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Capitolo 40 – Illiar

– È veloce! – constatò Vincent senza scomporsi, gli occhi fissi sulla massa temporalesca che macinava metri nella loro direzione.
Si voltò e percorse con lo sguardo il capannello di persone che erano alle sue spalle. C’erano tutti. Uomini e donne che loro malgrado erano capitati in quella situazione a causa sua. C’erano il suo passato ed il suo presente. Forse anche il suo futuro, sempre ammesso che i Grandi ne avessero previsto uno per lui.
Sorrise. Solo qualche tempo prima non avrebbe mai pensato al suo destino in termini così religiosi.
C’erano gli occhi ancora gonfi di lacrime di Alette, che cercavano sul suo viso un segno di incoraggiamento. C’erano le mani unite di Callin e Rose, che invece si bastavano l’un l’altro. E poi ancora la mascella irrigidita di Feal’d, gli occhi chiusi di Shamal, la fiera compostezza di Amidel e la preoccupazione tangibile di Rosh.
Amicizia, amore, rispetto. Una rete di sentimenti lo legava a quelle persone ed attraverso di lui erano tutti in un modo o nell’altro connessi.
C’erano anche Verritt e Recro, nei suoi pensieri. Il primo come un compagno e rivale caduto, la prima vittima, il secondo come mentore e ispiratore della sua giovinezza, nonostante gli errori commessi. L’unico grande assente era il tempo. Non c’era tempo di pensare, di organizzarsi né per disperarsi della situazione senza via d’uscita.
Guardò Alette intensamente e per un attimo fece trasparire dai suoi occhi tutto il carico emotivo che pulsava nelle sue tempie, poi lo sguardo si fece freddo e calcolatore.
– Rosh, quanto è estesa e tra quanto tempo sarà qui? – chiese con tono imperioso.
– Non siamo in mare, non posso dirtelo con certezza!
– Fa’ una stima!
Rosh fece qualche passo in avanti sbuffando. Allungò una mano e misurò le distanze utilizzando le dita.
– È larga abbastanza da nascondere quattro o cinque aeronavi della stazza della Risonanza e se continua così abbiamo dieci minuti al massimo prima che arrivi sulle nostre teste.
Vincent annuì mentre continuava ad elaborare i dati in suo possesso
– Tu e Callin salite a bordo delle nostre aeronavi e tenetevi pronti a decollare.
Rose strinse più forte la mano del ragazzo accanto a lei e si voltò verso suo padre. Rosh le sorrise e poi corse via imboccando l’apertura nel fianco della montagna che dava sul quella specie di terrazzo dove si trovavano. Callin attirò l’attenzione della ragazza prendendole il viso con le mani e la baciò per un lungo istante, poi incrociò lo sguardo di sua madre ed infine di Vincent. Seguì Rosh con uno slancio della sua velocità da Keelihn.
– Alette, di che difese dispone questa struttura?
La donna esitò.
– Alette! Ho bisogno anche di te – le disse con un tono molto meno rigido Vincent avvicinandosi e prendendole le mani.
– Poche. – Intervenne Feal’d – Contavamo molto sul fatto che fosse altamente improbabile venire individuati e sulla protezione naturale di queste montagne.
Vincent imprecò.
– Forse abbiamo qualcosa però – Alette aveva recuperato la lucidità e guardava intensamente l’alchimista in blu – siamo alchimisti e nella montagna c’è molto metallo. Non dovrebbe essere complesso costruire delle bocche di fuoco. Se usiamo l’alchimia per alimentarle…
– Fatelo! – Vincent la interruppe avendo inteso dove volesse andare a parare.
Senza dire un’altra parola Feal’d e Alette erano rientrati.
– Arriva! – disse Amidel.
Vincent si voltò e la nube aveva percorso più di metà strada. I dieci minuti di Rosh erano stati una stima troppo ottimistica.
Fulmini violacei saettavano tra le varie protuberanze dell’enorme ammasso temporalesco ed in quel momento erano ben visibili. Qualcuno scaricava la sua potenza sul terreno ed i boati dei tuoni squassavano l’aria.
Il vento che spirava dalle loro spalle verso la tempesta era palesemente vittima di una forza che lo risucchiava per alimentare la nube. Una vibrazione, dapprima appena percettibile, poi sempre più insistente serpeggiò nel terreno scalando le pendici della montagna. La neve depositata su un’altra delle cime attigue fremette e franò giù provocando una valanga dalle dimensioni spaventose.
– La Terra si ritrae, l’Aria è prigioniera ed i Fulmini sanguinano – Shamal cadde in ginocchio e prese a cantilenare nella sua lingua.
Per un istante gli elementi si placarono ma subito le vibrazioni tornarono accentuate, con lo slancio di un elastico teso e poi rilasciato ed il vento riprese a spirare più iroso e roboante.
Il Keelihn smise e si rialzò.
– Vincent-Kol, i Grandi non rispondono: sono prigionieri – urlò cercando di sovrastare il fragore del vento – Tu sai questo che significa.
– Non è possibile! – urlò a sua volta Vincent afferrando Shamal per il bavero della tunica – prima di andare via ho distrutto tutte le ricerche, sono l’unico che può metterla in funzione!
Un fulmine viola colpì un centinaio di metri più in basso rispetto alla loro posizione rilasciando nell’aria la propria energia.
– Rientriamo! – Amidel prese Vincent per un braccio e lo trascinò all’interno seguito da Rose e Shamal.
Quando la pesante porta di pietra fu chiusa e sigillata alchemicamente, dell’inferno che c’era all’esterno non vi fu più traccia.
– La montagna regge! – esclamò Rose.
– Se Shamal ha ragione, è solo momentaneo, presto peggiorerà.
Un alchimista in verde si presentò tossendo per l’affanno.
– Le aeronavi sono pronte a partire. – riuscì a dire mentre si ricomponeva.
– Tenetele al sicuro per ora. Se le facciamo volare con quella tempesta là fuori verranno distrutte in un attimo.
Il messaggero annuì e corse via per riportare gli ordini.
Vincent mosse qualche passo dando le spalle agli altri. Aveva passato tutto la vita a fuggire per evitare che qualcuno potesse mettere le mani sulla macchina che aveva contribuito a costruire. Tutto inutile. Qualcun altro aveva portato a termine il lavoro e lo aveva fatto dal lato peggiore dello schieramento.
Kimi saltò fuori da una parete miagolando e gli si piazzò davanti ai piedi.
Lui si chinò e la prese in braccio. La accarezzò dolcemente dietro le orecchie indugiando con lo sguardo sul suo ciondolo screziato. Si perse nei colori azzurri e viola della pietra lasciando vagare la mente al suo passato.
Si riscosse e lasciò andare la gatta. Si voltò lentamente, la morte negli occhi, ed incatenò lo sguardo in quello della sua allieva. Si avvicinò e le poggiò le mani sulle spalle.
– Rose, il tuo ciondolo per favore.

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La ragazza guardò il suo mentore senza capire. Batté un paio di volte le palpebre, poi un lampo di comprensione attraversò la sua mente. Istintivamente portò le mani al petto dove, sotto la tunica blu come quella del suo maestro era nascosto il ciondolo di suo padre, quello a cui si era aggrappata nei cinque anni in cui l’aveva creduto morto.
– Rose, devo portartelo via. – la voce di Vincent era calma e dolce, ma la ragazza non fu sicura se quella dolcezza fosse indirizzata a lei oppure a lui stesso.
Lentamente sciolse il nodo del laccetto che aveva dietro al collo e tirò fuori la pietra azzurra dalla forma irregolare. Il suo peso abbandonò le mani della ragazza quando l’uomo la prese.
L’alchimista la rigirò tra le mani e mentre la pietra si illuminava, alimentata dall’energia alchemica, si sciolse diventando una massa densa e luminescente.
Davanti agli occhi rapiti di Rose, il bagliore azzurro si screziò di viola ed il composto assunse una forma regolare, perfettamente sferica. Vincent era concentrato mentre toccava con le dita in vari punti l’oggetto, quasi disegnasse.
Quando la luce si affievolì il suo mentore reggeva tra le mani una sfera di un azzurro chiarissimo percorso lungo la superficie da linee squadrate viola. Un unico punto luminoso correva velocemente lungo le tracce lasciando una scia che si spegneva lentamente.
– L’aveva sempre avuto la ragazza – era una constatazione e proveniva da Alette che era tornata a fare rapporto.
Vincent le sorrise.
– Ti avevo detto che non l’avrei mai portato con me venendo qui.
– E tu mi hai mandato nella capitale con l’Illiar della macchina appeso al collo? – la voce di Rose era più sbigottita che arrabbiata.
– Esattamente dove non l’avrebbe cercato nessuno – rispose Vincent – e poi eri con Callin: non ti sarebbe accaduto nulla.
Un sospetto si fece largo nella mente della ragazza.
– Lui sapeva?
La domanda fu coperta da un boato assordante. Una ondata di energia investì la montagna ed una scossa decisamente forte percorse tutti i corridoi. Crepe si aprirono nel soffitto della sala dove si trovavano e sbuffi di polvere inondarono l’aria.
Vincent aiutò Rose a non perdere l’equilibrio.
Un’altra scossa li investì, le crepe si allungarono minacciose ed un paio di fiaccole caddero. Il tonfo di un crollo del soffitto li raggiunse da una stanza attigua.
Due guerrieri Keelihn spuntarono in fondo al corridoio urlando nella loro lingua. In un attimo furono vicini ma l’urgenza del loro messaggio era palese.
– Vincent-Kol, i miei fratelli – disse Shamal allarmato – un crollo ha liberato gli infermi.
– Ce ne occupiamo noi – rispose Amidel facendosi passare una delle lame ricurve dei Keelihn dai guerrieri.
Vincent annui ed il vecchio Lum e l’imperatore seguirono i due messaggeri. Alette fece per seguirli.
– Tu no!
– Ma Verritt è con loro – protestò la donna.
– Verritt è perduto ed ha già cercato di ucciderti. Tu vieni con noi – l’alchimista fu irremovibile.
Ancora un’altra scossa e Vincent non attese che la montagna smettesse di ballare. Strinse l’illiar al petto con una mano mentre con l’altra afferrò Rose.
– Dalle la mano e non lasciatevi.
La ragazza eseguì ed appena Alette ricambiò la sua stretta, una luce viola le circondò.
Un nuovo colpo investì la montagna ed il soffitto del corridoio crollò ma le macerie li attraversarono.
Rose sentì la testa girare quando la trasformazione avvenne. Era ancora lì, ma era come se non lo fosse. Sembrava che due mondi si sovrapponessero. Se si concentrava, riusciva a distinguere le pareti ed il pavimento, ma anche le macerie che in quel momento occupavano lo stesso spazio del suo corpo ma, appena la vertigine aveva la meglio, tutto diventava bianco e si ritrovava a fluttuare in uno spazio indefinito. Le uniche figure nitide in quell’ambiente sospeso erano il suo mentore di cui sentiva la presa in una mano ed Alette che stringeva con l’altra. Accanto a loro Kimi galleggiava completamente a suo agio.
Sentì l’alchimista strattonarla ed istintivamente si lasciò trasportare, portando con sé anche la donna che era spaesata quanto lei. Cercò di concentrarsi sul suo mondo e si rese conto, con terrore, di star attraversando metri e metri di solida roccia in direzione di una grossa caverna. Non riusciva a capire come fosse possibile per lei intravedere la loro meta attraverso gli strati di pietra ma mentre ci pensava erano arrivati a destinazione. Un attimo prima di sprofondare anche attraverso il pavimento della grotta, Vincent disattivò l’illiar. Il mondo bianco sparì di colpo e Rose si ritrovò seduta in terra.Piccoli bagliori viola percorrevano il suo corpo ricostruendolo atomo dopo atomo come aveva già visto fare con quello della gatta quando era prigioniera di Morel.
Accanto a lei Alette accusava i suoi stessi sintomi di nausea e scarso equilibrio, mentre dal nulla comparve anche Kimi che con un balzo aggrazziato le raggiunse.
– Sta’ con loro – le ordinò Vincent – andare fuori fase per la prima volta confonderebbe chiunque.
Il senso di vertigine crebbe e la ragazza sentì di non riuscire a resistere. Si stese e l’ultima cosa che riuscì a distinguere era il suo maestro che si avvicinava a passo spedito alla macchina.

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Capitolo 39 - Il passo di Shamal
Capitolo 41 - La macchina
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Alessandro Zuddas

Alto, bello, forte, intelligente, affascinante, carismatico, sposta gli oggetti con il pensiero, sa volare, parla la lingua comune intergalattica ed è così dannatamente fantasioso che qualche volta confonde cioè che immagina con la realtà… diciamo spesso… anzi no! Praticamente sempre! A pensarci bene non è che sia così tanto alto, affascinante o tutte le altre doti prima esposte, ma a chi importa? Quando si possiede la capacità di creare un mondo perfetto o perfettamente sbagliato oppure ancora così realistico da poterlo sovrapporre alla realtà, perde di senso chi si è veramente e conta solo chi si desidera essere.

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