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Il significato della notte – Daith

Il significato della notte - Daith - Lande Incantate

Sono stanco. Non so dire quanto ho viaggiato e dove sono stato, ma so che il mio  percorso non è ancora alla fine e non lo sarà mai. Posso sperare solo nel riposo di un istante, nel refrigerio portato da una voce che intoni un canto, una preghiera. “Quando le vele si logorano nell’imbarcazione del pensiero e accanto a te l’oceano si fa scuro, che si faccia strada tra le acque un sentiero di luce lunare per condurti in salvo a casa”.  Quante volte avevo udito queste parole innalzarsi dal cerchio di pietre? Non so dire neanche questo, il tempo non ha molto senso per me. Ma ho sempre ammirato questa splendida facoltà umana, colma di fascino e alla quale viene dato il nome di “immaginazione”, in grado di collegare l’invisibile al visibile cogliendo l’armonia di entrambi gli spazi e dando vita a parole che, seppur terrene, superano qualsiasi distanza.  Forse fu proprio per scoprirne di più che decisi di fermarmi; forse fu proprio per questo che permisi ad una fanciulla, presenza eterea sulla riva di un fiume in una giornata di sole, il compito di spiegarmi.

 DAITH

La prima volta fui semplicemente richiamato dal suo canto: la melodia era dolce, quasi struggente e lei l’accompagnava con brevi gesti dal sapore antico. Ma successivamente, mi fu sempre più evidente che mi recavo in quel posto solo per lei. Ovviamente facevo in modo di non farmi scoprire ma era comunque chiaro che l’unica cosa attraente di quel luogo fosse la sua presenza. Di solito si sedeva sulla sponda e scioglieva i capelli, arieggiandoli nella brezza del primo mattino, ma a volte compiva il miracolo di raccontare al vento i propri pensieri, giocando con i rivoletti liquidi che creava immergendo le mani nell’acqua e poi tirandole fuori per asciugarle al sole. Avevo imparato a conoscere ogni sfumatura della sua pelle, ogni espressione del volto, ogni variazione di intensità nel suo respiro. Avrei voluto palesarle la mia presenza, ma temevo la reazione dei suoi occhi ed ero assolutamente certo di non poter sopportare di leggervi la paura. Adoravo, sì posso dirlo con certezza, adoravo Eleonor e i suoi immensi occhi verdi, i suoi lunghissimi capelli rossi nei cui riccioli spesso vedevo incastrata una foglia, un pezzo di muschio, un bastoncino di legno raccolto chissà dove durante una delle sue lunghe passeggiate lungo la riva. Bastava infatti che restasse vicino al fiume perché potessi godere dell’esserle accanto, e dover restare nascosto era davvero un piccolo prezzo per un tale privilegio. Ma forse è meglio che vi dica chi sono, così capirete il motivo di questa mia ritrosia. Mi chiamo Daith e sovrintendo a tutto ciò che è liquido.  Il mio spirito è nella pioggia, nell’acqua che gorgoglia in un pozzo ma anche e soprattutto in questo fiume, dove ho deciso di stabilire la mia dimora solo per poterle stare vicino. Comunque, questo non è importante. Nella sua vita, prima di allora  io non ho mai avuto alcuna parte, relegato come sono ad essere poco più di un semplice  fruscio d’onda che si infrange su una riva, per lei come per chiunque altro. Strano come le cose che fanno parte di un paesaggio, per quanto bello esso possa essere, passino sempre in secondo piano davanti ad un pensiero, un’azione o anche solo un desiderio che coinvolga mente e corpo. Ma continuo a divagare, seppure la descrizione di quello che successe a me e a lei possa chiamarsi semplice divagazione. Meglio tornare ai fatti, sì, molto meglio.

Il cielo era grigio: aveva piovuto per tutta la notte e sinceramente ancora non so spiegarmi perché Eleonor fosse al fiume quella mattina. Forse era venuta per raccogliere canne, lavoro nel quale era abilissima, tanto da affrontare puntualmente le scivolose sponde a pedi nudi. Ad un certo punto, però, probabilmente proprio l’eccessiva sicurezza le fece mettere un piede in fallo e cadde. Percepii un tonfo sordo, fuori e dentro di me, buio e qualcosa mai provato prima. L’acqua gelida, quell’acqua della quale conoscevo ogni segreto in un attimo prese il sopravvento divenendo una trappola mortale. Potevo vederla mentre le forze l’abbandonavano, riuscivo persino ad ascoltarla inviare una preghiera silenziosa a me che ero proprio accanto a lei. No. Non avrei permesso che accadesse. Placai ogni movimento, nascosi ogni increspatura e la avvolsi nel mio abbraccio liquido. Il primo contatto, epidermide di pesca contro un freddo mantello fluido, emozione che quasi si solidifica. E’ questo l’amore?

Ma qualcuno, nel trambusto, l’aveva sentita gridare: arrivarono, me la strapparono dalle braccia, la portarono a riva. Avrei potuto distruggerli, spazzarli via in un vortice di schiuma, ma non riuscivo a togliermi di dosso il senso di quel contatto. Cosa dico? Contatto? Io non ho consistenza fisica, non posso provare queste cose. Eppure, fu come se  la corrente dei suoi pensieri riuscisse a trasferirsi in me in un flusso di giorni, sensazioni, ricordi che non mi hanno ancora abbandonato e forse non lo faranno mai. Ho avuto la sua vita, per un attimo: lei avrà la mia per sempre. Io che conosco i misteri dell’immortalità la metterò ai suoi piedi. Non c’è nulla più di questo che la meriti.

Sono passate molte albe da allora. Eleonor non tornò più al fiume, non venne più a raccontare al vento e a me le sue fantasie. Eleonor. Eleonor. Invocare il suo nome non serviva. Non avevo scelta, dovevo ritrovarla. Mi serviva un corpo.

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Maeve

Il mistero non ci lascia mai soli, ed io uso le parole come trama e la fantasia come ordito di un personale tappeto magico col quale superare confini e barriere, di questa vita e forse anche dell’altra. C’è un’essenza primigenia da ascoltare, avendo come guida i quattro elementi fondamentali: aria, acqua, fuoco, terra, tornando così alle braccia di quella Madre che aspetta ormai da troppo tempo.

2 Comments

  1. avatar Paolo ha detto:

    Mi hai colpito nel cuore, perché secondo me il fiume ha vita e anima proprie.
    Molto bello.

  2. avatar maeve ha detto:

    Sono sempre stata affascinata dall’acqua, non potevo fare altro…

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