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Capitolo 4 – Aria

Sottofondo musicale

Molto presto stiamo affacciati sul balcone. “V-va… va un p-po’ me-meglio, si-signorina Da-Darling?”
Confermo in fretta: “Non sono abituata ai corsetti”, mento.
“È… è u-un bene c-che non va-vadano p-più d-di moda”, afferma lui; “P-per l-la salute d-di certo n-non so-sono ma-mai sta-stati co-consigliabili”
“Già”, confermo.
“A vo-voi co-comunque s-sta mo-molto bene. P-Però non v-vi ho mai vis-vista in a-altri abiti”, ammette.
Rido.
“M-mi… mi ra-raccontavate de-della vo-vostra famiglia”, mi ricorda lui.
Quindi è davvero interessato? Non ha notato, non ha capito o finge di non aver collegato? Sono così confusa che non so cosa leggere nel suo sguardo. In qualsiasi caso proseguo con la storia: “I miei genitori si sposarono. Per carità, gli zii non sono mai stati assenti, ma ricordo che da bambina avevo paura di lei. Ho passato qualche mese con lei durante l’adolescenza, voleva insegnarmi le maniere di una giovane signorina di alta classe, mentre i miei fratelli iniziavano uno a lavorare in banca e il secondo a decidere in che direzione proseguire gli studi”, spiego.
“Qu-quindi a-avete du-due fratelli?”
“Sì, e sono la maggiore”, aggiungo.
Lui sorride: “I… i vo-vostri genitori, co-cosa fa-fanno?”
“Mamma lavora in una fabbrica di munizioni da poco”, taglio corto.
“E… e vo-vostro pa-padre? – S-se no-non erro, è qu-quindi i-il fra-fratello d-di La-Lady Ma-Margar-Margareth”, mi incoraggia lui.
Io respiro a fondo e mi fisso le mani, poggiate sul parapetto di pietra: “E’ morto poco dopo che mia zia mi riportasse in famiglia. Era molto malato”
“Mi… mi di-dispiace”
“Vive ancora. Ogni giorno che vivo, c’è una parte di lui”, ribadisco, un sorriso amaro mi sfiora le labbra, respiro a fondo; “E’ andata come è andata”, aggiungo e cerco di rincuorarlo, sembra afflitto come se gli avessi detto che è morto il suo, di padre; “Non dispiacetevene. E’ stato molto tempo fa”
Lui si riscuote: “De-deve… dev’essere una… una situa-situazione diff-difficile, se-senza pa-pa-padre”, commenta; “Co-come n-ne siete u-usciti? Vo-vostra zi-zia s-si è occu-occupata d-di voi?”, realizza di essere andato molto sul personale; “P-per-perdonate, no-non vo-vorrei ma-mai essere i-invadente”
E’ apprensione che leggo nei suoi occhi, una cosa nuova. Nessuna compassione, nessun “poverina” nascosto negli occhi. L’unica cosa che vedo sono due occhi che mi vedono sola. E che vorrebbero poter cambiare la cosa.
Per un istante voglio rispondergli con la verità, tutta la verità, ma poi mi ricordo della minaccia di mia zia e così ometto le difficoltà economiche: “Zia Maggie è generosa”
Lui ride nervoso: “E’… se pe-perdonate i-il mio sce-scetticismo, n-non ho i-il pia-piacere d-di co-conoscere vostra… vostra zia, m-ma… ma mi vi-viene di-difficile pe-pensare ch-che si-sia gene-generosa”
Io sorrido, fissandomi le mani, o meglio, i guanti che indosso. Non sento freddo, forse è il ricordo del sole a scaldarmi. Cambio argomento: “Se non vorrete rispondere, siete libero di farlo, ma mi sembra di aver capito che non avete molti amici, a questa festa e che a voi non piacciono le chiacchiere… quindi perché venire a questa festa e stare ad ascoltare me?”
“Ra-rappresento mi-mio padre, Cha-Charles Froh-Frohman”
Giustamente. – No, fermi tutti: ha detto davvero Charles Frohman?
Lui si dilunga: “L-Lo co-conoscete?”
“Di fama, e mi stupisce sapere che suo figlio mi sia stato presentato con un altro cognome, perdonate la franchezza” Quante volte ancora ci chiederemo elegantemente scusa per la curiosità non lo so. So solo che la mia è una bugia. Conosco Charles Frohman. Non quanto Jamie, ma lo conosco abbastanza bene.

Charles Frohman parlava con Jamie sul teatro. Io giocavo, o facevo finta di farlo, con gli altri bambini nella stessa stanza. “Non smettere mai di giocare con i tuoi ragazzi, sembrerebbero delle muse infallibili e senza tempo”, disse il produttore.

Robin Elder non sembra voler nascondermi nulla, forse perché ha scoperto in me qualcuno che non gli sfugge per colpa delle sue difficoltà a parlare. “I-infa-fatti i-io so-sono sta-stato a-adottato”, spiega, un po’ a disagio; “M-ma il… il co-cognome no-non ha… non ha a-alcun si-significa-cato. So-sono su-suo figlio e lu-lui mi-mio padre”
“Chi non lo vede non vi conosce bene”, osservo.
“Vo-voi co-cosa sa-sapete di… di me?”
“Nulla più di quanto vi ho detto. Non sapevo neppure il nome di vostro padre, Lady Camille non ha avuto l’occasione per dirmelo”
“La-lady Ca-Camille di-dimentica mo-molto, qua-qua-ndo de-deve parla-lare con m-me”
“Mi dispiace molto che non vi dia il valore che meritate”
“E… e voi sape-pete qu-qual è i-il val-valore di… di una per-persona qua-quando la… la vedete?”

“Oh, non ve ne sono brillanti come me”
“E io non ho fatto nulla?”
“Forse. Qualcosina”

Sorrido al ricordo, più che a lui: “Il valore è quello con cui noi stessi ci presentiamo”

Arriva mia zia, mi chiama: “Gwendolyn?”
La ignoro. Lo sa benissimo che quel nome è come se non l’avessi. Non l’ho mai saputo pronunciare.
“Gwendolyn”, si fa più seria la voce di mia zia, che si rifiuta di uscire sul balcone.
Robin Elder mi indica dietro di me: “Lady… Milady, è… è u-un piacere”, dice.
Mi giro e la guardo: “Oh, zia Maggie, sono desolata, non ti ho notata”
Lei sbuffa: “Ci sarebbe da stupirsi se ti accorgessi, piuttosto”
Giustifico il fatto di essermi estraniata con Robin Elder dal resto della plebea presente alla festa: “Sono venuta a prendere un po’ d’aria, non mi sono sentita bene, il signor Elder è stato così cortese da accompagnarmi”
“E certamente abbastanza paziente per sopportare le tue chiacchiere, signorina”, si avvicina e mi afferra il polso, si rivolge a lui; “Chiedo perdono, Gwendolyn è capace di far passare a chiunque ore al freddo e al gelo, convincendoli che faccia un caldo tropicale”, sorride; “Chiedo scusa se dovesse avervi in qualche modo annoiato. Una festa è per divertirsi”
“A-ascol-ltare la si-signorina D-Darling è… mol-lto di-diverso d-da u-una banale chia-chiacchiera, mi-milady. E’ co-comunque ge-gentile che… che ri-ricordiate che no-non amo pa-parlare se-senza u-un valido a-argomento”, ribadisce lui molto diplomatico. Non si vede che ha le lentiggini, con il buio che ci circonda. Lui prende la mia mano guantata e mi dà un bacio lì. No, non mi ci abituerò facilmente; “Sa-sarà cer-certamente u-un pia-piacere ri-rivedervi, ma-magari a tea-teatro, a-al Du-Duke…”
“Duke of York’s”, taglia corto mia zia; “Chiedo scusa, ma la strada verso casa è lunga e dobbiamo salutare dei miei amici che hanno chiesto di poter conoscere mia nipote”, lo guarda ancora e decide di volerlo sminuire davanti ai miei occhi. Anche lei però fa un dramma dove non c’è, lo conosco da qualche ora appena, che si aspetta che succeda? Al massimo potremmo essere amici. “La vostra lode per mia nipote è certamente al di sopra della verità, ma porta sempre lietezza udirla”
Forse balbetta, ma non si può dire che non abbiano contenuto, le sue parole e quando vuole ha la risposta pronta, glielo leggo negli occhi e aspetto, fra incredulità e divertimento, cos’ha da dire a zia Maggie: “L-la ver-verità s-sta fra… fra un pe-pensiero, co-come vi-viene e-espresso e i-il pre- pregiu-giudizio d-di chi a-ascolta, mil-lady”
Ui! – Questo lo chiamo un centro perfetto! Sono deliziata dalla scena.
Zia non risponde e mi tira dentro con se.

Obietto: “Non ti fai salutare?”
“L’avevo già congedato”, replica lei, fredda, in un sibilo. Il caldo e i colori vivaci della casa mi abbagliano fino a farmi sentire cieca.

***

Oggi zia mi ha rifilato un vestito verde, color oliva, la gonna sopra, non saprei come altro definirla, è fatta con un pizzo nero. Ha uno spacco laterale che mostra di nuovo la stoffa verde. Niente strascico, per fortuna, e nemmeno un decolté così aperto come quello della sera prima.
“Ieri che hai fatto?”, mi chiede.
“Quando, come e a cosa ti riferisci?”, le domando io e mi giro a squadrarla; “Dopo la cena ero stanca e sono andata in camera”
“Hai davvero dormito con la finestra aperta?”
Le volto di nuovo le spalle, fissando lo specchio con poco entusiasmo: “Perché fai le domande se sai già tutto, zia Maggie?”
“Perché lasci la finestra aperta?”, riformula lei quindi la domanda.
Scuoto la testa: “Che t’importa?”
“Entra qualcuno da quella finestra?”
Corrugo la fronte, non ho mai neppure immaginato che qualcuno può arrivare a pensare tanto. È assolutamente senza senso arrivare a un’idea simile: “Come ti viene in mente?”
“Se entra qualcuno da quella finestra non osare mentirmi, ragazzina”, minaccia la zia.
Io sbotto: “Sono adulta! La mia vita non dipende dalle tue decisioni, sono libera di vivere come mi pare e piace! Se ho caldo, apro la finestra e questa è la fine della storia!”
“Tu non sai nemmeno cos’è la fine di una storia, perché hai sempre la testa fra le nuvole!”
“Ed è lì che deve starci, se è quello che desidero!”, sbotto; “E se tu vuoi marcire con il paraocchi addosso, fallo, come desiderate, Lady Margareth!”, le urlo in faccia.
Il suo viso diventa paonazzo, non si distinguono più le lentiggini: “Non parlarmi in quel tono..!”
“NON SONO LA TUA BAMBOLA!”

“NON SEI LA SUA BAMBOLA!”, urlò.
John gridò, cercò di avvertirlo, liberatosi ora e non prima della benda che aveva sulla bocca.
Piangevo: “Non sono nemmeno il tuo eroe”, estrassi la chiave dal lucchetto; “Perdonami… lo faccio per Mike e Johnnie”, mi giustificai, mentre i pirati uscivano allo scoperto.
Il capitano mi poggiò l’uncino sulla spalla: “Un lavoro eccellente, Wendy”
John continuò a urlare. Stavolta contro di me: “Non è giusto!”
Il mio amico a sua volta non sapeva più che pensare, i suoi occhi erano colmi di dolore. Mi disse l’insulto più crudele che conoscesse: “E’ così che si cresce, Wendy?”

4 Gwendolyn MaryAngel Darling“Toglimi quest’abito di dosso”, cerco di dare una regolata alla mia voce, mi viene davvero difficile.
“Ti vedi con quell’orfano balbuziente? Con Robin Elder?”, insiste mia zia.
“Robin Elder ascolta, è la sola differenza fra te e lui!”, sbotto di nuovo.
Lei scuote la testa: “Io sono tua zia!”
“Tu sei un’estranea!”, replico con foga; “Sei qualcuno che da quando ho memoria compare, scompare e ogni volta non sta a sentirmi”, mi spiego; “Sei qualcuno che osa sedersi al posto di papà, ma tratta la mamma come se fosse inutile e lo stesso lo fai con chiunque non abbia dei titoli”, non ne posso più, sono furiosa; “Tu non sai nulla di me, quindi non raccontarmi di come dovrei comportarmi alla mia età. Tu e papà da bambini rubavate per mangiare!”
“Come osi..?”
“E’ la verità! Vuoi conoscermi? – Accetta la verità! Accetta la tua vita! Diglielo allo zio chi erano Margareth e John Darling prima che lui li conoscesse! Io sono esattamente come te da giovane, senza un papà, sorella maggiore, l’unico appoggio della mia mamma. Per te la soluzione è stata sposarti con un Lord, io voglio un marito nella mia vita, un uomo come lo è stato papà per la mamma, un uomo per il quale piango se dovesse succedergli qualcosa”, ho le lacrime agli occhi; “Non voglio cercare un uomo qualsiasi e ritrovarmi vedova fra un anno perché va al fronte”

Zia fa silenzio. Allenta i lacci del vestito ed esce dalla camera: “Chiama Betty, se ci ripensi”

***

Mi risveglio all’alba, mi affaccio dalla finestra e guardo fuori. Zia è tornata in camera mia a notte fonda, a vedere come sto. Lei crede certamente che stavo dormendo, ma ero sveglia.
Il cinguettio degli uccelli e il vento mi cantano il loro buongiorno, facendomi sognare di giorni lontani e felici su un’isola ben diversa dall’Inghilterra.
Mi siedo sul parapetto della finestra, tiro la gonna fin sotto i piedi per evitare che il vento me la tiri troppo su. I capelli stanno gonfi e spettinati, più lunghi che sotto alle spalle. Mi rigiro in mano la ghianda che porto sempre al collo. E’ la prima cosa che indosso, prima ancora di vestirmi. Fa parte di me.
Dopo aver dipinto l’aurora nel cielo e il sole diventa pigro nell’arte, mi metto un vestito da giorno rosso corallo con camicetta bianca incollata, sembra che zia mi abbia preso le misure del collo. Scendo le scale, voglio giusto andare a vedere se la governante, che io per rispetto chiamo Elizabeth al posto di Betty, ha già messo in tavola la colazione, se c’è zia, quando sento qualcuno suonare alla porta. Sono la più veloce, anche perché le scale che portano alla mia stanza arrivano all’ingresso, e senza riflettere apro di persona.

Ci sono abituata, faccio così a casa e anche al lavoro.
“Salve, buongiorno, cosa posso fare per…”, mi interrompo da sola e lancio un urlo, saltando istintivamente all’indietro.

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Capitolo 3 - Ballo
Capitolo 5 - Fiducia
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SaraIE

Passa il tempo libero fra libri, carte e penna, suona in una piccola orchestra e ama tenersi impegnata giorno e notte. Studentessa sognatrice, 18enne, vive in Svizzera con la sua famiglia, le piace interpretare le voci quando legge e non ha mai abbandonato le storie di fantasia, anzi, semmai si è irrevocabilmente persa fra i boschi degli elfi, le caverne dei nani, i cieli delle fate e gli abissi delle sirene. Ma, secondo la sua filosofia, prima di fare ordine ci deve essere il caos e prima del sapersi orientare non si può fare a meno di perdersi. Non preoccupatevi se vi sembra strano quello che scrive... Proseguite che alla fine vi ritroverete 😉
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