Avendo giurato a me stesso che non avrei ucciso per procurarmi un corpo, non mi rimase che aspettare l’occasione propizia per averne uno. Così, quando un incauto giovane uomo si tuffò nel fiume per sfidarne la corrente, soccombendo quasi subito alla sua morsa, non dovetti fare altro che raccogliere i resti della sua impotente presunzione. Avevo garantito di non uccidere, ma non ero tenuto a salvare. Anche perché era già trascorso parecchio tempo ed avevo fretta di rivedere Eleonor.
Quando tutto fu concluso in spasmi ridotti a rantoli diretti verso il silenzio, finalmente uscii dall’acqua con quello che da ora in poi sarebbe stato il MIO corpo, per appropriarmi dei vestiti e delle altre poche cose che il ragazzo aveva lasciato sulla riva. Avevo un lungo viaggio da fare e poco tempo da perdere.
Mi incamminai subito, un po’ instabile sulle gambe vista la mancanza di pratica ma ben deciso a percorrere la strada che mi separava dal villaggio di Eleonor nel minor tempo possibile. Mi trovavo infatti dalla parte opposta rispetto ad esso, lontano molti giorni, ma sulle prime mi sembrò comunque una buona idea procedere a piedi, se non altro per fare amicizia con quella postura eretta che, per quanto non fosse la prima volta, non usavo ormai da tempo immemorabile. Dopo però quattro inciampi ed un paio di cadute rovinose decisi di affidarmi di nuovo all’acqua: tornai ad immergermi, comandando alla corrente di sospingermi dolcemente ma velocemente verso quella che sarebbe stata la tappa finale del mio viaggio. Contavo infatti di rivedere la mia Eleonor quella sera stessa.
Il villaggio si allungava pigramente proprio su un’ansa del corso d’acqua nel quale mi trovavo, quindi subito prima della curva che lo accoglieva tornai a riva e ripresi a camminare. L’idea era quella di non dare nell’occhio e mescolarmi subito alla gente del posto, magari facendo anche qualche domanda per sapere dove poter trovare la ragazza e la sua famiglia. In fondo, in un piccolo porto commerciale come quello nessuno avrebbe fatto caso all’ennesimo forestiero fermatosi a mangiare qualcosa prima di ripartire per i propri affari. Inoltre, grazie all’involontaria generosità dell’uomo affogato avevo con me anche una piccola borsa piena zeppa di monete, con le quali avrei certo potuto pagarmi la loquacità di qualcuno disposto a parlare senza fare troppe storie.
Ma appena arrivato mi fu subito chiaro che doveva essere successo qualcosa di grosso. Un ragazzo scalzo correva a zig zag chiamando a gran voce gli uomini più giovani, entrando in ogni baracca e andando di bottega in bottega, ripetendo sempre la medesima litania: “Presto, tutti in piazza!”
Seguendo il nugolo di gente che si stava raccogliendo, mi avviai anch’io verso quella che sembrava essere l’abituale zona di ritrovo in caso di adunata. E proprio lì, al centro di un capannello di uomini c’era Fearghal.
Io lo avevo già visto: a volte veniva al fiume con Eleonor e quindi non mi fu difficile riconoscerlo. Stava lì, in piedi in mezzo a quelli che sembravano essere suoi amici, con l’aria di chi pur fingendosi calmo in realtà si sente bruciare la terra sotto i piedi. Sembrava invecchiato di almeno dieci anni, anche se non era passato così tanto tempo dall’ultimo nostro inconsapevole incontro. Lui infatti non poteva assolutamente sapere chi fossi, tantomeno adesso, e a me andava bene così.
Quando si fu radunata abbastanza gente, qualcuno fece salire Fearghal su un tavolo trasportato lì per l’occasione e lo invitò a parlare.
“Avanti, amico mio. Racconta a tutti quello che hai detto a me”
Lui si schiarì la voce e cominciò:
“Amici miei, stamattina rientrando a casa ho scoperto che mia sorella Eleonor è stata rapita. Non so da chi né perché, so solo che devo assolutamente ritrovarla. Sono venuto a chiedere il vostro aiuto.”
Appena smise di parlare, nella piazza ormai gremita cadde un silenzio irreale. Mi guardai intorno e osservai il volto delle persone: erano visi di chi è abituato alle percosse della vita e non si meraviglia più di niente, facce dure di gente che aveva conosciuto poco altro oltre al lavoro quotidiano. C’erano donne che adesso stringevano a sé i propri figli, che ascoltavano attonite quelle parole che, ammantate di paura, richiamavano alla mente i timori più profondi, legati al benessere delle persone care.
Considerazioni di un momento le mie, perché Fearghal riprese:
“Avevo pensato di formare delle piccole compagnie. Partendo dal punto in cui ho visto mia sorella per l’ultima volta potremmo procedere in cerchi sempre più grandi in modo da trovare qualche traccia per capire chi l’ha presa e, soprattutto, dove potrebbe averla portata. Non c’è tempo da perdere, io…”
A quel punto si interruppe di nuovo. Parve piegarsi come sotto un peso, curvò la schiena e si porto le mani alla gola. Sembrava facesse fatica a respirare ma gli occhi persi lontano mi fecero capire che in realtà si era fermato ad elaborare un’idea. In qualche modo aveva capito, sicuramente adesso sapeva.
La gente intorno a me si mosse e come rispettando un ordine appena ricevuto si disperse. Qualcuno baciò la propria donna, sussurrandole un elenco di raccomandazioni per poi sistemarsi la spada lungo il fianco; qualcun altro raccolse da terra un’ascia mettendosela di sgembo sulla spalla per poi avvicinarsi a quel tavolino che era ancora lì, seppur ormai privo del suo oratore. Sembrava proprio che l’appello fosse stato raccolto. Tutti si stringevano attorno all’uomo che aveva bisogno di loro.
Da parte mia colsi al volo l’occasione e mi aggiunsi al gruppo. Non chiedevo di meglio che andare a cercare Eleonor, anche se fino a quel momento l’avevo considerata una operazione solitaria. L’atteggiamento di Fearghal, per quanto potesse essere imputato all’angoscia del momento, metteva i miei sensi in allarme e mi diceva che forse c’era qualcosa di cui io non ero al corrente. Dovevo assolutamente scoprire cos’era e l’unica maniera per farlo era quella di diventare la sua ombra.
Pur consapevoli che di lì a poco sarebbe sceso il buio ci dirigemmo tutti, nessuno escluso, verso il posto dal quale Eleonor era stata portata via, e una volta giunti ci accampammo poco distante. Non volevamo confondere le tracce ma del resto non potevamo cominciare a cercarne se non quando fosse spuntata l’alba, per cui tanto valeva raccogliere le idee e magari riposare un po’. Dal posto che mi ero scelto continuavo a fissare Fearghal: sembrava non aver sonno e quando finalmente si decise a sdraiarsi non fece altro che muoversi smaniando, borbottando frasi senza senso. Quando poi spuntò il sole, io non avevo chiuso occhio ma lui, seppure aveva dormito qualche ora, l’aveva fatto lamentandosi continuamente.
Quando cominciammo a spostarci mi fu subito chiaro che lui sapeva perfettamente dove andare. Il piano era quello di disporci in cerchio aumentandone costantemente il diametro in modo da controllare passo passo la zona, ma Fearghal sembrava essere quello che meno seguiva lo schema da lui stesso deciso. Puntando indiscutibilmente verso le montagne procedeva in linea retta, disinteressandosi completamente dei resoconti che gli venivano forniti ad intervalli regolari dalle staffette poste nei vari punti della circonferenza. Proprio per questo, decisi di prenderlo da parte e di parlargli.
“Noi due non ci conosciamo, ma io sono qui per aiutarti. E’ evidente, però, che tu non ci abbia detto tutto. Mi piacerebbe sapere come stanno davvero le cose, amico mio.”
Il mio tono era serio ed egli comprese subito che non c’era spazio per altre bugie. Mi accompagnò dietro un grosso cespuglio e finalmente si decise a regalarmi un po’ di sincerità.
“Credo di sapere chi ha preso Eleonor ma non posso dirlo né a te né a nessun altro. Se vuoi aiutarmi dovrai fidarti di me. Posso solo dirti che il pericolo che stiamo per affrontare è grande ed avremo bisogno di tutta la nostra abilità per uscirne vivi.”
La sua voce era stanca, preoccupata. Vi leggevo i segni della notte tormentata appena trascorsa ma anche quelli di un’inquietudine interiore che non riuscivo a spiegarmi. Nella mia vita eterna fatta di giorni senza fine avevo ascoltato le preghiere degli uomini e respirato ogni sorta di tormento. Nel rivolgersi alla divinità che sono mi avevano rivolto ogni tipo di invocazione, ma per quanto facessi appello ad ogni mia conoscenza in materia la sua era diversa e mi arrivava direttamente all’anima. Eleonor sembrava essere la cosa più preziosa, per lui come per me. Gli diedi una pacca sulla spalla e semplicemente annuii.
“Il mio nome è Daith. Vedrai, riusciremo a trovarla.”
Due giorni dopo eravamo ai piedi delle montagne. Per tutto il tempo Fearghal si era mosso come se seguisse un sentiero perfettamente battuto e noto soltanto a lui. Quando arrivammo all’imboccatura di quella che sembrava essere la via di accesso per il ventre della terra, lui mi chiamò accanto sé e mi disse:
“Finalmente ci siamo, Daith. Adesso vedrai cose che non pensavi potessero esistere.”
Lui non poteva saperlo, ma una delle cose di cui parlava ce l’aveva proprio davanti.
Con una scusa mi allontanai, sedendomi a terra con le gambe incrociate e gli occhi chiusi. A chiunque mi avesse guardato in quel momento sarebbe sembrato che pregassi, ma in realtà ponevo domande. Misi giù le mani, palme in basso, e il suolo rispose; sussurrai piano, annusando l’aria, e il vento replicò. Poi mi alzai, avvicinandomi al fuoco ormai ridotto a poco più che cenere, ma tutto tacque. Ecco, adesso anch’io sapevo.
“Hai proprio ragione, Fearghal. Si sta per scatenare una guerra.” Ma questo a lui non lo dissi.
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