lì, allestirono una nave e si diressero verso l’isola. Per ingannarli, Poseidone trasformò allora Teofane in una bellissima pecora, se stesso in ariete e i cittadini di Crumissa in gregge. I pretendenti sbarcarono e, non trovando alcun uomo, iniziarono a macellare le greggi per cibarsene, come fossero lupi affamati. Di fronte a tale strage, Poseidone irato mutò i pretendenti nell’animale di cui avevano imitato i gesti, poi si unì a Teofane e generò l’ariete dal vello d’oro (quello che Giasone e gli Argonauti avrebbero poi cercato).
Non solo gli Dei trasformano gli uomini in lupi, anche gli stregoni. Lo sa bene Odisseo che, raggiunta l’isola di Eea, si imbatte nella Maga Circe, il cui palazzo è circondato da lupi e leoni, non selvaggi ma affettuosi, in grado di stare ritti sulle zampe posteriori. Lupi e leoni che un tempo erano uomini e che gli incantesimi di Circe avevano mutato in bestie. Virgilio riprenderà questo episodio dell’Odissea omerica nell’Eneide, quando Enea, sbarcando sul Circeo, udirà suoni di orsi, lupi e leoni, ossia di uomini mutati in bestie tramite incantesimi.
Circe offering the cup to Odysseus, dipinto di John William Waterhouse (1891)
Chiudiamo il viaggio nel panorama mitologico greco, ricordando la lupa Mormolice (o Mormolyke), divinità infernale di guardia all’Acheronte. Il Dizionario Etimologico della Mitologia Greca, curato dall’Università di Trieste, fa notare come tale termine sia composto dal nome espressivo Mormò (spauracchio femminile usato per spaventare i bambini, un po’ come Lamia) e da λύκη, “lupa”, e può quindi significare “terribile lupa cattiva”, l’antesignana femminile del lupo cattivo di molte fiabe. Anche in questo caso un palese accostamento tra l’animale e il suo ruolo di psicopompo.
Spostandoci nella penisola italiana, la prima cosa che balza all’occhio è il legame della cultura e della mitologia romana con il lupo. Un legame più forte, e anche più positivo, che in altre culture. Un paio di esempi veloci, prima di passare ai licantropi: Romolo e Remo furono allattati da una lupa, che diventò il simbolo di Roma, venendo riprodotta su statue e monete; i vexillifer (sottufficiali incaricati di tenere le insegne della propria legione) indossavano pelli di lupo; il 15 febbraio a Roma si tenevano i Lupercali (cerimonia in onore di Fauno nella sua accezione di Luperco, Divinità invocata per garantire la fertilità, in questo caso per proteggere il bestiame dagli attacchi dei lupi), celebrati da sacerdoti detti Luperci. Il Lupercale, infine, era una grotta sacra, un santuario ai piedi del Palatino, dove i romani veneravano il Dio Luperco, e dove, secondo la leggenda, il pastore Faustolo aveva trovato i gemelli figli di Rea Silvia allattati dalla lupa.
La lupa capitolina, scultura bronzea conservata ai Musei Capitolini
Nella mitologia romana i licantropi erano chiamati versipellis, in quanto si riteneva che il pelo lupesco nascesse sotto la pelle dell’uomo e che, durante la trasformazione, questa si ribaltasse, lasciando uscire il folto manto del lupo. Tra gli autori classici che parlano dei licantropi, e che analizzeremo meglio nell’articolo sui “licantropi nella letteratura”, possiamo citare Virgilio, Properzio e Gaio Petronio.
Virgilio, dopo aver già descritto le magie di Circe nell’Eneide, nell’VIII ecloga delle Bucoliche fa dire al pastore Alfesibeo di aver assistito alla trasformazione di un uomo in lupo grazie a delle erbe particolari, raccolte nel Ponto:
“vidi spesso Meri trasformarsi in lupo
e celarsi nelle selve, ed evocare le anime dai sepolcri profondi,
e trasportare le messi seminate da un campo all’altro”.
Il più celebre racconto di trasformazione di uomo in lupo dell’età romana è presente nel Satyricon di Petronio, durante l’episodio della cena di Trimalcione, quando il liberto Nicerote racconta un episodio che gli è accaduto di persona, ossia l’aver assistito con i propri occhi alla trasformazione di un soldato in un lupo mannaro.
Secondo i romani più istruiti, invece, la licantropia non esiste. Abbiamo già citato lo scetticismo di Plinio il Vecchio, che nella Naturalis Historia afferma:
“Che gli uomini si trasformino in lupi, e poi rientrino di nuovo in sé, è da considerare una bugia senz’altro, a meno di prendere per buone tutte le favole dei secoli passati”
A parere di altri la licantropia era un disturbo psichico, una “melanconia cerebrale” come afferma Galeno nella Ars Medica, e come tale suscettibile di essere curato tramite rimedi terapeutici:
“Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d’aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell’accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l’infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d’altra parte di bagni d’acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate”.
Non solo i versipellis potevano mutare in lupo, anche gli Hirpi Sorani, celebranti di stanza sul Monte Soratte un rilievo solitario a nord di Roma, al centro della valle del Tevere. Gli Hirpi Sorani veneravano Apollo (nella sua accezione, già citata, di Liceo), che pare fosse presente alle loro cerimonie in forma di grande lupo bianco, vestendo pelli di lupo, con la testa dell’animale sul capo, un aspetto che ricorda Aita, il Dio infero degli etruschi (commistione dovuta al probabile sovrapporsi e mescolarsi di culture nella stessa area). Il termine “hirpus” deriva dall’osco ( la lingua degli Osci e dei Sanniti, fa parte delle lingue osco-umbre) “lupo” (che tale popolazione considerava animale sacro, in quanto li aveva guidati alla conquista del territorio in cui si erano stabiliti) mentre “sorano” ha due significati: deriva da “sorex”, un titolo sacerdotale nell’epigrafia dei Falisci (e quindi questi celebranti sarebbero dei “sacerdoti dei lupi”), e ovviamente da Sorano/Soranus. Questa era un’antica divinità italica (pre-romana, quindi), nota con nomi diversi a seconda delle fonti (Sur, Suri, Śur “il Nero”) e venerata da vari popoli dell’Italia centrale. Alessandro Riccardi, nel suo articolo sul Monte Soratte, ci ricorda che il termine Soranus deriva dalla divinità etrusca degli inferi e della divinazione Suri, che dai Falisci fu assimilato con Apollo, anch’esso dio della divinazione.
Sempre ricordando altri popoli con cui Roma venne in contatto nella sua espansione, oltre ai già citati Irpini (Sanniti), ricordiamo i Lucani (della Basilicata), il cui nome, secondo una delle tante teorie al riguardo, deriva dal greco lykos, ossia lupo. Molto più a nord, i Daci (termine che, secondo Bǎrbulescu, deriva dal frigio “Daos”, ossia lupo) la cui leggendaria origine viene fatta risalire all’unione tra un lupo e una principessa.
Una nota conclusiva. Versipellis è il titolo di un accattivante cortometraggio horror, di produzione italiana, del regista Domenico Della Pepa, che rielabora, in chiave moderna, il mito del licantropo. Ha vinto la sezione Italian Horror dello Small Movie Festival, edizione 2013.
BIBLIOGRAFIA:
Dizionario dei Mostri. Volume 1, Miti, mostri e creature immaginarie del Mediterraneo antico, di Massimo Izzi, L’Airone Editore, 1977.
Dizionario della favola antica, di Christian Stocchi, Bur Rizzoli, 2012.
Dizionario storico-mitologico di tutti i popoli del mondo, di Giovanni Pozzoli, Vignozzi, 1829.
I miti greci, Robert Graves, Longanesi, 1977.
Il Monte Soratte. La Montagna Sacra, di Alessandro Riccardi.
Licantropi. I figli della luna, di Simonetta Santamaria e Luigi Boccia, Gremese edizioni, 2011.
Storia dei licantropi, di Luca Barbieri, Odoya, 2011.
The History of Transylvania: Until 1541, Mihai Bǎrbulescu, Romanian Cultural Institute, 2005
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