Shamal e Amidel, Verritt e Callin, tutti i Keelihn, sani e infermi ovunque si trovassero si bloccarono in un momento di perfetta stasi, immobili, poi, improvvisamente, un dolore lancinante percorse le loro menti.
Un urlo carico di paura, una richiesta d’aiuto di proporzioni smisurate si diffuse dentro di loro annullando i pensieri dei singoli e soppiantandoli con l’innaturale urgenza ad intervenire.
Il coro dei Grandi non ammetteva repliche. Stavano esigendo il giusto controvalore di millenni passati a rispondere alle preghiere dei mortali e non era una richiesta.
Amidel si inginocchiò per sopportare il peso di quella voce possente che gli rimbombava nelle orecchie. Una voce che parlava senza usare le parole, ma che gli trasmetteva solo il nero, solo l’oblio. Sentì di spaccarsi in due: una parte risucchiata da quella potenza senza tempo, cupa e inesorabile, un’altra ancorata disperatamente alla fiamma sempre più fioca della ragione.
Si contorse in terra, combattuto tra le due forze che cercavano di prevalere quando, in un istante, il nero dell’oblio e la luce della ragione scomparvero. Distinse chiaramente la Terra, a cui si era legato recentemente, insinuarsi nel coro unisono di tutti i Grandi e si ritrovò bambino a giocare con un gatto di pezza in una squallida stanza della servitù.
Sapeva di essere adulto, eppure le sue mani era quelle di un bimbo e la gioia che provava nel guardare i volti delle due persone che gli stavano accanto era quella ingenua di chi ancora non sa come va il mondo. Capì cosa volesse mostrargli la Terra con quel ricordo che era troppo vecchio per essere riportato alla luce senza aiuto: i suoi genitori. Una donna umana, la sposa dell’imperatore, giovane e bella in quelle immagini di tanti anni prima ed un Keelihn, il suo padre biologico che solo in quel momento, guardandolo con gli occhi da adulto attraverso il ricordo di un bambino, riusciva a riconoscere.
Le forze che si contendevano la sua mente tornarono prepotenti spazzando via quel pensiero e portarono con loro un carico di dolore ben maggiore, ma Amidel aveva capito. Da un lato i Grandi facevano presa sulla sua parte Keelihn, richiamandolo a loro per ottemperare al suo compito: fermare la macchina. Dall’altro però la sua parte umana si opponeva, rivendicando la sua indipendenza. Si aggrappò al ricordo dei suoi genitori ed alla certezza di non essere né keelihn, né umano. Era qualcosa di diverso e come tale doveva comportarsi. Il dolore sparì di colpo e divenne tutto grigio. L’oblio non lo attirava più, ma pulsava in un angolo più scuro della sua mente, la fiamma della ragione non lo ancorava più e brillava fioca dalla parte opposta. Al centro era una commistione di luci ed ombre che si inseguivano come rivoli di fumo grigiastro. Poi una miriade di colori proruppe nella sua mente coprendo tutto il resto. Aprì gli occhi ed erano liquidi. Le immagini gli arrivarono coi contorni sfocati e coi colori troppo brillanti per essere distinte correttamente, ma fu solo un attimo. Come mai prima di allora, nonostante gli occhi in quello stato, Amidel vedeva e lo faceva meglio di chiunque altro.
Si guardò intorno e capì che il mondo lo aveva aspettato. Mentre a lui erano sembrate ore, in realtà era passato meno di un istante. Ed in quel momento vedeva davvero. Sovrapposte alle immagini a cui era abituato c’era una rete intricata di fili colorati che legava le persone tra loro oppure ad un oggetto o ad un luogo lontano.
Tutti gli altri Keelihn erano ancora bloccati, catatonici, eppure la rete di fili che si dipanava da ognuno di loro stava cambiando scollegando le persone dai propri cari o dai propri carnefici per collegarli tutti alla macchina, come un unico grande fascio di destini, tutti legati a quell’oggetto che stava mettendo in pericolo il mondo.
Osservò la sua rete di luce colorata e vide che non era soggetta a quel cambiamento, bensì lo collegava insistentemente a Shamal che accanto a lui andava risvegliandosi.
Mosse un passo verso di lui ma il vuoto dei suoi occhi lo bloccò. Come controllati da quella potenza che lui stesso aveva sperimentato nella sua mente, tutti i Keelihn si mossero, rapidi e precisi, in direzione della colonna di roccia sulla cui sommità c’era la macchina.
Rapido balzò in avanti e placcò Shamal che stava correndo via. Il vecchio cercò di divincolarsi per seguire i suoi compagni, ma la presa di Amidel era salda. Con non poca fatica si portò sopra di lui e lo inchiodò con le ginocchia al terreno.
– Shamal-lum, riprenditi!
I fili della sua rete erano ancora legati a quelli del Keelihn sotto di lui ma le sue urla non sortirono alcun effetto sulla mente annebbiata del vecchio.
A furia di agitarsi, Shamal, riuscì a liberare una mano e gli piantò un pugno in pieno volto facendolo rotolare di lato. Quando Amidel si rialzò, il vecchio Lum stava già correndo via.
– Qat, ramush! Ke to sui lirama! – gli urlò dietro – Padre! Fermati!
Il vecchio incespicò e si bloccò, di nuovo catatonico.
Amidel lo raggiunse di corsa e lo voltò. Aveva ancora lo sguardo spento ma i fili della sua rete stavano cambiando di nuovo staccandosi dalla macchina e collegandosi a lui ed ai suoi compagni che invece si allontanavano.
– Padre, ora ricordo. – gli disse più gentilmente, poi gli poggiò una mano sul viso, chiuse gli occhi ed unì la mente alla sua.
Lo trovò in uno spazio nero senza fine a contemplare, da un minuscolo spiraglio nella parete buia, un ricordo. Un bambino in fasce in braccio alla madre, la stessa donna giovane e bella che Amidel aveva riconosciuto nel suo ricordo.
Gli poggiò dolcemente una mano sulla spalla ed il vecchio si voltò verso di lui. Un sorriso amaro gli si disegnò sul volto.
– Non saresti dovuto venire qui. – gli disse solamente.
– Invece non potevo non farlo, padre. – gli poggiò di nuovo la mano sul viso – Vieni via con me.
Shamal fece lo stesso con lui e lo seguì, lontano da quel muro di oblio.
Quando Amidel riaprì gli occhi, solo un altro attimo era passato, eppure suo padre era lì con lui, lo sguardo vigile e determinato, nessuna traccia della forza dei Grandi a possedere le sue azioni.
– Non biasimare i Grandi, figlio mio. Sono in pericolo e si difendono.
L’unione delle loro menti aveva ovviamente trasmesso a suo padre tutti i suoi pensieri.
– Non posso farne a meno, padre. Guarda cosa vi hanno fatto.
– Eppure è stata la Terra che ti ha mostrato come resistere e come fermarmi. Ed attraverso te, ha indicato a me il modo per fermare i nostri fratelli prima che si facciano uccidere da quella macchina. – il sorriso sulle labbra del vecchio si allargò spontaneo e sincero – Vieni, andiamo a riprenderceli, uno per uno.
I due si inginocchiarono e si tennero le mani. Chiusero gli occhi e si immersero l’uno nell’altro, pregando non verso i Grandi, ma verso i loro fratelli.
Amidel, immerso nei pensieri di suo padre, poté constatare come il vecchio Keelihn conoscesse tutti i membri del suo villaggio in maniera profonda. Per ognuno di loro aveva un ricordo potente con cui scavare uno spiraglio nella parete d’ombra delle loro menti e, per i pochi per cui non l’aveva, sapeva benissimo a chi rivolgersi per chiedere aiuto.
Uno per uno i Keelihn bloccavano la loro corsa e si risvegliavano, unendosi poi a loro volta nella preghiera e velocizzando il processo. Ogni mente che si univa alla loro portava con sé nuovi fili colorati che ampliavano la rete tirando dentro altri individui.
Dopo che per Amidel potevano essere passati anche secoli, riaprirono gli occhi e scoprirono di aver perso solo una decina di minuti.
– Non possiamo fare altro – disse lugubre Shamal.
L’imperatore si guardò intorno e vide con disappunto che nessuna linea colorata collegava i Keelihn infermi a quelli che erano stati liberati. Non avevano modo di raggiungerli, non avevano modo di fermarli.
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Callin balzò dal parapetto di tribordo appena poté. Si era fatto portare a distanza di salto appena si era ripreso dal dolore alla testa. La visione che la Terra gli aveva inviato non era stata chiara all’inizio, ma poi aveva capito: gli aveva mostrato la cosa per cui avrebbe fatto di tutto, le persone per cui sarebbe anche morto saltando da un’aeronave. Ovviamente c’era quella maledetta ragazza, ma in cuor suo non si sarebbe mai aspettato che accanto a lei ci sarebbe stata anche sua madre, la donna che aveva disprezzato per una vita intera e verso la quale, solo negli ultimi giorni, aveva mosso i primi passi di una difficile riappiacificazione.
E poi c’erano quelle linee colorate che partivano dal suo petto e puntavano direttamente verso Rose e Alette, ma anche Vincent e probabilmente suo padre.
Atterrò duramente sulla piattaforma di roccia sempre più instabile intorno alla macchina.
Vincent era a terra con sua madre che gli teneva la testa e la sua ragazza in ginocchio con i palmi poggiati a terra e gli occhi chiusi.
– È inutile! – sentì urlare sua madre, con voce tesa e stridula molto simile al vento che sferzava da ogni direzione.
– Rose! Madre! – urlò lui per attirare l’attenzione.
Le due donne si voltarono e quando lui fu vicino, Rose lo abbracciò forte, tastandolo spasmodicamente, negli occhi gli lesse la gioia di saperlo vivo.
– Dobbiamo andare via da qui!
– Non possiamo! Dobbiamo fermarla!.
Maledetta lei e la sua testardaggine pensò Callin mentre sentiva quelle parole.
– Come facciamo? – chiese poi, senza nemmeno tentare di dissuadere Rose.
– Non si puo! – Vincent intervenne – Nessuno può fermarla!
La ragazza tornò in terra, coi palmi poggiati.
– Rose, ti ho già detto che è inutile! È tutto in risonanza! – Alette urlò ancora, frustrata. Era evidente che inizialmente aveva provato anche lei a fermare la macchina con l’alchimia.
Il ladro si guardò attorno in cerca di qualcosa che potesse aiutarli ma trovò ben poco. Lo scheletro della macchina ormai era sparito e l’Illiar brillava violaceo al centro di uno spazio che i suoi sensi Keelihn identificarono come vuoto. Era sospeso nell’aria ma intorno ad esso, non vi era nulla, nemmeno le particelle tipiche dell’atmosfera. Anche il piedistallo di roccia stava iniziando a sparire sotto la sfera luminosa, mentre tutto intorno nubi bianche e grigie vorticavano sparendo e ricomparendo. Saette viola si generavano sulla superficie dall’Illiar ed ogni tanto qualcuna si scaricava a terra.
Il giovane estrasse uno dei suoi pugnali e lo lanciò verso la sfera. Si dissolse prima di colpire il bersaglio.
– Se non possiamo fare niente, allora andiamo via! – urlò di nuovo.
– Andare dove? – chiese Vincent – l’Illiar consumerà tutto quello che c’è al mondo, atomo dopo atomo e sempre più velocemente. Nel giro di un’ora, queste montagne, tra un giorno, tutto il continente, tra una settimana probabilmente avrà già consumanto anche il sole.
Callin con puro orrore finalmente comprese cosa aveva spinto i Grandi ad intervenire in quel modo così ostile e doloroso, ma se l’alchimista aveva ragione, nessuno avrebbe potuto intervenire, nemmeno loro.
Eppure la linea che lo collegava a suo padre si stava accorciando velocemente. Si sporse dal limite della colonna di roccia e vide una decina di metri più in basso i Keelihn infermi che si arrampicavano, incuranti del forte vento e del pericolo. Aveva immaginato che sarebbero stati i più sensibili al richiamo dei Grandi, ma non si aspettava che sarebbero riusciti ad arrivare così in fretta.
Non fece in tempo ad indietreggiare per avvisare gli altri che già il primo era balzato su. Non poteva vedere gli occhi che quella creatura celava dietro le palpebre chiuse e marchiate ma ne percepì la follia sotto lo strato d’oblio che la controllava.
Il keelihn mosse la testa tutto intorno, come se vedesse, poi puntò direttamente l’Illiar, senza curarsi dei presenti. Corse verso la sfera violacea, ma a meno di cinque passi, una scarica d’energia lo fulminò. Cadde in terra e lentamente cominciò a sparire, un pezzo dopo l’altro come se un’onda invisibile lo ricoprisse e ad ogni risacca portasse via una parte del suo corpo.
Altri suoi fratelli fecero la loro comparsa, e come lui si lanciarono contro la sfera luminosa. Qualcuno si dissolse direttamente, altri vennero fulminati. Uno riuscì anche a toccarlo ed il suo urlo di dolore sovrastò qualunque altro suono mentre delle fiamme violacee lo consumavano.
La linea colorata che spuntava dal petto di Callin e si lanciava verso il basso della colonna era sempre più corta e l’inesorabile è sempre seguito ad un passo dalla rassegnazione: quando Verritt si issò sulla piattaforma, il ragazzo sapeva già cosa sarebbe successo.
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