Il tempo del romanzo – Parte 1

Il tempo in una narrazione è (ovviamente) importante.
Decidere di narrare una storia al passato o al presente (o addirittura al futuro, se volete scrivere un libro di profezie) influenza in modo fortissimo lo stile del libro e della vostra voce.

Prendiamo i due tempi più utilizzati: passato e presente.
Quale tra questi è il migliore?
Naturalmente nessuno dei due.
Esistono capolavori scritti al passato e capolavori scritti al presente. È però vero che la maggior parte dei romanzi, almeno sino alla prima metà del novecento, sono stati composti utilizzando la narrazione al passato, mentre quella al presente è di utilizzo più moderno.
Le ragioni per cui è avvenuto questo sono innumerevoli, e ne potremmo trovare a decine (la più semplice che mi viene in mente è che, quando si racconta una storia, per definizione non la si sta vivendo, perciò raccontarla al passato è l’azione che appare più naturale), ma tali ragioni in questa sede non c’importano.

Come aspiranti autori dobbiamo soltanto domandarci quale stile sia più consono alla trama che abbiamo in mente.
Attenzione: non il più consono a noi stessi!
È infatti un classico errore dello scrittore giovane quello che lo porta a confondere l’abitudine di leggere storie scritte al passato con la propria preferenza per esse. Del resto, è abbastanza probabile che se siete grandi lettori (e spero che lo siate), avrete incontrato sul vostro cammino molti più romanzi narrati al passato (per le ragioni che non c’interessano di cui sopra).
Questa abitudine però non va confusa né con il vostro gusto, né tantomeno con una qualche regola di scrittura.

Ogni storia ha una forma narrativa che gli si adatta al meglio, e trovarla è il nostro obiettivo.
Scegliere tra passato e presente non consiste nel valutare quale possibilità preferiamo noi (in parte anche quello conta, ma meno di quanto si crede), bensì nel comprendere quale “abito” vada meglio alla nostra storia.
Un abito sbagliato può portare a un risultato imperfetto.

A volte una simile ricerca è semplice: un thriller tutta azione si presta bene al presente, mentre nel fantasy e nel fantastico si tende ad utilizzare il passato, poiché esso dona alla narrazione il distacco temporale dalla realtà che in un’opera fantasy è quasi d’obbligo.
Questa però, lo ripeto, non è una regola!
Ci sono, e potete inventare, thriller al passato o fantasy in cui la narrazione è al tempo presente.
Queste ultime, ad esempio, in quanto avranno uno stile molto rapido e immediato, determineranno trame meno fiabesche e, probabilmente, vicine al nostro mondo.

La caratteristica dello stile al presente, infatti, è donare alla vicenda un senso di immediatezza. È come se sotto agli occhi avessimo un film o un’opera teatrale, perciò ci sarà poco spazio per divagazioni e riflessioni; la scena è “qui”, di fronte a noi, e non possiamo fermarla (o meglio: impareremo a fermarla quando saremo molto bravi, trovando gli intermezzi giusti per farlo).
Al contrario una narrazione al passato mette in scena eventi conclusisi, raccontati da una voce (interna o esterna che sia) che è libera di gestirsi il tempo delle scene come preferisce.

C’è insomma la stessa differenza che sussiste tra la telecronaca di una partita di calcio e un programma sportivo. In entrambi i casi si sta raccontando l’incontro tra due squadre: nel primo però, al presente, c’è necessità di essere sempre prossimi alla vicenda e, seppur sono permessi brevi commenti, l’attenzione è focalizzata sul susseguirsi delle azioni; nel secondo caso invece tutto si è concluso, perciò si ha il tempo di riflettere, discutere e spostarsi liberamente tra i vari momenti del match.

Riguardo allo “spostarsi tra i vari momenti”, però è meglio parlarne con più precisione nel prossimo articolo.

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Il tempo del romanzo - Parte 2
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Ha scritto il suo primo libro all'età di otto anni (un'orribile copia di Jurassic Park) e da allora non ha più smesso di sprecare inchiostro, nel tentativo di emulare i suoi inarrivabili punti di riferimento. Collabora con alcuni siti di interesse letterario, oltre a questo blog. Ha affrontato i misteri dell'autopubblicazione, alcuni premi letterari e una piccola pubblicazione in cartaceo, ma continua a scrivere continuamente per raggiungere il suo vero obbiettivo: scrivere continuamente.
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4 Comments

  1. avatar SaraIE ha detto:

    Ancora una volta ringrazio Andrea per questo articolo che ci fa riflettere su cose che appaiono come delle banalità e non lo sono per niente.

    Per esprimere un pensiero mio, parlando della scelta fra passato e presente, bisogna anche riflettere sull’epoca in cui va a inserirsi la trama.

    Ammettiamo di scrivere un fantasy che “storicamente” si colloca nel 2000, sulla Terra (ma perché no anche in un mondo inventato?): posso ben immaginarmi che la trama venga scritta al presente, perché succede ai tempi nostri, rende l’impressione che la storia potrebbe svolgersi proprio sotto il nostro naso.
    Al contrario, scegliessi di ambientare “storicamente” la mia trama nell’anno 1000, in un mondo inventato o anche nel nostro, mi sembrerebbe (sottolineo che è un mio parere personale) un po’ schizofrenico volerci piazzare il presente, perché è un anno fin troppo lontano da noi.

    Tuttavia ho anch’io ambientato una storia nel 1914 e l’ho scritta al presente perché ho usato l’anno solo per dare una verosimiglianza con l’inserzione dei miei protagonisti. (vedete su “storie e racconti”, l’ombra e la tempesta) Questi personaggio erano dei simboli e vivevano quell’avventura per lanciarsi in un tema molto più attuale: perciò nel mio caso il presente non è stato un mezzo stilistico per dare un’immagine immediata alla trama, ma per trasmettere il messaggio di oggi.

    Quindi, come dice Andrea, c’è un tempo per ogni storia.

    • avatar Andrea Micalone ha detto:

      Grazie a te! 🙂
      Hai pienamente ragione.

      P.S.
      Mi fai venire in mente che un esercizio molto interessante potrebbe essere quello di trovare una storia dell’anno 1000 (o magari 0, o precedente!) adatta per una narrazione al presente.

  2. avatar Francesca Rosaria Riso ha detto:

    Preferisco scrivere al presente. Il personaggio impatta a tempo reale e questo crea movimento nella narrazione e poi… mi impiccio meno nei tempi verbali.

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