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Capitolo 38.2 – Neve candida

Sottofondo musicale
Delle ombre calano dall’altro lato della parete, ombre che prima non c’erano e che non possono venire dall’interno. Non abbiamo legna per generare una qualsiasi fonte di luce. Qualcuno grida oltre la spessa parete di ghiaccio. L’uomo risponde al grido anch’egli a gran voce: “AUG!” e li esorta poi in francese ad aiutarci.
Mi è difficile capire cosa stia succedendo, ad un tratto il ghiaccio cede sotto i miei colpi di spada, quelli del cacciatore d’ascia e da fuori cadono dentro due ragazzi: due indiani, una ragazzina con un viso ovale e due lunghe trecce e un altro ragazzo con la stessa acconciatura, persino lo stesso disegno sulla banda che ha in fronte. Vedo i segni perché mi sono avvicinato per porgergli una mano. Ho studiato i popoli selvaggi per interesse personale in una biblioteca. Di solito gli indiani hanno ranghi molto precisi e indossare collane o copricapi dello stesso genere crea rivalità. A meno che non siano gemelli, ma ho i miei dubbi, c’è davvero da chiedersi come mai stanno insieme se sono rivali.
“Visi pallidi!”, sembra un’imprecazione la definizione che ci dà la ragazza.
“Pelle rossa?”, domanda la mamma preoccupata.
L’uomo fa una specie di cenno con il capo ed esegue dei gesti. Vedo il ragazzo rispondergli, mentre la ragazza risponde a noi: “Io visto troppi visi pallidi ultimi giorni! Che succede adesso? Pirati portato voi qui?”
“Siamo fuggiti di casa”, rispondo; “Siamo vecchi amici di Peter Pan… e vogliamo solo tornare di nuovo nel nostro mondo”, aggiungo in fretta.
Il ragazzo interviene fermando la ragazza. Io non ho visto cosa stava per fare, ma a giudicare dalla dinamica e dall’opposizione che sembra mostrare lei, probabilmente non aveva ottime intenzioni. In qualsiasi caso la mamma mi stringe il braccio e mi tira in dietro di un passo.
Il cacciatore esegue di nuovo dei movimenti.
Che cosa vi state dicendo?”, chiedo al cacciatore.
Chi siete”, ribadisce lui.
“Non possiamo parlare tutti la stessa lingua?”, domanda la mamma confusa.
Io chiudo gli occhi e mi ritrovo a sorridere. Non è così facile comunicare, anche se parlassimo tutti la stessa lingua. “Mia madre ha bisogno di ritornare nel mondo degli adulti al più presto”, dichiaro; “E io la seguirò. Potreste aiutarci? – So che Giglio Tigrato saprebbe indicarci la strada fino dai Bimbi Sperduti e loro ci recupereranno una fata per tornare a casa”
“Giglio Tigrato qui davanti a te, se tu no avere occhi”, la ragazza si sente chiaramente offesa, incrocia le braccia.
“Sono praticamente cieco”, replico.
“Cieco?”, ripete lei, è un vero punto interrogativo, non ha capito il senso della parola.
“Non vedo quasi niente”, mi spiego; “Solo ombre… luci… e colori”, cerco le parole più semplici possibili.
Probabilmente lei capisce, vedo la sagoma del suo viso muoversi e quella del ragazzo invece si avvicina a me e mi prende la mano: “Michael?”
Il suono della sua voce mi ricorda qualcosa. Chiudo gli occhi incerto, come se questo gesto potesse aiutarmi a scavare un ricordo, mentre mamma mi tira ancora più indietro: “Giù le mani da mio figlio, pelle rossa!”
Lui per la sorpresa non tiene la mia mano, ma fa un altro passo verso di me: “Amico?”

Un bambino mi si avvicinò e mi porse un copricapo, una banda senza disegni né piume: “Amico?”
“Tu chi sei?”
“Amico”
Io sorrisi e gli diedi la mano: “Io sono Michael”, dissi e poggiai la mano sul cuore; “Mi-chael”, poi indicai il suo cuore; “Tu?”
Lui indicò il mio cuore: “Michael, amico”, rispose e poi poggiò a sua volta la mano sul cuore; “Piccolo Fiume, amico”
Io lo abbracciai: “Amici per sempre!”

“Piccolo Fiume?”, mi sento rinvigorito e pieno di gioia. Lo abbraccio forte e sento che, anche se è rimasto più piccolo del mio io di adesso, è sempre mio amico nonostante io l’avessi quasi completamente dimenticato.
Piccolo Fiume si sgancia da me, vedo che si asciuga una lacrima dal viso e poi si rivolge a Giglio Tigrato con poche parole e alcuni gesti contemporaneamente.
Lei scuote la testa in un primo momento, indica la parete di ghiaccio con un pugno e fra un gesto e una parola e l’altra riesco ad acchiappare un nome: “Jackie Manorossa”
“Mia sorella voleva solo salvare me e Johnnie”
Mamma inclina la testa. Il suo sguardo, a pochi centimetri dal mio, è quasi vuoto: “Di chi parli?”
“Ricordi che ti ho raccontato che Wendy ha salvato me e Johnnie dai pirati, portando Peter in una trappola?”
“Chi erano tutte quelle persone?”
“Quelle persone chi?”, chiedo disorientato.
Lei ondeggia leggermente con la testa: “Wendy… e Johnnie… ma che razza di nomi sono?”
La afferro per entrambe le spalle: “Mamma? Mamma, dimmi chi sono io”
“Il mio piccolo Michael?”, sembra un po’ confusa dalla domanda; “E cosa c’entrano i pirati da queste parti? – Con il gelo che fa dovrebbero starci i vichinghi”
“Ora no svegliamo altro caos!”, sbotta Giglio Tigrato e fa altri gesti.
Il cacciatore si rivolge a me: “Cerchiamo subito una fata per te e tua madre
“Che ha detto, Michael?”
“Che…”, io inizio a mettermi nei panni di Wendy, la Wendy che ha descritto il signor Barrie. Quella bambina che si accorge che i fratelli non ricordano i loro veri genitori e decide così di abbandonare con loro l’Isola-che-non-c’è, per sempre.
“Michael?”
“Ora torniamo a Londra, mamma”, la rassicuro; “Sta’ tranquilla, tornerà tutto come prima”, ma non mi sento affatto tranquillo.
Piccolo Fiume si toglie la casacca, la straccia sul davanti e la porge alla mamma. Lei non ci pensa su un minuto e la indossa come una giacca: “Grazie, bambino”
Io invece poggio una mano sulla spalla ora nuda del mio amico: “E tu adesso come fai?”
“Io guerriero adesso”, risponde e sorride; “Ma anche amici per sempre”

Così usciamo: il Cacciatore Nero in coda, io e mamma davanti a lui, Giglio Tigrato in testa seguita da Piccolo Fiume.
Dopo molti passi nella neve e con i piedi ormai indolori tanto il freddo è entrato nelle ossa, decido di togliermi la curiosità: “Perché tu e Giglio Tigrato avete lo stesso simbolo in testa?”
Lui risponde prontamente: “Perché io e Giglio Tigrato di stessa famiglia e chi cresce prima, Grande Toro deciso di lasciare suo posto di grande capo”
“E… andate d’accordo, di solito?”
“Io di solito più silenzioso, lei più tigre, come nome”
“Ho studiato che gli indiani cambiano nome, con gli anni… perché voi due no?”
“Io chiesto no essere grande. Grande no significa giusto o meglio e no voglio mio nome fare paura a altri”, replica lui.
“Sei saggio”, commento ammirato. Dimostra appena un tredici anni, ma potrebbe averne anche più di me. Eppure, nonostante questo ragionamento, non posso fare a meno di essere ammirato da quello che è diventato il mio giovane amico indiano.
“Saggio tu, Cantante Dorata raccontato tu essere maestro di tuo popolo”, ribadisce lui e mi lancia uno sguardo dietro le spalle. Chissà se sorride o no. Non lo vedo da questa distanza.
“E tu essere più silenzioso di me?”, lo rimbecca Giglio Tigrato; “Ora fare silenzio davvero, tutti”
Io non mi trattengo ugualmente e bisbiglio al mio amico: “Cantante Dorata?”
“Tua sorella”
“Wendy”, capisco io e insisto; “L’hai vista? Sai dov’è?”
Lui vede, contrariamente a me, quello che ho negli occhi, la preoccupazione: “Ultima volta io visto Cantante Dorata, su nave pirata. Io lì con lei, Lepre-che-corre, Aquila Bianca e Bimbi Sperduti. Lei scomparsa”
“Cantante Dorata, Wendy, ma di chi state parlando? E poi, scomparsa? – Come se una persona normale potesse essere capace di svanire nel nulla”, commenta la mamma, la sua voce ha un qualcosa di canzonatorio.
Io decido di non risponderle. Fra la poca neve che cade attraverso le fitte corone del bosco, il più è non scivolare sul ghiaccio. La cosa più sicura è poggiare i piedi dove li mette Piccolo Fiume davanti a me. Quando ha l’impressione che un passo sia particolarmente rischioso, mi porge la mano e le poche volte che sono scivolato scopro in lui una grande forza. Ce lo vedrei davvero bene come Grande Capo degli indiani.
Mentre lo penso, il cacciatore si ferma.
Mamma mi afferra la manica: “Ehi, non continuava il viaggio con noi?”
“Non penso, il nascondiglio di Peter e la Città delle Fate sono due posti segreti” – e questo da dove diamine l’ho scoperto? Immagino da James Barrie o dalle sfuriate di Wendy con zia Maggie quando diceva che il Peter Pan descritto in teatro era un falso.
Il Cacciatore indica qualcosa appesa ad un albero morto e molto alto. “C’est le capitain!” (E’ il capitano!)
Mi avvicino cautamente, lasciandomi guidare dalla mamma che apparentemente si fida di più dell’uomo senza passato con il quale lei non può comunicare affatto che dei due indiani. E’ lo scheletro di un uomo impiccato che stiamo fissando in tre. La mamma, appena lo realizza, lancia un urlo spaventato e si nasconde dietro di me.
“Ma se il capitano stava a Londra solo ieri?”, guardo nella direzione di Piccolo Fiume, disorientato.

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Capitolo 38.1 - Neve candida
Capitolo 39 - Incubi
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SaraIE

Passa il tempo libero fra libri, carte e penna, suona in una piccola orchestra e ama tenersi impegnata giorno e notte. Studentessa sognatrice, 18enne, vive in Svizzera con la sua famiglia, le piace interpretare le voci quando legge e non ha mai abbandonato le storie di fantasia, anzi, semmai si è irrevocabilmente persa fra i boschi degli elfi, le caverne dei nani, i cieli delle fate e gli abissi delle sirene. Ma, secondo la sua filosofia, prima di fare ordine ci deve essere il caos e prima del sapersi orientare non si può fare a meno di perdersi. Non preoccupatevi se vi sembra strano quello che scrive... Proseguite che alla fine vi ritroverete 😉
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