Oggi per la nostra rubrica Il Viaggiatore voglio proporvi una serie di email scambiate con lo scrittore Fabrizio Colonna che poi (un po’ per volontà propria) hanno assunto il carattere di un intervista. Voi che conoscete la mia sana (o malsana?) curiosità, capirete bene che un libro come il Cavalier buffone dalle diverse sfaccettature mi ha lasciato diversi interrogativi e diverse supposizioni e con l’autore a portata di mano perché non approfittarne? Così ho assalito di domande lo scrittore in questione e siccome pensavo che altri come me si sarebbero potuti porre gli stessi interrogativi li ho snocciolati di seguito.
ALERT: Consiglio la lettura dell’intervista solo dopo aver letto il libro, anche se le domande ad alto rischio spoiler sono messo sotto apposito riquadro.
L: Siccome nel tuo romanzo non ci sono personaggi davvero cattivi, ma tutti comprensibili, qual è quello che secondo te ha l’anima più oscura?
F: Tra i protagonisti il personaggio più inquietante è senza dubbio Stevenus McSion. Ho avuto molto tempo prima di arrivare a scrivere la sua parte e ciò mi ha permesso di elaborarlo al meglio possibile. Nel capitolo ‘Il Cavalier Buffone’, dove vengono raccontati tre divertenti aneddoti della sua vita, tra una battuta e l’altra ho cercato di far trasparire un aspetto decadente della sua personalità: l’arroganza. Stevenus è un artista e come molti di essi si sente migliore, se non addirittura superiore. In sé è comprensibile, poiché l’artista percepisce la propria diversità, la quale viene spesso additata come stranezza da chi gli sta attorno. L’arroganza diventa una sorta di scudo e può assumere anche connotati offensivi, se usata correttamente.
L: Quale personaggio ti rappresenta di più? Mi spiego: ogni scrittore mette una parte di sé quando crea i personaggi a quali di essi hai lasciato un’impronta maggiore del tuo carattere?
F: Viandante e Stevenus sono due parti della mia personalità.
Il Viandante è la ricerca, l’umiltà davanti all’ignoto e la consapevolezza del non sapere. Al tempo stesso è il coraggio di cercare la verità, anche se sgradevole, di capire il mondo e dove potrebbe collocarsi. Ma il Viandante è anche l’alter ego del lettore, perché ha i suoi stessi dubbi, le stesse domande e la stessa perplessità davanti a parole strane e barzellette che non fanno ridere. Il Viandante è il mio desiderio. Stevenus è invece il mio lato goliardico, superficiale, quello che non vorrebbe darsi troppi pensieri ma che, in fin dei conti, paga lo scotto della sua stessa arroganza. È il mio egocentrismo, relegato in una torre a marcire. Stevenus è il mio rimpianto.
L: A chi o a cosa ti sei ispirato per creare Vil, il bardo e lo spadaccino?
F: L’idea di una storia da taverna mi venne al tempo in cui giocavo a Ultima Online, in effetti tutto il Cavalier Buffone nasce da quell’esperienza. La trama era ben diversa, ma i personaggi erano gli stessi, Vil compreso.Vil è uno dei miei preferiti, perché incarna il concetto stesso di skald, musico guerriero. È un grande artista, sensibile e abile, un ottimo oratore e organizzatore. È caparbio, ma gentile, vive una vita che si è scelto da solo, Tuttavia è anche un uomo che soffre per queste scelte, sa che non tornerebbe indietro per nessun motivo, ma è dispiaciuto di non essere stato compreso. A differenza di altri personaggi, Vil ha un carattere davvero forte, perché non accusa ma comprende i motivi per cui è stato allontanato. E li perdona. Viene accusato di aver provocato un torto, quando è invece lui stesso ad averlo subito. Ne è consapevole, ma non lo rinfaccia, perdona e basta e spera in una riappacificazione. Egli era funzionale alla storia, così come l’ho concepito, perché doveva essere un duro all’occorrenza ma anche una spalla e un uomo di buon cuore. Un motivatore, insomma.
Per me è come Capitan America.
L: Come mai hai deciso di scrivere questo libro?
F: Lo iniziai nel giugno 2006. Non posso dimenticarlo. La sua elaborazione è stata lunga ma solo in quel periodo riuscii a iniziarlo.
Era un brutto momento, gli amici con cui ero cresciuto avevano preso la propria strada, qualcuno si era trasferito e non lo vedevo né sentivo più. Altri avevano trovato una compagna o un marito e li ho persi di vista. Io ero più interessato ad altro, come Stevenus, così non seguii l’esempio e mi ritrovai da solo.
Il gioco online stava smettendo di interessarmi, ma non ciò che ne avevo tratto tra esperienze di gioco dirette o racconti di altri. Fu così che decisi di farlo, buttai giù una traccia e lo cominciai. C’era un solo scopo all’inizio, quello di regalare questa storia ai membri della community. Purtroppo ci vollero ben sei anni per terminarlo e quando giunse il momento dei miei conoscenti ne erano rimasti ben pochi, ciò non toglie che, nei suoi difetti, il romanzo mi piaceva molto. Fu così che decisi di continuare a lavorarci nei due anni successivi, tagliando e correggendo, fino a che due editori non si dimostrarono interessati. Come ogni romanzo che si rispetti, però, Il Cavalier Buffone non era solo una storia fine a se stessa, ma anche un tentativo puramente artistico di esorcizzare un problema personale e di diffondere un pensiero in una chiave diversa. Ogni personaggio racchiude una problematica che vivevo in quel periodo e il loro contenitore, il romanzo stesso, era il senso della loro esistenza. In pratica volevo raccontare di come la fantasia mi stava aiutando e al tempo stesso logorando, per questo motivo il libro ha due livelli di lettura: il primo è la commedia fantasy, semplice e fruibile in tranquillità, il secondo è più profondo, esistenziale e doloroso, pur stemperato dall’umorismo imperante dell’opera.
F: Interessante la tua teoria, ma… no, Ginevra è purtroppo una Ginevra reale, una donna che ho amato a tal punto da ridurmi come Stevenus. La degenerazione dell’amore è l’ossessione, che è a sua volta la decadenza del sentimento puro che si ‘sporca’ con la ragione, o meglio, con il non accettare di non poter amare ed essere amati. Il cuore e le emozioni vengono invasi dai pensieri, dai calcoli, coi quali si cerca di aggirare l’evidenza di un sentimento non corrisposto e che una persona ragionevole e sana di mente accetterebbe, suo malgrado. Così non fu per me e così non fu per Stevenus. Ma come io mi risollevai da terra abbandonando l’ossessione in favore della ragione, così alla fine fa lui, stringendo solo la speranza comprende che la cosa migliore da fare, nel peggiore dei casi, è accettare la realtà, per quanto dolorosa possa essere.
F: Stevenus, durante il sogno cantato in Obscura, rinfaccia al Viandante di averlo reso così, di avergli fatto compiere certe cose. Non sta parlando di lui nello specifico, ma si sta rivolgendo direttamente al creatore della fantasia, di cui lui è l’alter ego. Stevenus è l’unico a sapere, ad aver capito che loro vivono in una fantasia e che Finisterre non è reale. Ci sono molti indizi sparsi nel momento in cui entra in contatto col gruppo e che spesso si confondono con il suo apparente desiderio di morire. Inconsciamente Stevenus sa tutto, sa anche chi è il Viandante, per questo si sorprende quando questi lo vede come rimpianto. In quel momento lui non comprende, ma in realtà il creatore è dispiaciuto di averlo fatto soffrire così… perché Stevenus incarna la sua sofferenza, gli ha fatto rivivere un fallimento d’amore nella realtà, di cui il Viandante e Aurora rappresentano l’opposto. Come Stevenus soffre, così soffre il creatore (colui che sta fantasticando la loro storia), per questo esiste l’amore tra i due giovani: cerca di compensarlo con una fantasia irrealizzabile.
F: Il raziocinio. Il condizionamento a esso del mondo esterno, reale. È mamma, papà, maestro e istituzioni che ti dicono di concentrarti sul mondo reale, di metterti a produrre e non pensare a cose frivole come fantasticare. O scrivere. È il materialismo che non concede spazio all’immaginazione, che la tollera entro certi limiti ma poi basta, deve finire. È ovviamente parte del creatore, di ognuno di noi, condizionati o istruiti a tornare alla realtà. Ed è altrettanto indispensabile per non rimanere intrappolati in un fantasticare. Nylith acquisisce una connotazione negativa, nella storia, in quanto si contrappone alla loro volontà di vivere. Tuttavia Aurora non lo distrugge, anzi, gli permette di continuare la sua opera perché consapevole che è necessaria. In qualche modo dobbiamo tutti tornare alla realtà, prima o poi.
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Consiglio vivamente di leggere questo libro perche’e ben scritto,curato ed intenso profondo.