Un bambino mi si avvicinò e mi porse un copricapo, una banda senza disegni né piume: “Amico?”
“Tu chi sei?”
“Amico”
Io sorrisi e gli diedi la mano: “Io sono Michael”, dissi e poggiai la mano sul cuore; “Mi-chael”, poi indicai il suo cuore; “Tu?”
Lui indicò il mio cuore: “Michael, amico”, rispose e poi poggiò a sua volta la mano sul cuore; “Piccolo Fiume, amico”
Io lo abbracciai: “Amici per sempre!”
“Piccolo Fiume?”, mi sento rinvigorito e pieno di gioia. Lo abbraccio forte e sento che, anche se è rimasto più piccolo del mio io di adesso, è sempre mio amico nonostante io l’avessi quasi completamente dimenticato.
Piccolo Fiume si sgancia da me, vedo che si asciuga una lacrima dal viso e poi si rivolge a Giglio Tigrato con poche parole e alcuni gesti contemporaneamente.
Lei scuote la testa in un primo momento, indica la parete di ghiaccio con un pugno e fra un gesto e una parola e l’altra riesco ad acchiappare un nome: “Jackie Manorossa”
“Mia sorella voleva solo salvare me e Johnnie”
Mamma inclina la testa. Il suo sguardo, a pochi centimetri dal mio, è quasi vuoto: “Di chi parli?”
“Ricordi che ti ho raccontato che Wendy ha salvato me e Johnnie dai pirati, portando Peter in una trappola?”
“Chi erano tutte quelle persone?”
“Quelle persone chi?”, chiedo disorientato.
Lei ondeggia leggermente con la testa: “Wendy… e Johnnie… ma che razza di nomi sono?”
La afferro per entrambe le spalle: “Mamma? Mamma, dimmi chi sono io”
“Il mio piccolo Michael?”, sembra un po’ confusa dalla domanda; “E cosa c’entrano i pirati da queste parti? – Con il gelo che fa dovrebbero starci i vichinghi”
“Ora no svegliamo altro caos!”, sbotta Giglio Tigrato e fa altri gesti.
Il cacciatore si rivolge a me: “Cerchiamo subito una fata per te e tua madre”
“Che ha detto, Michael?”
“Che…”, io inizio a mettermi nei panni di Wendy, la Wendy che ha descritto il signor Barrie. Quella bambina che si accorge che i fratelli non ricordano i loro veri genitori e decide così di abbandonare con loro l’Isola-che-non-c’è, per sempre.
“Michael?”
“Ora torniamo a Londra, mamma”, la rassicuro; “Sta’ tranquilla, tornerà tutto come prima”, ma non mi sento affatto tranquillo.
Piccolo Fiume si toglie la casacca, la straccia sul davanti e la porge alla mamma. Lei non ci pensa su un minuto e la indossa come una giacca: “Grazie, bambino”
Io invece poggio una mano sulla spalla ora nuda del mio amico: “E tu adesso come fai?”
“Io guerriero adesso”, risponde e sorride; “Ma anche amici per sempre”
Così usciamo: il Cacciatore Nero in coda, io e mamma davanti a lui, Giglio Tigrato in testa seguita da Piccolo Fiume.
Dopo molti passi nella neve e con i piedi ormai indolori tanto il freddo è entrato nelle ossa, decido di togliermi la curiosità: “Perché tu e Giglio Tigrato avete lo stesso simbolo in testa?”
Lui risponde prontamente: “Perché io e Giglio Tigrato di stessa famiglia e chi cresce prima, Grande Toro deciso di lasciare suo posto di grande capo”
“E… andate d’accordo, di solito?”
“Io di solito più silenzioso, lei più tigre, come nome”
“Ho studiato che gli indiani cambiano nome, con gli anni… perché voi due no?”
“Io chiesto no essere grande. Grande no significa giusto o meglio e no voglio mio nome fare paura a altri”, replica lui.
“Sei saggio”, commento ammirato. Dimostra appena un tredici anni, ma potrebbe averne anche più di me. Eppure, nonostante questo ragionamento, non posso fare a meno di essere ammirato da quello che è diventato il mio giovane amico indiano.
“Saggio tu, Cantante Dorata raccontato tu essere maestro di tuo popolo”, ribadisce lui e mi lancia uno sguardo dietro le spalle. Chissà se sorride o no. Non lo vedo da questa distanza.
“E tu essere più silenzioso di me?”, lo rimbecca Giglio Tigrato; “Ora fare silenzio davvero, tutti”
Io non mi trattengo ugualmente e bisbiglio al mio amico: “Cantante Dorata?”
“Tua sorella”
“Wendy”, capisco io e insisto; “L’hai vista? Sai dov’è?”
Lui vede, contrariamente a me, quello che ho negli occhi, la preoccupazione: “Ultima volta io visto Cantante Dorata, su nave pirata. Io lì con lei, Lepre-che-corre, Aquila Bianca e Bimbi Sperduti. Lei scomparsa”
“Cantante Dorata, Wendy, ma di chi state parlando? E poi, scomparsa? – Come se una persona normale potesse essere capace di svanire nel nulla”, commenta la mamma, la sua voce ha un qualcosa di canzonatorio.
Io decido di non risponderle. Fra la poca neve che cade attraverso le fitte corone del bosco, il più è non scivolare sul ghiaccio. La cosa più sicura è poggiare i piedi dove li mette Piccolo Fiume davanti a me. Quando ha l’impressione che un passo sia particolarmente rischioso, mi porge la mano e le poche volte che sono scivolato scopro in lui una grande forza. Ce lo vedrei davvero bene come Grande Capo degli indiani.
Mentre lo penso, il cacciatore si ferma.
Mamma mi afferra la manica: “Ehi, non continuava il viaggio con noi?”
“Non penso, il nascondiglio di Peter e la Città delle Fate sono due posti segreti” – e questo da dove diamine l’ho scoperto? Immagino da James Barrie o dalle sfuriate di Wendy con zia Maggie quando diceva che il Peter Pan descritto in teatro era un falso.
Il Cacciatore indica qualcosa appesa ad un albero morto e molto alto. “C’est le capitain!” (E’ il capitano!)
Mi avvicino cautamente, lasciandomi guidare dalla mamma che apparentemente si fida di più dell’uomo senza passato con il quale lei non può comunicare affatto che dei due indiani. E’ lo scheletro di un uomo impiccato che stiamo fissando in tre. La mamma, appena lo realizza, lancia un urlo spaventato e si nasconde dietro di me.
“Ma se il capitano stava a Londra solo ieri?”, guardo nella direzione di Piccolo Fiume, disorientato.
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