Si guardò intorno spaventata.
Il suo primo pensiero fu che uno di quei mostri era evaso dal suo circolo di contenimento e l’aveva raggiunta fin li, per reclamare la sua vendetta.
Preparò mentalmente una delle preghiere in latino che Pà le aveva insegnato, pronta all’attacco al primo accenno di movimento.
Eppure nulla si muoveva, tutto era statico, tanto da scadere nell’irreale.
Tuttavia quel graffiare non accennava a smettere, anzi, si faceva più insistente ogni istante di più. Bree riusciva a sentire solo quel rumore ormai, quello ed il battito impazzito del suo cuore.
Era terrorizzata, ma non riusciva a chiamare aiuto.
Voleva accendere la luce, sicuramente l’avrebbe aiutata a vincere la paura, ma era pietrificata. All’improvviso, al graffiare sulla parete, si aggiunse una sorta di rantolo, a metà tra il pianto di un infante ed un gemito di dolore.
Le si gelò il sangue.
Cadde in terra seduta, fissando nel vuoto alla ricerca della fonte di quel verso infernale, ma ancora nulla. Intanto i suoni si avvicinavano, poteva avvertirlo chiaramente e con loro la creatura che li emetteva. Non si sentivano passi, ma quell’insistente verso si faceva sempre più forte.
Più vicino … Più vicino … Più vicino.
Fino a che la ragazza poté avvertire chiaramente un fetido alito sul suo collo.
Era la fine.
Non si era nemmeno resa conto che quell’essere era giunto indisturbato sulla parete alle sue spalle e che da li, probabilmente, avrebbe scagliato il suo attacco. Poteva già sentire i suoi artigli affilati solleticarle la gola, pur non avendo idea di che forma potesse mai avere il suo nemico.
Quasi inconsciamente con la mano destra strinse il polso marchiato, quasi a volerlo proteggere, tuttavia strinse così forte che le unghie si conficcarono nella carne stillando gocce di sangue.
La bestia prese a rantolare più forte ed il suo lamento si fece più concitato.
A quel punto Bree chiuse gli occhi.
Quando lo fece le si palesò lo stesso simbolo che aveva sulla mano, la croce di Lorena sul simbolo dell’infinito, infuocato come nel sogno.
Bruciava di un fuoco giallo ricoperto da fiamme blu, era magnifico e suggestivo.
Alla sua vista dimenticò il pericolo imminente e si sentì pian piano ricolma di sicurezza e potere.
Il sangue della ferita che si era causata iniziò a colare più copiosamente, ma non le faceva male, anzi, era una sensazione di sublime piacere.
Si avvicinò mentalmente al fuoco e con una sicurezza che non era la sua, cercò di toccarlo.
Non ebbe quasi sorpresa quando si rese conto che quelle fiamme non la danneggiavano. Non sapeva perché, ma era tutto così naturale e bellissimo.
Nonostante probabilmente stesse per morire, non si era mai sentita così libera in tutta la sua vita. Forse era solo lo stadio dell’accettazione dell’inevitabile, o forse, un’inconscia certezza di non poter essere ferita.
Si, era senza dubbio così.
Quella certezza le afferrò le viscere e la fece urlare, le fece urlare l’unica parola di quel sogno che ancora ricordava: Soufre!
Il sangue divenne caldo, incandescente, ma non le faceva male.
Aprì gli occhi e nella sua mano sinistra vide brillare un globo della stessa consistenza del fuoco del sogno.
Illuminava tutta la stanza di un’atmosfera spettrale.
E finalmente lo vide: proprio sopra di lei quello che all’apparenza era un enorme gatto senza pelo, dalla grigia pelle raggrinzita e dagli occhi totalmente oscuri, la fissava impassibile.
I suoi occhi erano la notte senza luna, l’abisso senza uscita. Guardarli era come sprofondare verso il centro della terra senza sapere quando sarebbe giunta la fine.
Il muso contorto come in una smorfia di dolore era la rappresentazione stessa del male.
Tutto in quella creatura urlava morte, urlava sangue e disperazione.
Gli arti rinsecchiti come se non si nutrisse da mesi, facevano pensare alla miseria umana, attanagliando la gola di Bree di angoscia.
La coda della bestia, anche malamente ridotta, ondeggiava sinuosamente, mentre tutto il resto del corpo restava immobile, una statua di soggiogazione e paura. O perlomeno questo era ciò che Bree riteneva che una persona normale avesse dovuto provare alla vista dell’essere.
Nel momento preciso in cui quella sfera luminosa le si era palesata in mano ed aveva potuto vedere il suo nemico, tutta la disperazione che l’attanagliava fino a qualche istante prima era sparita di colpo, lasciando il posto ad una strana sensazione di calma.
Resse lo sguardo del mostro ed attese.
Ovviamente era palese che quella creatura non appartenesse a quelle custodite nei sotterranei: il suo potere era diverso, la sua natura sconosciuta ed affascinante.
Si, era quella la parola giusta per descrivere ciò che Bree provava in quel momento: era affascinata da ciò che stava succedendo.
Lo strano gatto, dopo ancora qualche istante, si diede uno slancio e cadde in piedi davanti a lei, mantenendo sempre lo sguardo fisso negli occhi della ragazza.
“Suis-moi!”
La bocca dell’essere non si era mossa, eppure Bree sentì chiaramente la sua voce.
Era roca, ma al contempo limpida, sembrava arrivare da molto lontano, come se fosse una sorta di eco.
Quelle parole accesero una lampadina nella memoria di Bree: l’aveva già udita prima, era la stessa voce di donna che aveva sentito durante il suo sogno. Era stato un attimo, eppure ne era sicura come non mai.
Non aveva capito tuttavia la lingua in cui la creatura aveva parlato, ma quando la vide muoversi verso la porta della sua stanza, il messaggio divenne chiaro.
Bree si alzò e corse anch’ella verso l’uscita per aprirle la via, ma la creatura passò indisturbata attraverso la porta chiusa lasciandola sbigottita.
Dopo un breve attimo di smarrimento, Bree aprì la porta ed attraversata la soglia cercò con lo sguardo l’incredibile essere.
Si muoveva tranquillamente all’interno del corridoio destro.
La ragazza guardò il globo di fuoco sulla sua mano, non poteva certo andare in giro per i corridoi così. Inspirò profondamente e dopo aver chiuso gli occhi immaginò che svanisse. Quando li riaprì era scomparso. Soddisfatta riprese il cammino, pensando ad ogni passo a quanto sarebbe successo se qualcuno l’avesse vista gironzolare per il castello in piena notte in compagnia di un gatto demoniaco.
Le avrebbero dato come minimo venti frustrate, se non peggio. Deglutì e cercò di cacciare via quel pensiero infausto, proseguendo il cammino.
La creatura non sembrava avere fretta e camminava tra i complicati corridoi dell’ala est come se li conoscesse a menadito, con la classica andatura felina.
Dove stesse conducendo la ragazza era soltanto un mistero.
“Cosa ci fai tu in giro a quest’ora, ragazzina?”
Quella voce la fece trasalire.
Bree si voltò di scattò e vide una delle guardie in piedi dietro di lei.
Ed ora? Non poteva di certo ferire un uomo innocente, la sua espiazione non si sarebbe mai compiuta in quel modo.
Il panico tornò a farsi sentire.
“I-io, niente, dovevo, v-volevo…” balbettò.
Non fece in tempo a terminare quell’assurda accozzaglia di parole che il gatto demoniaco si era catapultato davanti a lei.
I suoi occhi di tenebra presero a brillare di una luce rossa, sanguigna e la guardia crollò a terra come un sacco di patate.
“Fais de beaux rêves, idiot!”
La creatura riprese il suo cammino come se niente fosse accaduto, ma non prima di aver guardato Bree con un nota di quello che sembrava … disprezzo forse?
Dopo aver provato una sorta di inspiegabile vergogna, la ragazza si accertò che l’uomo fosse ancora vivo prima di riprendere l’inseguimento.
Aveva migliaia di domane per l’essere, ma sicuramente quello non era il momento adatto. Quando fossero giunti a destinazione avrebbe dato sfogo alla sua curiosità, ma non prima.
Continuarono così per un tempo interminabile.
Superarono dei corridoi a cui Bree non aveva mai avuto accesso perché sempre sigillati ed ora improvvisamente liberi.
Scesero una buia e tetra scala a chiocciola sulla quale la ragazza rischiò di cadere innumerevoli volte. Scostarono decine di ragnatele e dopo aver battuto la testa contro un soffitto troppo basso, arrivarono ad una porta di ebano, con inciso un sigillo del tutto nuovo ai suoi occhi.
Quella porta dava l’impressione di non essere stata aperta da interi anni.
La curiosità di Bree stava esplodendo sempre più, ma ancora qualche istante ed avrebbe potuto saziare la sua sete di sapere, sicuramente quello sarebbe stato un luogo sicuro in cui avrebbe potuto dar sfogo alle sue domande.
Era elettrizzata, ma allo stesso tempo impaurita.
Se Pà avesse saputo che era arrivata fin lì l’avrebbe sicuramente scacciata dal castello dopo averla punita severamente. Si chiese se era un prezzo che poteva pagare per saziare la sua curiosità, ma prima che potesse scendere ancora più in un abisso di sensi di colpa, il gatto demoniaco attirò al sua attenzione.
Guardò Bree e poi la porta, forse si aspettava che la ragazza sapesse come aprirla.
L’imbarazzo si riappropriò di lei.
Scosse il capo ed abbassò ulteriormente gli occhi, non prima ovviamente di notare di nuovo quello sguardo di indignazione nella bestia, la quale, con un balzo inaspettato le saltò addosso graffiandole il polso sinistro.
Bree cadde in terra, confusa e dolorante.
“Ma che accidenti ti prende?”
Non ci fu risposta da parte della creatura che era tornata a rivolgere la sua attenzione alla porta. Pose la zampa insanguinata sul sigillo ed i suoi occhi tornarono a brillare di rosso.
“Iskat, pre Okulet Viskerim!”
Il sigillo prese ad emanare luce, sempre la stessa luce gialla ed incandescente, poi, come se si fosse creato uno squarcio nel legno, dalla porta iniziò a sgorgare sangue, fino a quando non ne fu totalmente ricoperta.
Solo in quell’istante si aprì.
La creatura fece cenno a Bree di entrare e lei, incantata da ciò che aveva appena visto, non poté che obbedire.
L’interno della stanza era completamente buio, ma tastando accanto alla porta trovò un interruttore. Quando la luce si accese rimase senza fiato, erano in vecchio archivio polveroso, ed era anche immenso. Gigantesche scaffalature erano disposte ordinate per tutta la lunghezza e la larghezza, come enormi monoliti polverosi. Sui muri e sul soffitto c’erano numerosi disegni sconosciuti che sembravano essere stati dipinti con il sangue.
L’odore stantio e di muffa le attanagliò le narici, ma la creatura non aveva tempo da perdere.
Si diresse con la sua andatura sinuosa verso il centro del magazzino, superando file e file di scaffali fino a fermarsi in uno specifico corridoio, guardò prima a destra e poi a sinistra e dopo quella breve pausa si incamminò verso il fondo del corridoio scegliendo il lato sinistro.
Arrivati quasi alla fine si fermò e si sedette facendo oscillare la coda e puntando quello sguardo inquietante prima su Bree e poi su una mensola davanti a lei.
Bree seguì lo sguardo e cominciò a leggere le scritte che erano di indicazione sui faldoni polverosi.
Il suo sguardo fu attirato da un faldone parecchio grosso con su scritto Le Varelse.
Sgranò gli occhi, era il suo nome, il nome della sua famiglia.
Velocemente lo prese e lo aprì.
All’interno c’erano piccoli diari di cuoio con pagine ingiallite dal tempo, fogli sparsi e addirittura pergamene che sembravano sul punto di disintegrarsi.
Una cosa su tutte attirò la sua attenzione. Sembrava un telegramma e portava la data di quando la sua famiglia era stata distrutta, quindici anni prima.
Trovati i La Varelse. Li abbiamo uccisi. Abbiamo la bambina. Tre giorni e saremo lì. L.D.
Era indirizzata a Jhon Reyth , l’ex capo di Pà e L.D. erano le sue iniziali. Le ginocchia le cedettero e si ritrovò a scivolare lungo gli scaffali, fino a terra. Il suo mondo si era rovesciato e stava andando a picco, niente aveva più senso.
La bile le salì in gola, la sensazione di tradimento la stava attanagliando dalle viscere, mentre una rabbia furibonda cominciava a scaldarle la mente.
Pà aveva ucciso la sua famiglia, perché? Tutto quello che le aveva detto erano bugie, e quante altre ne aveva dette? Quante menzogne, dove stava la verità?
Era infuriata, ma anche terrorizzata.
Avrebbe voluto leggere ogni cosa, ma lì intorno non c’era una scrivania su cui poggiare il materiale, e, inoltre, l’alba non doveva essere lontana.
Appena la guardia si fosse ripresa avrebbe dato l’allarme, dicendo a Pà quello che aveva visto. Doveva uscire in fretta dal castello, anche se non aveva idea di dove sarebbe andata, soprattutto senza soldi, ma doveva scappare, allontanarsi il più possibile da quel posto di impostori.
Le venne in mente l’unica persona che odiava Pà quanto lo stava odiando ora lei, sapeva dove trovarla, ed era sicura che l’avrebbe aiutata.
Chiuse il faldone e senza aspettare la creatura, tornò velocemente sui suoi passi. Si rese conto che la stava seguendo e si sentì rassicurata.
Ripercorse il tragitto fatto poco prima, ma invece di dirigersi al terzo piano, dove c’era la sua stanza, andò direttamente al primo.
I corridoio si susseguivano silenziosi e puliti, in netta antitesi con le catacombe dove inviavano lei. Pà le aveva detto che il Consiglio le aveva affidato quel compito in segreto, nessuno doveva sapere cosa si celasse là dentro o qual’era il suo scopo all’interno della Chiesa delle Tre Croci. Anche questa poteva essere una bugia, anche il suo ruolo lì dentro. Perché era così deciso a non far sapere a nessuno cosa facesse lei? Ora che il tradimento era stato smascherato, tanti tasselli stavano andando al loro posto, ma aveva bisogno di tempo per pensare.
Si fermò davanti alla seconda porta sulla sinistra e senza indugiare bussò.
Dovette attendere solo qualche secondo, prima che la porta si aprisse lentamente. Quando Cecile la vide sgranò gli occhi e afferrandola dalla spalla la fece entrare velocemente nella sua stanza e si richiuse la porta alle spalle dopo aver lanciato un’occhiata al corridoio.
Il gatto demoniaco entrò e si accovacciò accanto ai suoi piedi, Bree trattenne il fiato aspettando l’urlo di Cecile che non arrivò.
Si rese conto che per lei era invisibile e tirò un sospiro di sollievo, ma quando alzò lo sguardo sugli occhi preoccupati che la stavano scrutando non riuscì a trattenersi.
Iniziò a piangere e si strinse convulsamente a lei
“Mamà mi hanno mentito, tutto questo tempo” cercava le parole in mezzo ai singhiozzi mentre Cecile le accarezzava la testa.
“Tranquilla bambina, ci sono io.”
“Devo andarmene, subito” riuscì a dire dopo aver tirato su con il naso.
Osservò la reazione di Cecile che prontamente annuì.
“Andiamo!” disse semplicemente.
Immaginò che aspettava da tempo di poterla portare via da quel luogo e lontana da Pà.
Si liberò dal suo abbraccio e cominciò a rovistare nei cassetti tirando fuori alcuni indumenti che passò a Bree.
Solo in quel momento lei si rese conto che era ancora in vestaglia, in effetti non la tenuta ideale per fuggire.
Velocemente indossò i pantaloni neri e la maglia dello stesso colore, che le era stata offerta, e non le sembrò per nulla strano che le calzassero a pennello. Già da qualche anno aveva raggiunto l’altezza della sua mamà, e anche le forme si erano adeguate a quelle di una donna. Forse un po’ meno fornita di lei, ma adeguate al suo fisico slanciato. Le diede anche delle scarpe da ginnastica, sapeva che le sarebbero andate bene.
Cecile si preparò in pochi minuti, indossando anche lei pantaloni e maglietta e raccogliendosi i lunghi capelli neri in una coda, poi la prese per la mano e la guidò fuori dalla stanza.
Bree guardò il gatto demoniaco e anche se non sapeva se avrebbe funzionato cercò di mandargli un messaggio mentale.
“Ti prego, aiutaci ad uscire di qui”
Non si sorprese quando la creatura annuì e passando davanti alle due donne, fece da apri pista.
Percorsero il corridoio stando ben attente a non fare nessun tipo di rumore, Bree non riusciva a vedere dove fosse finita la creatura, ma lo intuì quando girarono l’angolo per scendere le scale e trovarono una guardia stesa a terra.
Cecile si voltò verso di lei con sguardo interrogativo e Bree fece spallucce. Non voleva che sapesse della creatura, era la prova che l’Inferno la considerava amica, quantomeno. Se l’avesse saputo l’avrebbe abbandonata al suo destino.
La mamà si fermò solo il tempo di controllare che fosse vivo prima di scendere velocemente le scale che portavano all’ingresso del castello.
Mentre si avvicinavano alla grande porta massiccia vide la creatura ferma davanti ad essa che guardava una serie di simboli che luccicavano sull’arcata.
“Aspetta” disse a Cecile “ci sono dei simboli di contenimento. Forse un sistema di allarme creato da Pà”
“Brutto bastardo!” sbottò lei
Bree la guardò con gli occhi sgranati e lei fece spallucce.
“Speravo che non l’avesse fatto. Mi aveva detto tempo fa che non avrebbe mai permesso che tu uscissi dal castello e che avrebbe utilizzato qualsiasi mezzo. Io non gli ho creduto.”
La creatura si volse a guardarla lanciandole uno dei soliti sguardi spazientiti, ma questa volta Bree sapeva cosa fare.
Tornò di corsa dove c’era la guardia stesa a terra e cercò qualcosa di affilato, non dovette frugare molto, al fianco gli pendeva un grosso coltello da cacciatore infilato nella cintura.
Lo estrasse e corse alla porta.
Quando Cecile la vide con il coltello sgranò gli occhi.
“Aspetta, potresti farti male, che intenzioni hai?”
Bree sorrise.
“Lo so che per te sono una bambina, ma ho vent’anni li posso maneggiare i coltelli”
Cecile si mise a ridere sommessamente e annuì.
“Hai ragione, devi scusarmi. La forza dell’abitudine”
Bree si avvicinò ai simboli poi, con tanto più coraggio di quanto ne avesse mai avuto, fece passare la lama sul palmo della mano sinistra. Cecile fece un gridolino e cercò di afferrarla.
“So quello che faccio” le disse guardandola dritta negli occhi mentre poggiava la mano insanguinata sui simboli.
Quelli cominciarono a sfrigolare mentre si spegnevano uno ad uno.
Con sua grande sorpresa Bree si accorse che le ferite si rimarginavano velocemente. Le unghiate della creatura non c’erano più e questa cosa la preoccupò. Da un lato era contenta di non dover portare tante cicatrici, ma dall’altra il pensiero che si stesse trasformando in qualcosa, magari una creatura infernale, le attanagliava le viscere.
Quando anche l’ultimo simbolo si spense, Cecile aprì la porta e la condusse verso il parcheggio. Bree si fermò di colpo, era la prima volta che metteva piede fuori dal castello e l’alba stava sorgendo, preludio di un nuovo inizio. Respirò profondamente l’aria frizzante del mattino e sorrise, qualsiasi cosa la stesse aspettando lì fuori l’avrebbe affrontata. Prima si salire nella macchina di Cecile si voltò a guardare il castello. Sapeva che sarebbe tornata, la vendetta l’aspettava dietro quelle mura.
(800)
il racconto continua vero?
Il racconto no, ma sto scrivendo un libro in cui incontreremo di nuovo Bree ^^