Ci eravamo fermati quando ho detto che un dialogo, per apparire realistico, deve essere spezzettato “al punto giusto”. Questo concetto può apparire evidente e, se avete letto con attenzione la prima parte, vi sembrerà di avere già intuito cosa io intenda.
Ebbene, non voglio contrariarvi, ma vi invito quantomeno a fare attenzione. Spezzettare un dialogo con pause continue non significa aver raggiunto felicemente l’obiettivo. Molte persone alle prime armi (nel campo della scrittura) cadono proprio nella trappola di questo “spezzettamento”. Avendo una certa idea dei punti che ho illustrato la volta scorsa, credono che per rendere con realismo le parole di due persone che chiacchierano sia sufficiente sminuzzare le frasi, perciò utilizzeranno nei propri racconti uno sproposito di puntini.
In effetti, ora che ci penso, uno dei principali indizi per riconoscere uno scrittore alle primissime armi è proprio trovare una tonnellata di puntini di sospensione.
Lo “spezzettamento” che vi invito a creare è invece di un tipo diverso, che utilizza sì anche i puntini, ma che è legato soprattutto al senso logico delle frasi; esse devono concatenarsi tra loro non in un naturale botta e risposta consequenziale, ma “a balzi”, con riagganci continui a ciò che si è detto molte più righe più su, in un percorso più simile al gioco degli scacchi, piuttosto che al gioco dell’oca.
Mi spiego.
Un dialogo che procede con continui botta e risposta consequenziali, e cioè sempre logicamente legati tra loro, renderà un senso di piattezza dei personaggi. Se si parte da un punto A e si arriva al punto B tramite la via più breve, i dialoganti appariranno come robot perfetti, sottostanti a una specie di schema a blocchi in cui a un quesito può conseguire una e una sola risposta.
Faccio un esempio.
Tizio: “Oggi sei uscito con Sempronia?”
Caio: “No.”
Tizio: “Vi siete lasciati?”
Caio: “Sì.”
Tizio: “Perché?”
Caio: “Mi ha tradito.”
Risulta subito evidente che, a meno che non vogliate scrivere una surreale opera d’avanguardia, questo susseguirsi di domande e risposte crea una strana monotonia (ciò non significa che non possa essere utile in certi momenti, o in certe scene, ma un intero libro scritto in questo modo risulterebbe poco realistico).
Un altro punto rilevante da notare nell’esempio è la totale assenza di caratterizzazione dei personaggi. Infatti sappiate che i dialoghi (assieme alle azioni) sono il modo fondamentale per caratterizzare i personaggi, e le descrizioni diventeranno pressoché superflue se si apprende come costruire realisticamente il dialogo.
Faccio un altro esempio. La stessa scena.
Tizio: “Oggi sei uscito con Sempronia?”
Caio: “Ma tu non volevi prenderti un gelato? Fermiamoci qui!»
Tizio: “Hai ragione! Facciamo la fila.”
Caio: “Ora ne ho voglia anche io. Ne prenderò uno al pistacchio.”
Tizio: “Ti consiglio anche gianduia, qui la fanno ottimamente… Ma insomma, con Sempronia? Mica vi siete lasciati?”
Caio: “Ma no, figurati. È soltanto un momento. Passerà. Lei ha detto di volersi prendere un periodo di riflessione. Queste sciocchezze qui.”
Tizio: “Perché?”
Caio: “Lo sai, lei è strana… e poi passa troppo tempo assieme a quello lì, l’insegnante di teatro, Lapo, e a me la cosa non scende molto. Gliel’ho detto, e lei se l’è presa. Ma lascia perdere, una sciocchezza.”
Immaginate che la realtà dietro questa scena sia la stessa del primo esempio (con il tradimento e la fine della relazione). Noterete subito che ora, seguendo le indicazioni che ho dato nel corso dell’articolo, ne emerge un dialogo che, seppur non eccezionale, è sicuramente più interessante e realistico.
Innanzitutto non c’è più una logica continua e indistruttibile, ma si va avanti “a balzi”, e ciò che avviene attorno ai personaggi (l’avvistamento della gelateria) influisce sul contesto. Il fatto però che vogliano mangiare un gelato non ha alcun valore di trama, ma è fondamentale invece per il secondo punto: la creazione dei caratteri. Il fatto che mangino o meno il gelato a noi lettori non importa, ma il fatto che il “tradito”, alla prima domanda, replichi con la proposta di mangiare un gelato, fa sorgere il dubbio che desideri dirottare la discussione su altro. Quando poi le domande si fanno più dirette, conferma definitivamente questa versione dei fatti, giacché non risponde con chiarezza, ma inizia a barcamenarsi tra una serie di parole che non danno una chiara informazione al lettore, ma che mostrano (vi ricordate il caro vecchio “show, don’t tell”?) tutta la sua insicurezza e il suo desiderio di sminuire gli eventi.
Inoltre i puntini di sospensione sono in soli due punti, e in entrambi i casi indicano un momento di ripensamento, di riflessione, di deviazione del discorso su un binario diverso.
Terzo punto importante.
Non utilizzate i dialoghi per far apprendere direttamente informazioni. Ad esempio, se avete necessità di far scoprire all’agente segreto il piano di distruzione del cattivo, non fate passare due sgherri qualsiasi che tra loro dicono: “hai saputo? Il piano è quasi pronto.”, mentre il protagonista è casualmente nascosto proprio lì vicino.
Questo mezzuccio era già vecchio quando Omero scrisse i propri racconti, e ormai risulta soltanto ridicolo.
In un dialogo le informazioni il lettore le deve dedurre da sé, non devono essergli servite su un piatto d’argento.
I dialoghi più interessanti non sono gli “spiegoni”, ma quelli in cui due personaggi “duellano linguisticamente”, quando entrambi hanno un obiettivo, preferibilmente avverso, e cercano di avere la meglio sull’altro senza rivelarsi.
Per concludere, vi do l’ultima indicazione per creare dialoghi realistici e, soprattutto, interessanti: se una battuta è superflua, tagliatela.
Se la risposta a una domanda è “sì”, e il lettore già lo sa, sostituitela con un’azione, o con una battuta che faccia risaltare il carattere del personaggio.
Un esempio.
Tizio: “Hai mangiato?”
Caio: “Sì.”
Questo scambio di battute, nel 99% dei casi, è inutile in un romanzo, perciò va tagliato.
Invece:
Tizio: “Hai mangiato?”
Caio sorrise, abbassò lo sguardo sul pavimento e non rispose.
In questo secondo caso una domanda innocente suscita una reazione particolare, forse causata da una sciocchezza, ma che crea attenzione e interesse nel lettore.
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