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Capitolo 41 – La macchina

Quando Rose rinvenne, per un attimo, non riconobbe il luogo dove si trovava. Era all’aperto e della caverna situata nelle profondità della montagna era rimasto solo lo strato di roccia su cui era distesa. Tutto intorno una cupola viola quasi completamente trasparente aveva sostituito le pareti di roccia. Al centro esatto di quella sfera vi era la macchina di Vincent che ronzava e sbuffava, mentre tutti gli ingranaggi e le cinghie giravano velocemente. Era ancora ingabbiata e piccoli fulmini energetici, sempre viola, si scaricavano sull’armatura della gabbia in maniera casuale per poi correre veloci lungo le sbarre e venire espulsi tramite un puntale centrale. Seguendo con lo sguardo i lampi violetti, la ragazza capì che andavano a formare un fascio di energia costante che squarciava il cielo e, probabilmente come effetto collaterale, alimentava la cupola.
Si alzò, ancora un po’ barcollando, e si portò una mano alla testa per riaversi, scossa per l’essere stata fuori fase poco prima. Mosse qualche passo intorno alla macchina alla ricerca del suo maestro. Lo trovò seduto accanto a quello che sembrava essere un pannello comandi, le mani poggiate su due sfere conduttrici argentate e lo sguardo fisso su una serie di indicatori a lancetta che aveva davanti.
Il suo volto era serio, la mascella contratta, ogni suo movimento, anche il più lieve, era fatto con estrema concentrazione.
– Non toccare le sbarre! – le intimò Alette, che era accanto a lui. Aveva le iridi scurite dalla preoccupazione e la voce un po’ stridula.
– Che sta facendo? – chiese la ragazza raggiungendo i due e sbirciando sul quadro dei sensori.
– Faccio vedere a quell’idiota, cosa vuol dire controllare davvero gli elementi. – La voce di Vincent era eccitata. Nonostante tutto, una sfida di quel calibro lo galvanizzava.
La macchina era il suo capolavoro e, sebbene pericolosa, avrebbe fatto di tutto per dimostrarsi superiore a Solinar ed ai suoi alchimisti.
Uno scossone minò l’equilibrio di Rose che si aggrappò al sedile del suo maestro per sorreggersi. Con sommo stupore si accorse che si stavano muovendo. La cupola ed il pavimento sotto di essa si stava innalzando, come se un gigante avesse infilato le proprie dita nel terreno e li stesse sollevando nel suo palmo.
Gattonò fino al limite del campo di energia violaceo e cercò di gettare uno sguardo all’esterno. Non era un gigante a sostenerli, ma un pilastro di roccia dalla forma innaturalmente obliqua li aveva letteralmente spinti fuori dalla caverna dove si trovavano e li stava portando all’altezza di tre aeronavi.
Rose strizzò gli occhi per riuscire a vedere attraverso la colorazione violacea della cupola.
– Ma quelle sono dell’accademia!
– Certo, ragazza mia! La prima cosa che ho fatto appena la macchina è andata a regime è stato spazzar via quella nube tempestosa.
Come prima, la giovane alchimista sentì orgoglio e trepidazione nel tono del suo mentore, preferì, però pensare alle questioni pratiche: c’erano Callin e suo padre lì in mezzo.
– Papà aveva detto che potevano essere anche in cinque. – sottolineò con fare pratico.
– Fortunatamente sono di meno e comunque ce n’è una in più rispetto alle informazioni di cui era in possesso Recro – La voce di Alette per la prima volta sembrava un po’ più fiduciosa.
– Quel colosso a centro è più grande della Risonanza – constatò Rose tornando vicino agli altri due – perché non lo abbattiamo con la macchina senza far correre rischi a mio padre e Callin?
– Ci sto provando, ma sono protetti dal loro sistema di amplificazione.
– Sì Rose. La macchina non controlla direttamente le reazioni, è solo un amplificatore delle capacità di chi la utilizza. – Lo smarrimento della ragazza doveva essere stato evidente, visto che Alette si era sentita il dovere di fare quella precisazione.
– E per questo ci stiamo avvicinando – continuò Vincent – Forse da una distanza inferiore riesco a penetrare le loro difese.
La ragazza non rispose, si limitò ad annuire e tornò ad interessarsi agli indicatori del quadro comandi.
Luci e fili si susseguivano sulle piastre metalliche, un groviglio, un labirinto ad un occhio non esperto. Era davvero difficile trovare la giusta chiave di lettura, ma, un po’ perché si era abituata a quelli delle aeronavi, un po’ perché, in fondo in fondo, quei ricami sulle braccia della sua tunica se li era meritati, riuscì a darvi un senso globale.
Tutto sommato i comandi davvero importanti erano situati a centro ed erano più grandi degli altri. Indicavano lo stato del flusso di energia che attraversava le sei bobine della macchina. Due lancette per bobina, una per la potenza ed una per la frequenza. Ne erano attive solo tre, una settata nello spettro di frequenza basso e lungo, probabilmente per controllare la roccia e le altre due nella fascia alta dello spettro, quasi sicuramente per placare la tempesta e per alimentare la barriera.
– Abbiamo altri tre colpi da sparare a quanto vedo – commentò.
– Contemporaneamente sì! – rispose Vincent sorridendole – A meno che non interrompa il flusso di energia ad una delle altre trasformazioni.
– E che tu non sia completamente pazzo – aggiunse Alette, con rinnovata apprensione – Se attivi tutte le bobine allo stesso tempo non sai cosa può accadere, potrebbe anche esplodere.
– Da dove arriva tutta l’energia necessaria per queste trasformazioni?
– Dall’Illiar!
Rose lo vide, su di un piccolo piedistallo metallico al centro del macchinario. Un po’ evanescente, un po’ concreto. Sembrava che a momenti dovesse passare in quel mondo bianco che aveva lei stessa visitato qualche minuto prima.
– Mi stai dicendo che l’energia arriva da quel posto tutto bianco in cui siamo stati anche noi?
– No Rose, noi non siamo stati in nessun posto. Eravamo sempre qui, ma trasformati in energia. – spiegò Vincent.
La ragazza era di nuovo smarrita.
– Questo non so spiegartelo nemmeno io – intervenne Alette – non ha mai voluto dire a nessuno di che tipo di reazione si tratti.
– Avevo i miei motivi. – rispose brusco Vincent – Ad ogni modo facciamola semplice. Ogni volta che un atomo viene spedito fuori fase, si crea una enorme quantità di energia che viene conservata nell’illiar. Quando l’atomo ritorna in fase, essa viene consumata per ricostruirlo. In realtà non va da nessuna parte, diviene solo una traccia energetica che viene riassemblata quando torna indietro.
– Quindi adesso la macchina sta distruggendo atomi e molecole per estrarre l’energia e alimentare le tue trasformazioni? – chiese Rose.
– Esattamente. – e poi rivolto verso Alette – Te lo dicevo che era una ragazza sveglia!
– E come torneranno indietro quando avremo finito?
– È questo il problema! Non lo faranno. – la voce di Vincent si fece tetra e lo sguardo divenne improvvisamente distante. Il mentore continuò con un tono molto più atono di prima, quasi di morte – utilizzando l’energia per alimentare la macchina, non ne avremo a sufficienza per ripristinare tutte le molecole. Le tracce energetiche che stiamo creando in questo momento si dissiperanno nel giro di qualche minuto e saranno perdute per sempre.
– In altre parole stai consumando il mondo, atomo dopo atomo, per fare questo. – Rose sgranò gli occhi alla sua stessa affermazione. Le implicazioni di ciò che la macchina poteva significare la spaventarono, come mai le era successo prima.
Per un secondo sentì freddo e caldo insieme, si aggrappò alla voce del suo mentore per scacciare quella sensazione. In fondo Vincent l’aveva tenuta a bada fino a quel momento.
– Secondo certi aspetti sì, anche se c’è da dire che l’energia prodotta è così sovrabbondante che da quando ho acceso la macchina avremo utilizzato meno di un chilo di ferro del piedistallo. – precisò l’alchimista e lei si sentì un po’ meglio.
La ragazza si discostò dal suo maestro mentre quella che ormai era una piattaforma su cui si trovavano si avvicinava sempre di più alle aeronavi dell’accademia.
Di nuovo il terrore le crebbe forte nel cuore: il senso di sbagliato e di pericolo le si sommavano nel petto facendola quasi gridare, si limitò ad affondare le unghie nei palmi delle mani.
Il concetto stesso di utilizzare i componenti della materia per produrre energia, facendoli sparire nel nulla, portava con sé delle questioni etiche molto pesanti.
Per calmarsi fece dei respiri profondi, lentamente recuperò la calma e si disse che in fondo si trattava dello stesso concetto di chi accende un fuoco bruciando la legna, ma il problema era che qualunque atomo o molecola sarebbe potuta andar bene come pasto di quella macchina.
Qualsiasi…
Finalmente capì perché Vincent, tanti anni prima, aveva sabotato la sua stessa invenzione. In quello stato, chiunque si fosse seduto al pannello di controllo, fornendo adeguato “carburante”, avrebbe potuto avviare una trasformazione su vasta scala.
Vogliamo fare evaporare l’oceano? Che problema c’è, facciamo sparire tre o quattro delle Bianche Cime.
Ebbe pena per il peso che il suo mentore si portava tutto da solo sulle sue spalle e gioì incomprensibilmente, vergognadosi quasi, per il genio di quell’uomo solitario. Lei lo aveva visto nascondersi e diventare vecchio, soffrire, rinunciando ad amici e amori per quella macchina.
Le venne voglia di distruggerla in quel momento, ridurla in pezzi così piccoli che nessuno l’avrebbe potuta ricomporre, per stare al sicuro, per essere certa che nessuno l’avesse più usata, prima però doveva toccare a quella di Solinar.
Irrazionalmente si chiese se lei ne sarebbe stata capace, sarebbe stata abbastanza forte da rinunciare a tutto ed ammettere che la sua più grande opera doveva venire distrutta?
Non lo sapeva e una nuova preoccupazione le attanagliò lo stomaco.
Prima però, dovevano vincere quella battaglia…
La ragazza si voltò verso Vincent, guardandolo per la prima volta con altri occhi. Fissò poi Alette accanto a lui, con una mano sulla spalla poggiata in un tocco lieve. Non condannava più quella donna. Si accorgeva in quel momento quanto fosse davvero forte la volontà di Vincent e quanto semplice sarebbe stato per un’altra persona annullare la propria. Le sue mani erano ancora strette in piccoli pugni e la sua di volontà cosa diceva? L’odio per Solinar e per cosa aveva fatto ripercorre al suo maestro crebbe in quel momento tutto in una volta come un fuoco che divampa.
– Tira giù quelle aeronavi e risolvi la questione, poi però distruggeremo questa macchina. – Ringhiò la ragazza con una voce che non riconobbe
– Lo vedi Alette? È una ragazza sveglia!

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Capitolo 40 - Illiar
Capitolo 42 - Battaglia aerea
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Lissa

secondo nome Stachanov, non riesce a stare con le mani in mano, ogni minuto in cui non si è impegnati in qualche attività è un minuto perso! Le piace dialogare con le persone e cerca di avere pochi pregiudizi, non sempre le riesce… soprattutto quando le demoliscono i suoi libri fantasy preferiti. Passione e hobby unico lettura di libri, ovviamente, fantasy, ha provato anche altri generi con scarso risultato, sempre alla ricerca di qualche nuova bella saga da scoprire, insomma, leggere è l’unica cosa che non si stancherebbe mai di fare.

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