“Vi dispiacerebbe se rimanessimo in contatto?”, mi domanda Edward, e sembra che ci tiene davvero a questa domanda, tanto che deve specificarne la ragione, ma forse non sa se può osare; “Non solo per Robin”
Io scuoto la testa e sono sincera: “Vi sembrano questi i tempi?”
Lui ride, all’inizio la cosa mi irrita quasi, poi lui riapre leggermente i suoi occhi di ghiaccio e mi sento pervadere dall’orrore. Capisco, finalmente, cosa in lui mi impedisce di reggere il suo sguardo: sono gli occhi del capitano. Ecco dove li ho nascosti. “Signorina Darling, con la guerra in corso, se voglio realizzare il mio sogno, i tempi solo questi sono. Se mi dite che non tornerete più alla banca ogni domenica, perderò l’occasione di rivedervi”, mi prende la mano; “Avrei piacere di condividere con voi il mio sogno”, aggiunge; “E se dopo aver condiviso questo sogno deciderete di costruirlo assieme a me, sarò lieto di fare con voi tutti i passi necessari fino a un’altra svolta nella vita”
Io arrossisco per l’imbarazzo e mi sottraggo dalla sua stretta. I suoi occhi di ghiaccio ne celano altri, li vedo, sinceri e puri come il cielo. “Non sapete cosa state chiedendo, signor Treasure”
“Solo l’occasione di conoscere la ragazzina che ho visto diventare donna”, mi prega lui; “Solo l’occasione di conoscere più del vostro angelico nome”
Io scuoto la testa e ripeto le parole di Luke: “Io sono un angelo nero, signor Treasure”
“Non vi credo”
Io scuoto la testa e vorrei spiccare il volo, qualcosa me lo impedisce. Inizio a capire perché sono arrivata fino a qui. Sono così nervosa che sono andata a cercare altra fantasia o paura da mangiare, il mio corpo ne aveva bisogno per riuscire a dormire e adesso la persona più vicina a me con una dose reale di paura è lui. Edward Treasure.
Gli sto togliendo il ghiaccio dagli occhi.
Il ghiaccio che vuole riavere il capitano per creare il veleno, per intimidire la sua ciurma, per far tremare i Bimbi Sperduti e gli indiani davanti a sé, solo con la forza di uno sguardo.
Non ci sono parole per descrivere ciò che provo. In realtà non posso provare la paura, non ne ho di mia. Quindi sto usando la paura che ho mangiato negli ultimi giorni per sentirmi così, terrorizzata.
E usando la paura, la stacco anche da me. Ora la paura è libera di arrivare finalmente all’Isola, di essere fiutata dal capitano. E’ complicato, peggio di un meccanismo, però sento cosa sta per succedere.
Mi giro giusto in tempo nella direzione dalla quale sta arrivando. Inclino la testa da un lato e dall’altro per non pensarci. Il ghiaccio presso Edward Treasure è al sicuro. Se sto calma, posso impedirmi di restituire gli occhi al capitano.
“Wendy Darling”, commenta il capitano comparendo da dietro la statua; “Prevedibile che tu fossi qui”
“Capitano”, rispondo.
Edward inclina il capo: “Chi è?”
“In un libro si è chiamato James Hook”, rispondo secca e serro le mani a pugni.
Il capitano allunga l’uncino: “Abbassiamo le armi, che ne dite, mademoiselle mangiatore?”, mi appella e dietro di lui compare Peter. Legato e imbavagliato, trascinato dal Gobbo Grasso, dallo Spadaccino Sanguinoso e dal Corvaccio. Le manette sono state issate a un peso che Peter non è in grado di sollevare. Il peso della logica. Un Dente di Pietra.
Faccio un passo avanti, le mani aperte perché mi sono sentita cadere le braccia: “Lascialo andare”
Il capitano indica dietro le mie spalle con un dito dell’unica mano che gli resta: “Sai qual è il mio prezzo”
“Ci conosciamo, signore?”, chiede perplesso il signor Treasure.
Io scuoto la testa: “Non dovevate stare a guardarmi davanti alla banca”, commento, rivolta ovviamente al mio ennesimo protetto. Ormai questo è diventato Edward Treasure.
Lui non capisce, giustamente: “Questa è una gran bella pagliacciata… sapevo che Lady Margareth non aveva origini altolocate, ma un circo, questo è il colmo!” Io respiro a fondo. Dovrò creare il caos. Rischiare di uccidere Peter, di nuovo. E’ il solo modo. Comunque contratterò con il capitano, non libererà Peter. Devo creare un’occasione per Campanellino.
“Se resti troppo a lungo qui, finirò per ucciderti, capitano”, minaccio. Se posso, voglio evitare di sconvolgere e soprattutto di coinvolgere ancora un’altra persona. Magari che capisce che questo non è il suo posto e se la dà a gambe levate.
“Se resto qui abbastanza a lungo, finirai per uccidere anche Peter Pan”, mi sottolinea il capitano; “I miei occhi e chiudiamo qui la tua storia”
“E dopo tu tornerai sull’Isola?”, gli chiedo, lentamente.
“Sono il capitano dei pirati di tutti i Sette Mari”, obietta lui; “Sull’Isola non ve n’è neanche uno vero”
Sospiro. Non mi lascia scelta e forse in fondo vuole non lasciarmi scelta. Allungo le mani e mi concentro su un solo pensiero.
La stessa paura che mi ha preso la notte in cui i miei fratelli erano stati fatti prigionieri.
Sarà la paura, stavolta, ad aiutarmi. Non riesco a non mangiarla, ma non voglio provarla. Quindi la metto in uso seguendo l’istinto, che diventa un istinto freddo e calcolatore. Vento, neve e ghiaccio si accaniscono tutt’attorno a noi, Peter ne approfitta per liberarsi, vedo Campanellino che si è affaccendata dietro la sua schiena e i due schizzano via. Intuisco dal suo sguardo e dalla luce rossa di Campanellino quale direzione hanno preso.
Quella verso gli altri mangiatori, verso i miei bambini. Mi sollevo da terra, quasi disperata, seguita dal ringhio di un capitano che crolla a terra scosso dagli starnuti e dall’urlo di sorpresa di Edward Treasure.
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