Più la osservavo, più quella grotta mi sembrava una porta spalancata su un abisso. Da dove mi trovavo potevo vedere bagliori rossastri muoversi ad intermittenza, come se qualcuno si stesse divertendo ad accendere torce che poi spegneva, sistematicamente, una dopo l’altra. La cosa non mi piaceva, ma Eleonor era senz’altro laggiù ed io dovevo trovarla.
Divisi gli uomini in tre gruppi, mettendomi al comando del primo e lasciando gli altri due rispettivamente a mio padre e a Daith. L’idea era quella di procedere nelle tre direzioni partendo dall’entrata, e battendo palmo a palmo quello che a prima vista sembrava un enorme alveare riuscire a trovare traccia di mia sorella. Ma avevamo fatto solo pochi passi che una voce risuonò sopra le nostre teste, bloccandoci il fiato in gola.
“Benvenuti, amici miei. Vi stavo aspettando.”
Il tono era austero e il timbro cavernoso, quasi che le parole provenissero dal centro stesso della terra ma in realtà a proferirle era una figura avvolta in un mantello cremisi, che procedeva lentamente verso di noi con andatura maestosa. A prima vista sembrava un uomo, anche se dalle proporzioni alterate visto che torreggiava su tutti, e benché avesse il volto nascosto da un ampio cappuccio sembrava addirittura che sorridesse.
“Quale onore trovarti ad accoglierci. Devo interpretarlo come un gesto distensivo, Fallon?”
Stavolta a parlare era stato Daith. Squadrava il suo interlocutore dal basso verso l’alto con aria beffarda e contemporaneamente teneva una mano sul mio braccio, a consigliarmi di stare zitto e lasciar fare a lui.
“Vedo che non hai perso la tua irriverente ironia, Daith il veloce. Ancora difensore delle cause perse, a quanto pare. Ma stavolta l’impresa è fuori portata anche per uno come te.”
La strana figura distese il braccio ed immediatamente un muro di fuoco si frappose tra noi e l’uscita, vietandoci qualsiasi movimento se non in avanti. Sentivo un calore insopportabile provenire da dietro le mie spalle, vedevo gli uomini scappare da tutte le parti e ascoltavo quelli meno fortunati gridare tanto da farmi accapponare la pelle, un attimo prima di sparire tra le fiamme. Solo Daith era ancora accanto a me, non si muoveva ed anzi sfidava con lo sguardo l’essere che aveva provocato tutto questo e che adesso se la rideva di gusto.
“Che tu sia maledetto, Fallon. Me la pagherai, fosse l’ultima cosa che faccio.”
Detto questo Daith si allontanò da me di qualche passo, aprì le braccia come se volesse uscire ad avvinghiare il mondo intero e chiuse gli occhi, salmodiando parole in uno strano linguaggio che per quanto mi sforzassi non riuscivo a comprendere. Il suo corpo diventava sempre più alto e possente, sembrava quasi dovesse esplodere e alla fine lo fece, lasciando al suo posto un involucro dalla sembianza umana e floscio come un cencio, inerte e perfettamente svuotato. Contemporaneamente, sebbene fossimo al coperto cominciò a cadere una pioggia lenta, quasi avvolgente che però proprio nel luogo in cui un attimo prima si trovava il mio amico non toccava terra ma, rimanendo sospesa a mezz’aria, ridisegnava la sua fisicità, conferendole una consistenza liquida. Riuscivo a vederlo distintamente e perfino a sentirlo, mentre sussurrava parole che mi arrivavano alle orecchie frantumandosi in mille rivoletti e che dicevano:
“Con lui me la vedo io. Tu pensa a trovare Eleonor.”
Afferrai mio padre per un braccio e corsi verso il centro di quello strano alveare, a testa bassa e senza voltarmi a guardare cosa facesse Daith. Quando fummo abbastanza lontani ci fermammo un momento a tentare di pianificare una strategia, che apparentemente poteva riguardare solo noi due: non avevo idea di dove fossero gli altri e non mi sembrava il caso di mettermi a gridare per chiamarli. La struttura era immensa, e non sapendo dove potesse essere mia sorella la soluzione più ovvia era quella di separarci, onde riuscire a visitare il maggior numero possibile di celle. Anche se questo avrebbe significato rimanere divisi l’uno dall’altro per chissà quanto tempo.
Ci eravamo appena accordati di procedere in direzioni opposte quando un urlo terribile rimbalzò da una roccia all’altra, portando alle nostre orecchie una voce che riconoscemmo subito: Eleonor. Ci lasciammo guidare da esso ed attraversando cunicoli, seguendo scale arrivammo davanti ad una porta enorme, chiusa dalla nostra parte. Adesso non si udivano rumori all’interno, ma ero certo che l’urlo fosse giunto proprio da lì.
“E’ qui, ne sono sicuro. Aiutami.”
Assistito da mio padre mi liberai della grossa trave che fungeva da fermo ed entrai. Mia sorella giaceva su un letto, sembrava dormire ma quando mi avvicinai mi accorsi che era svenuta. Accanto a lei aveva un bambino appena nato, con la pelle chiara come un raggio di luna e magnifici occhi grigi.
“Eleonor! Eleonor!”
Non riuscivo a far altro che ripetere il suo nome, mentre mio padre la scrollava nel vano tentativo di farle riprendere i sensi. Fu lui che alla fine riuscì ad estrarmi da quella specie di nebbia che mi aveva avvolto, dicendomi:
“Fearghal, dobbiamo portarla via di qui. Prendiamo lei e il bambino e andiamocene.”
Così feci: la sollevai dal letto e me la caricai sulle spalle, aspettando che mio padre avvolgesse il bimbo in una coperta e mi seguisse. Poi, entrambi lasciammo la stanza pronti a riprendere in senso inverso la strada che ci aveva portato lì, riguadagnando l’uscita. Nel frattempo mi guardavo intorno: avevo la sensazione che riavere Eleonor fosse stato fin troppo semplice, ed in effetti non mi sbagliavo.
Appena fuori, ci accorgemmo che dal buio di un corridoio laterale spuntavano enormi occhi verdi striati d’ambra. Erano posti almeno al triplo della nostra altezza e ci fissavano, mentre un suono simile ad un sibilo riempiva l’aria già satura di un odore nauseabondo. Mi era sembrato strano che la porta di Eleonor non fosse controllata: quella “cosa” doveva essere il suo carceriere.
Io e mio padre eravamo terrorizzati. In quelle condizioni, con una donna svenuta sulle spalle e un bambino in braccio, non era pensabile fare alcunché. La creatura di fronte a noi dovette giungere alla stessa conclusione, perché uscendo dal buio ci si parò davanti, rivelandosi essere un drago enorme che, con la sua mole imponente, si limitava a sbarrarci la strada per la fuga.
Da sopra la mia spalla, Eleonor cominciava a riprendere i sensi: sentivo il suo respiro farsi più regolare e percepivo qualche debole movimento; il neonato tra le braccia di mio padre adesso piangeva, sgambettando velocemente sotto la coperta; l’animale davanti a me si stava muovendo, venendoci incontro con chissà quale intenzione; la mia mente sembrava esplodere, riconsiderando tutti i fatti e tentando disperatamente di trovare una soluzione che era evidentemente fuori dalla sua portata. Daith, l’unico che in quel momento avrebbe potuto aiutarci era rimasto indietro a coprirci le spalle, probabilmente a lottare con quell’essere che lui aveva chiamato Fallon. Poi c’era stato un urlo terribile, che ci aveva fatto ritrovare Eleonor ma anche attirato in quella che si era rivelata essere una strada senza uscita. Un urlo raccapricciante che mi aveva fatto temere il peggio, di mia sorella che aveva dato alla luce quel bambino, non poteva essere altrimenti. Figlio suo e di chi? Sembrava non esserci nessuno oltre noi, se non… La risposta era troppo spaventosa persino per pensarci, sarebbe stato mostruoso ma del resto, a rifletterci bene, fino a quel momento erano successe tutte cose talmente strane che quella sarebbe stata solo l’ultima di tante, per quanto inspiegabile e perversa. Ma comunque la peggiore di tutte era lì davanti ai miei occhi: le persone che amavo di più al mondo erano in una maledetta trappola ed io non sapevo come riuscire a tirarle fuori.
“E’ finita” – dissi a voce alta. “Moriremo qui e adesso. Tutti.” Poi, lasciai che la mia mente smettesse di pensare e semplicemente pregai.
“Madre delle madri, avvolgici nel tuo mantello.
Signora di quegli elementi a te sottomessi e devoti, proteggici.
Custode dei silenzi, accogli la nostra supplica.
Da questo giorno a questa notte,
dall’alba alle tenebre e dalle tenebre all’alba.”
Mio padre sulle prime non capì, ma poi unì la sua voce alla mia in quella che aveva tutti i connotati una disperata richiesta di aiuto. Insieme ripetemmo le parole lentamente, scandendole bene e tendendo ogni fibra dei nostri corpi nel dare loro profondità e senso. “Madre delle madri… dall’alba alle tenebre e dalle tenebre all’alba… da questo giorno a questa notte…” Un rumore improvviso ed assordante interruppe la nostra litania: le mura intorno a noi tremarono, il pavimento sembrò venir meno ai nostri piedi e persino quegli occhi fissi lì a guardarci ebbero un sussulto. All’inizio fu solo una pietra, poi un’altra, poi il soffitto cominciò a sbriciolarsi su quella pelle squamosa, su quella testa enorme, su quelle zampe possenti dagli artigli affilati. Intorno alla bestia tutta la roccia si frantumava, sminuzzava, sprofondava con un fragore di tuono che mi rimbomba ancora nelle orecchie. Sembrava che la terra avesse deciso di inghiottire proprio e soltanto lei, perché in quel cataclisma noi eravamo rimasti miracolosamente illesi. Solo alla fine, voltandomi verso mia sorella che adesso era in piedi accanto a me, mi sembrò di intravedere, sulla parete alle sue spalle, due occhi compiacenti guardarmi attraverso la pietra.
Una preghiera era stata accolta ed una risposta era stata data.
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Letto solo adesso .
Fantastico, bravissima