Raccogliendo il suggerimento di Sara IE, ho dato un nome all’uomo dagli occhi grigi. Buona lettura!
All’inizio mi era sembrata solo una grotta come tante altre, ma poi si rivelò essere l’anticamera di un mondo quasi irreale. Dal punto in cui ero potevo scorgere solo una parte dell’immensa struttura, che ricordandomi quella di un alveare appariva come il lavoro meticoloso di un architetto bislacco divertitosi a scavare l’intera montagna ricavando tante cellette, poste su piani diversi, a prima vista esattamente uguali e collegate tra loro da scale e corridoi. Studiandone la geometria vedevo, oltre alle rocce, fuochi che bruciavano senza niente che li alimentasse e che spuntavano dal nulla, a rischiarare un’oscurità densa ed appiccicosa per poi tornare a sparire nello stesso nulla che li aveva generati. Io e l’uomo dagli occhi grigi, al quale nella mia mente avevo dato l’improbabile nome di Jasper, riprendemmo a camminare dirigendoci verso il basso. Egli si muoveva sicuro tra quei roghi improvvisi che spuntavano intorno a noi evitando ogni possibile contatto ma regolandone l’intensità con semplici gesti della mano, mentre mi guidava attraverso cunicoli e scale bucando il buio con quelle sue pupille che adesso apparivano quasi luminescenti. Mi accompagnava in silenzio, sbirciando ogni tanto le mie reazioni che cominciavano ad essere sempre più evidenti per via della stanchezza e di quell’aria soffocante. Scendevamo, scendevamo sempre, non potrei dire di quanto ma era comunque molto: sembrava che dovessimo raggiungere il centro stesso della terra, per nasconderci da cosa o da chi non lo avevo ancora capito. O forse, semplicemente si voleva eliminare la possibilità che qualcuno potesse tirarmi fuori da lì. Cominciavo ad avere davvero paura.
Quando finalmente si fermò, eravamo su una specie di passaggio lungo e stretto. Non era scavato ma sospeso, e alla fine di esso vi era uno spiazzo perfettamente tondo affacciato su un mare di fiamme che arrivavano quasi a blandirne il bordo.
“Ci siamo. Aspetterai qui.”
Mi spinse in avanti, facendomi capire che quella sarebbe stata la mia futura dimora. Sulle prime sembrava intenzionato a non seguirmi, ma poi mi accompagnò fino dall’altra parte. Quindi, facendomi sedere a terra e senza tanti complimenti, continuò:
“A questo punto posso anche slegarti. C’è solo una strada per arrivare qui ed è attentamente sorvegliata, perciò ti consiglio di non provare a fuggire. Per il resto del soggiorno sarò io stesso ad occuparmi di te, quindi vedi di non crearmi problemi.”
Detto questo si sfilò Aidan dalla cintura e tagliò la corda, liberandomi le mani. Un lampo divertito passò nei suoi occhi, ma fu solo un attimo. Si ricompose immediatamente e tornò sui nostri passi, che adesso erano solo suoi, per poi sparire nell’oscurità.
Massaggiandomi i polsi indolenziti riguadagnai la posizione eretta. Mi sentivo debole sulle gambe ma non avevo alcuna intenzione di rimanere lì senza fare niente. Appena mi mossi però, capii cosa intendesse Jasper parlandomi di un’adeguata vigilanza. Due enormi occhi verdi spuntavano dal buio proprio nel punto in cui lui era scomparso: erano fissi, vuoti, eppure vivi. Sembravano seguire ogni mia mossa e scrutare le mie intenzioni, prevedendo le future. Riflessi d’ambra vi brillavano dentro, rispondendo con i loro bagliori alla luce di quel fuoco che io cominciavo ad odiare. Qualunque cosa fosse, mi osservava e doveva essere enorme. Un carceriere se n’era appena andato ma già un altro ne prendeva il posto.
Mi rimisi a sedere, cercando di mantenere la calma ma mi sentivo stanca, affamata, impaurita. Speravo che tutta questa storia fosse solo un brutto sogno dal quale mi sarei risvegliata trovandomi tra le braccia di Fearghal. Già, mio fratello. Certo a quest’ora ormai lui sapeva e sicuramente era già in viaggio per venirmi a cercare. Dovevo aiutarlo, fargli sapere dov’ero. Ma come?
Mentre cercavo disperatamente di trovare una soluzione, mi accorsi che Jasper stava tornando verso di me. Lo seguiva il mostriciattolo che mi aveva legato e che adesso portava una ciotola, una brocca e anche del pane. Posò tutto accanto a me e poi scomparve, mentre l’altro mi si accomodò vicino.
“Mangia pure, mia cara. Non voglio certo che tu muoia di fame. Dopotutto rispondo io della tua vita, almeno per il momento.”
Sembrava godersela un mondo, ma per quanto questo mi facesse infuriare la mia attenzione fu tutta per il cibo che avevo davanti: non sapevo quando ne avrei visto ancora e non potevo permettermi di non approfittarne. Lui del resto non sembrava minaccioso, ed anzi aveva tutta l’intenzione di godersi il potere concessogli dalla situazione, al punto da diventare persino loquace. Io riuscivo a seguire a stento quello che diceva: parlava, con quella sua voce calda, ma le parole si rifiutavano di fermarmisi in testa. Probabilmente perché in quel momento riuscivo solo a pensare che Aidan era lì, a poco più di un metro da me, assolutamente alla mia portata.
Decisi di giocarmi il tutto per tutto. Presi la brocca per bere ma poco prima di posarla di nuovo a terra gliene gettai il contenuto in faccia. Brutta cosa la sicurezza. Colto alla sprovvista, Jasper si spinse con il busto all’indietro portandosi le mani agli occhi, e mentre il vino assolveva la sua parte di perfetto complice io lo colpii, fracassandogli la brocca in testa. Un attimo dopo avevo lo stiletto tra le mani e glielo puntavo all’inguine.
“E adesso, mio caro, io e te faremo una passeggiata. Avanti, alzati!”.
“Sei una stupida. Dove pensi di andare? Tra un attimo ti saranno tutti addosso.”
“Forse è vero, ma intanto per il momento comando io.”
Avevo agito senza pensare ed ora non sapevo come uscirne, perché una volta in piedi l’uomo era più alto di me di almeno un palmo, più largo di due ed in più conosceva perfettamente il posto in cui ci trovavamo. Lui sapeva certo cosa ci aspettava a solo pochi passi da lì, nascosto dietro immensi occhi verdi striati d’ambra. Aidan mi pulsava nella mano, sembrava suggerirmi come colpire meglio, come fare più danno possibile ma io esitavo, riflettendo su quelle che sarebbero state le conseguenze del mio gesto e che in quel momento mi sembravano inaccettabili.
“Se ti taglio qui, morirai dissanguato nel giro di pochi secondi. Attento a come ti muovi.”
Continuavo a prendere tempo, perché tutto l’addestramento con Fearghal non mi forniva la risposta di cui avevo bisogno. Alla fine di minuti che mi sembrarono interminabili, comunque fu proprio quello che avrebbe dovuto essere il mio prigioniero, vittima sacrificale sull’altare di un futuro prossimo di libertà, a trarmi d’impaccio. Incurante della lama che lo minacciava mi sferrò un pugno al centro dello stomaco, togliendomi il fiato e spingendomi fin quasi sul bordo del precipizio. Aidan mi saltò via dalla mano, ma invece di rovinare a terra volò letteralmente nella sua, quasi attratto da una forza magnetica ed invincibile.
“Adesso basta, Eleonor. Mi hai davvero stancato.”
Più che pronunciarlo, aveva letteralmente sibilato il mio nome. Il suo volto era stravolto dall’ira, gli occhi ridotti a due fessure fiammeggianti, mentre tutto il suo corpo adesso sembrava ancora più alto e massiccio.
“Avevo pensato di portare avanti la farsa ancora per un po’, ma la cosa non mi diverte più. Adesso saprai perché sei qui.”
Si avvicinò a me e tirandomi per un braccio mi costrinse ad alzarmi. Il ventre mi doleva e il cuore pulsava ad un ritmo talmente forsennato che le gambe cedettero e tornai a terra, completamente senza forze e decisamente terrorizzata.
Lui mi seguì, inginocchiandosi davanti a me e arpionandomi i polsi fino ad immobilizzarmi. Mi allargò le braccia e mi spinse all’indietro fino a farmi poggiare la schiena a terra, seguendomi con il suo corpo e mettendosi sopra di me. Il suo peso mi soffocava rendendomi difficile respirare e le sue gambe si muovevano per costringere le mie a chiudersi, intrappolandole in una morsa ferrea. La testa mi girava, non capivo più nulla: i suoi occhi mi fissavano e il suo viso, ormai ridotto ad una maschera inespressiva, si avvicinava sempre più, mentre il suo corpo premeva contro il mio trasferendogli un calore strano, coinvolgente, quasi inebriante che sentivo entrare, prendere forma e possedermi, mettendo a ferro e fuoco la mia essenza più intima, ormai priva di difese.
Mi aggrappai all’ultimo barlume di lucidità, serrai le palpebre e aspettai il peggio. Ormai non riuscivo a muovermi, ma in realtà adesso non lo faceva più neppure lui. Mi aveva liberato le mani, sembrava essere pago del risultato raggiunto e semplicemente restava lì, in attesa di chissà cosa, in silenzio. Era calmo ora, i suoi occhi erano tornati straordinariamente grigi e particolarmente intensi: qualsiasi cosa fosse successa tra noi lo aveva soddisfatto. Mi prese una mano, se la portò alle labbra e la baciò. Poi, lentamente la guidò sotto la casacca e fece in modo che le mie dita perquisissero il suo torace, ridendo alla vista del disgusto che la cosa mi provocava. Il suo petto perfettamente liscio non esisteva più, al suo posto vi era un ammasso di carne completamente ustionata. Forse non era la reazione che si aspettava da me, ma al semplice contatto della mia pelle con la sua, arsa viva, la mente decise di non poterne più ed io persi i sensi.
Quando rinvenni, ero sdraiata sul letto di una di quelle cellette scavate nella roccia che avevo visto arrivando e il cui unico, ulteriore arredamento oltre quel giaciglio era una grossa porta senza maniglie, ovviamente chiusa dall’esterno. Avevo la mente annebbiata, ma non tanto da non ricordare il precipizio, il fuoco e quello che era successo dopo. Non sapevo come e quando fossi arrivata lì, ma quella non era l’unica sorpresa che mi attendeva. Infatti, alzandomi mi resi conto di essere gravida. Il mio corpo era cambiato nel giro di… quanto tempo? Non poteva esserne passato così tanto. Cercai di ragionare, ma più tentavo di farlo più mi accorgevo che ogni cosa perdeva contorno e senso. Istintivamente mi toccai la pancia: era questo, allora. Chiunque lui fosse, io gli servivo per avere un figlio. Ma perché, e perché proprio io?
Non avevo ancora finito di formulare quella domanda che la porta si aprì lasciando entrare Jasper. Lo riconobbi subito, per quanto vestito così sembrasse diverso e ancora più alto di quanto mi ricordassi: indossava una tunica nera, lunga ed ampia che gli arrivava ai piedi e sulle spalle un mantello cremisi. Sotto il grande cappuccio i suoi capelli erano sciolti, sempre disordinati come la prima volta che lo avevo incontrato e adesso aveva anche una barba appena accennata, che rendeva ancora più ipnotico il suo volto.
“Vedo che ti sei svegliata, mia cara. Come ti senti?”
La sua voce era suadente, melliflua. Gli sarei saltata volentieri al collo per strangolarlo, ma ormai avevo capito che con lui non c’era alcuna speranza di vincere, nessuna tattica valida.
“Maledetto. Cosa mi hai fatto?”
Per tutta risposta, si mosse e venne verso di me. Il mio ventre replicò a quel semplice atto tendendosi verso l’esterno, come se qualcosa volesse uscire e tornare alla fonte dalla quale proveniva e che, evidentemente, la richiamava a sé.
“A due giorni da oggi tu mi darai un figlio. Un figlio del fuoco, mio discendente diretto. All’inizio pensavo tu potessi solo compensare un debito non pagato, fornendomi anche una giusta vendetta, ma credo di aver trovato un modo migliore di usarti. Tu, mia cara, soddisferai molti miei desideri.”
Mi diceva queste cose e sorrideva, ma nel farlo la sua bocca assumeva una forma strana che lo sguardo non accompagnava rimanendo perso, fissato in un punto della stanza poco al di sopra della mia spalla. Sicuramente Jasper stava rivedendo mentalmente i suoi piani, elencandoli sistematicamente. Ne ebbi conferma quando riprese a parlare.
“Molti anni fa tuo padre mi rubò qualcosa che mi era dovuto come pegno di sottomissione: un bambino, il “tuo” Fearghal. Per me fu la prima disobbedienza, un atto che diede inizio ad una lenta disaffezione nei miei confronti. Piano piano gli uomini smisero di temermi, di pregarmi, di offrirmi sacrifici tanto da spingermi a rifugiarmi nelle viscere della terra. Avrei voluto punirli tutti privandoli per sempre di quel calore fondamentale per la sopravvivenza, ma così facendo sarebbe venuto meno il delicato equilibrio di elementi che consentono la vita, ed un tale potere non è concesso nemmeno a me. Così scelsi di attendere un momento più propizio. Quando sei nata tu, la figlia tanto attesa, la cosa più preziosa che tuo padre avesse mai posseduto, capii di aver trovato lo strumento perfetto per la mia vendetta. Volevo che lui e anche Fearghal soffrissero come avevo sofferto io, che proprio come me perdessero quanto avevano di più caro. Ma quando hai avuto l’incidente al fiume, i miei piani sono ulteriormente cambiati. Daith ti è venuto in soccorso e si è innamorato, sciocco che non è altro, fornendomi l’idea per liberarmi definitivamente di lui. Vedi Eleonor… gli uomini non venerano più gli spiriti della natura ma anzi ci stanno relegando a quella che è la semplice funzione di elemento. Aria, acqua, terra e fuoco sono sempre meno divinità e sempre più semplici strumenti del vivere quotidiano. Presto non resterà niente di quello che era il nostro potere, a meno che… immagina una nuova dinastia di esseri in grado di comandare il fuoco ma anche di camminare sulla terra sottomettendo a sé chiunque osi sfidarli; immagina il potere della natura concentrato nelle mani di qualcuno che, essendo altresì un uomo, ne sappia gestire il mistero ed anzi usarlo per regnare sui suoi simili. Uno solo, immensamente potente, praticamente invincibile e tutti gli altri schiavi, sottomessi: partendo da Daith, il veloce, l’acqua, il primo a soccombere. Grazie a te inizierò un lavoro che porterà mio figlio a sedere su un trono fatto di una devozione incondizionata perché basata sulla paura…”
Ormai era evidente che straparlava. Il suo delirio di onnipotenza era venuto alla luce ed io ne ero stata la causa scatenante. Portavo in grembo il figlio di un disprezzo con il quale tutti, in qualche modo, avremmo fatto i conti. I suoi piani ormai erano tragicamente chiari, ma nella mia testa c’era anche qualcos’altro.
“Daith, l’acqua. Daith ti è venuto in soccorso e si è innamorato” – aveva detto. Dunque dovevo a lui la mia vita: era stato lui a salvarmi, abbracciandomi e sostenendomi ed era ancora lui che mi aveva fatto provare quella strana sensazione. Uno spirito mi aveva strappato alla morte concedendomi una nuova possibilità che adesso un altro spirito mi aveva tolto, inseminando il mio ventre con lo sperma dell’odio. Ora finalmente comprendevo che mio padre, Fearghal e forse anche Daith sarebbero venuti a cercarmi, gettandosi a capofitto nelle fauci di un lupo famelico che, vantandosi dell’ingegnosità del suo piano si beava della propria crudeltà. Jasper li avrebbe massacrati, sfruttando quel sentimento d’amore nei miei confronti che li accomunava tutti e che, usato come arma, avrebbe fatto a pezzi i loro cuori. La trappola era scattata ed io ne ero l’esca.
(590)