Sentiva il suo respiro un po’ affannoso per la corsa, si impose di rallentare la sua andatura per aspettarla. Non voleva per nulla al mondo metterla in pericolo, eppure tutte le sue proteste erano state vane.
Rose correva, un paio di passi più indietro, fra lui e Feal’d, uno piccolo gruppo con la giusta agilità che avrebbe eluso tutta la sorveglianza e liberato l’imperatore Amidel Gel’dead. Tutto ciò che serviva per la riuscita della missione: un piccolo gruppo ed un buon piano, quello che Anieal aveva aiutato a creare o quasi del tutto ideato.
Fu proprio per le idee di quel ragazzetto che si ritrovava ad addentrarsi in quella maledetta fogna dall’odore nauseabondo, le pareti strette e il suolo scivoloso.
Si lanciò un’occhiata alle sue spalle Rose gli sorrise e lui non la ricambiò.
Maledetta fogna e maledetta ragazza…
Jareth era stato cristallino. Al sentir parlare di fogne si era tirato indietro. Aveva detto che ci teneva al suo tanfo naturale e non lo avrebbe per nulla al mondo coperto con quello della merda che avrebbero ritrovato lì sotto.
In effetti, in alcuni punti, il piccolo rigagnolo di liquido puzzolente nel quale stavano allegramente correndo e sguazzando, lasciava il posto a una sostanza più compatta ed appiccicosa, ma Callin impegnava tutta la sua forza di volontà a non indagare con lo sguardo. Anche se era buio, lui avrebbe visto perfettamente di quale lerciume si trattasse ed a tutto c’era un limite.
Feal’d accanto a lui era impassibile, teneva il passo senza ansimare. Una piccola sferetta luminosa fluttuava avanti a lui di qualche metro, ma la sua luce non riusciva a raggiungere il pavimento. Serviva in realtà solo a tenere il tempo e forse per evitare di andare a sbattere nelle macerie di qualche galleria crollata o in una parete non prevista dalla planimetria.
Con il giovane Ainiel avevano studiato la mappa della rete fognaria che si era procurato ed avevano memorizzato il percorso che li avrebbe portati a passare proprio sotto il castello di Arphos.
In realtà, quello che poteva sembrare un opportuno colpo di fortuna, non lo era affatto. La fogne furono in origine costruite per poter servire proprio il castello e tutta la corte che vi abitava in pianta stabile. Erano poi state estese a coprire il resto della città.
I tre erano entrati molto lontano, da un punto di accesso accanto alla cinta muraria esterna, mandando a farsi benedire il piano che avevano studiato con Jareth, quello che prevedeva l’uso di un carico di legname. Forse anche per quello il gigante si era tirato indietro, offeso per la mancanza di fiducia nella sua idea. Il punto non era la fiducia, ma il tempo. Non potevano sapere quanto tempo ci avrebbe impiegato il carico di legname ad arrivare né quanti altri giorni avrebbero tenuto l’imperatore prigioniero prima di giustiziarlo.
Quello era il motivo per cui stavano correndo nella melma da quasi un’ora quando finalmente raggiunsero la loro meta: una parete di una galleria perfettamente identica a tante altre che avevano già superato.
– È questo il posto? – chiese Rose ansimando vistosamente.
– Lo è – Feal’d era sempre di poche parole. Non si era nemmeno guardato attorno ed aveva l’aria di uno che aveva contato con esattezza tutte le curve e le pietre sul muro per essere certo di quello che diceva.
La cosa sconvolgente era che anche Callin lo aveva fatto ed era sicuro allo stesso modo.
Per garantire a se stesso la massima concentrazione, aveva preso il tutto come uno dei suoi colpi e la cosa lo faceva ridere tra sé e sé.
Io non rubo le persone aveva detto a Morel tanto tempo prima, eppure in quel preciso momento cosa stava facendo se non rubare l’imperatore all’accademia ed alla sua stessa morte?
Il giovane si concedette un attimo per ripensare a quanto le due situazioni fossero diverse tra loro.
La luce di Feal’d era quasi del tutto esaurita. Significava che erano in quella fogna da quasi un’ora e che, se Ainiel aveva fatto bene i suoi conti, la stanza del castello che si trovava dietro quella parete sarebbe stata vuota.
Riflettendoci in quel momento, entrare nel castello attraverso il muro di uno degli alloggi delle guardie gli sembrava la più grande pazzia che avessero mai ideato, ma il giovane alchimista era stato molto convincente. A mezzanotte c’era il cambio del turno di guardia, le sentinelle riposate lasciavano quella stanza per sostituire quelle stanche ed insonnolite che si trovavano ai cancelli e sui bastioni della cinta interna.
Purtroppo quella era l’unica stanza sotterranea che condivideva una parete con le gallerie delle fogne. Anticipare o ritardare i tempi, significava finire in una stanza piena zeppa di guardie che, sebbene colte di sorpresa, avrebbero potuto fare abbastanza baccano prima di essere tutte passate a fil di spada.
La fiammella di Feal’d si spense in una piccola voluta di fumo.
Callin guardò Rose, lo sguardo determinato rivolto verso di lui, anche se lei, al buio, non poteva vederlo. Poi la ragazza si avvicinò alla parete e vi poggiò le mani.
– Maestro Feal’d, siete pronto? – chiese.
– Ovviamente.
Callin scosse la testa. Poi davano a lui dell’arrogante.
I due alchimisti aprirono lentamente la parete come se vi fossero due ante di pietra già belle e scolpite. Callin balzò all’interno, spada nella destra, pugnale nella sinistra. La sala era deserta. Ainiel aveva ragione, di nuovo.
– Presto! Dentro!
Rose e Feal’d entrarono e richiusero dietro di loro la porta di pietra che sparì sigillando la parete. Non sarebbe stata quella la loro via d’uscita in ogni caso.
Mentre i due completavano l’opera, il ladro era già alla porta e stava perlustrando con lo sguardo il corridoio. Le lampade ad olio erano appese a breve distanza ed era tutto perfettamente illuminato ma, come previsto, non vi erano soldati a portata d’occhio o d’orecchio.
Rose e Feal’d si avvicinarono. Callin li squadrò e vide che avevano già ripulito dal lerciume l’orlo delle loro tuniche. Sembrano appena lavate ed asciugate.
– Qui ci dividiamo – annunciò – io vado a cercare l’imperatore, voi due raggiungete l’aeronave.
Il piano era quello, ma poté comunque leggere sul volto di Rose l’apprensione al pensiero che si addentrasse da solo nell’ala di detenzione.
Lui le rispose con uno sguardo preoccupato per lei, che avrebbe dovuto rubare l’ammiraglia della flotta accademica, non da sola, ma con l’unico appoggio da parte di Feal’d contro chissà quanti soldati ed alchimisti.
– Non preoccuparti – gli disse proprio il maestro in rosso – Abbiamo le nostre tuniche e mi conoscono tutti. Nessuno ci sbarrerà il passo almeno finché non faremo qualcosa di tremendamente stupido.
Poggiò una delle sue enormi mani sulla spalla della ragazza ed il colore rosso si diffuse rapidamente per tutta la lunghezza trasformandola nella copia femminile di Ainiel.
La ragazza si guardò perplessa e poi rivolse un’occhiataccia al maestro. Quando avevano concordato il piano era stata intransigente su di un punto: non avrebbe cambiato il colore della tunica.
– Chiedo scusa, giovane alchimista – non c’era tono nella voce di Feal’d – quando tutto sarà finito avrai la tua occasione di pareggiare questo affronto ma, ora, non abbiamo tempo per lasciare spazio all’orgoglio ed al rispetto. Nemmeno per quello che un allievo deve tenere verso il suo maestro.
– Andate – fu Callin ad interrompere la ragazza che era intenta a sfoggiare il suo sguardo peggiore. Poi si voltò e partì di corsa verso la fine del corridoio. Se avesse indugiato ancora, non l’avrebbe fatta andare da sola.
La sfortuna aveva fatto in modo che le segrete fossero allo stesso livello dove erano entrati, ma dalla parte opposta del castello. Di contro però la torre alla quale era ormeggiata la fortezza fluttuante che avevano deciso di rubare era esattamente sopra alla stanza dormitorio che avevano usato per accedere al palazzo. Rose e Feal’d, almeno, non avrebbero dovuto compiere molta strada per raggiungere la loro meta.
Alla fine del corridoio, Callin, entrò in una porta di legno che era aperta. Altro non era che una piccola armeria, ma le rastrelliere erano piene di armi visibilmente in cattivo stato. Si nascose dietro lo stipite della porta ed attese che una quindicina di soldati sfilasse nel corridoio per raggiungere proprio la stanza dalla quale erano entrati.
Quando lo sferragliare delle armature delle guardie si affievolì, mise la testa fuori e scorse un soldato in piedi all’intersezione seguente. Da lì in avanti ce ne sarebbe stato uno ad ogni incrocio ed almeno quattro, a coppie di due a presidiare le porte dell’ala di detenzione.
Calcolò tempi e distanze, la planimetria del castello stampata nella mente. Ogni soldato che presidiava gli incroci tra i corridoi era sistemato in una alcova che, sebbene impedisse a chiunque si trovasse sui lati di guardarvi dentro, era posizionata in modo che ci fosse sempre almeno un commilitone a sorvergliare chi abbandonava il proprio posto. Di contro, quindi, Callin sapeva di non poter attirare fuori dalla propria alcova i soldati senza insospettire i compagni.
Doveva agire con una sola manovra fluida e rapida. Un solo errore avrebbe potuto farlo scoprire e, purtroppo per loro, quei soldati sarebbero dovuti morire tutti. Uscì di corsa dalla piccola armeria puntanto direttamente alla prima guardia. Erano venti metri circa, ma la sua velocità superiore gli permise di coprirli in un attimo.
Lesse la sorpresa sul volto del soldato e, estraendo dalla fascia di cuoio che teneva sul petto un piccolo pugnale, prese la mira. Fu un unico movimento tra l’estrarre l’arma ed il lanciarla. Si conficcò nella gola dell’uomo che soffocò nel suo stesso sangue. Non riuscì nemmeno ad urlare ma il rumore metallico delle ginocchiere che impattavano col pavimento allertarono il primo dei suoi colleghi, appostato nell’alcova in fondo al bivio a destra. Mentre il corpo cadeva riverso in avanti, Callin era spuntato di corsa e nell’istante stesso in cui vide il secondo soldato muovere il primo passo per raggiungere l’amico caduto lanciò un altro pugnale che andò a segno.
Anche la seconda guardia cadde tenendosi il collo, ma ormai era uscita dall’alcova e quindi quello che era incaricato di controllarlo lo aveva visto morire.
Come Callin si aspettava, qualcuno gridò una curva più avanti attirando l’attenzione. Il ragazzo distinse i passi di tre uomini che accorrevano verso il secondo morto. Tirò un sospiro di sollievo. Erano tutti quelli che si aspettava, nessuno in più, nessuno in meno. Si preparò dietro l’angolo e quando il più vicino di essi fu a portata, balzò fuori e lo impalò sulla sua spada sfruttando il suo slancio. Gli altri due imprecarono e si prepararono a combattere.
Il ragazzo balzò, più in alto di qualunque uomo normale ed atterrò dalla parte opposta dei due uomini. Uno cadde prima che Callin toccasse terra. L’altro rimase a intontito a spostare lo sguardo tra il giovane e l’amico che moriva. Perse un attimo di troppo e raggiunse il collega un secondo dopo.
Callin riprese a correre, ora che aveva la via libera ma, svoltato l’ultimo angolo si bloccò. Un lampo attraversò la sua mente e seppe che Rose e Feal’d avevano iniziato la loro battaglia. Sentì il pericolo condensarsi sulla testa della ragazza, come una nube nera che lentamente si prepara ad abbattere pioggia e fulmini su chi non ha riparo.
Dovette dare fondo a tutta la sua forza di volontà per non voltarsi ed andare ad aiutare la ragazza. Solo il pensiero che lei non gliel’avrebbe mai perdonato, riuscì a spingerlo ad andare avanti, così da completare la missione.
Arrivò alle prigioni al massimo della velocità che poteva richiedere al suo corpo.
Quattro uomini, come previsto presidiavano la stanza antistante. Callin entrò armi in pugno senza preoccuparsi di nulla. I primi due erano già morti prima ancora di accorgersi di lui con un pugnale conficcato nella gola. Il terzo cadde dalla sedia e mentre cercava di rialzarsi, il giovane gli piombò addosso trafiggendolo con la spada. Il quarto urlò con quanto fiato aveva in corpo, ma ormai non c’era più nessuno fuori in grado di sentirlo. Callin lo caricò e dopo due colpi che la guardia parò con fatica, riuscì ad abbatterlo con un fendente dal basso verso l’alto.
Sfondò la porta della sala interna con un calcio e vide decine di anonime celle, file di sbarre arrugginite tutte uguali, erano situate al lato di un corridoio angusto e in penombra. Imprecò tra sé, voleva aiutare Rose ed in quel momento stava perdendo minuti preziosi.
Si ricordò però di un particolare molto importante: l’imperatore era per metà Keelihn. Cercò l’essenza del suo essere e si fiondò per il lungo corridoio, sapendo già dove fermarsi.
– Ehi fulmine cerchi me? Alt, stop o mi sorpasserai.
Callin puntò i suoi occhi sulla figura che aveva appena pronunciato quelle parole con voce forte e ricca. Un uomo alto e muscoloso era aggancianto alla parete, sorretto da spesse catene che gli legavano braccia, gambe e busto, costringendolo a stare in piedi in quella posizione innaturale.
Il ragazzo con un solo sguardo poté immaginare tutte le torture che gli erano state inflitte, poiché molte ferite erano ancora fresche ed altre si stavano rimarginando male. I lividi e le ecchimosi parlavano, invece, delle percosse ricevute. Solo il viso attraente era rimasto illeso.
– Sì, sì certo il volto, quello serve per quando mi impiccheranno. Così tutti saranno sicuri che si tratti proprio di me.
– Interessante – rispose Callin, mentre raccoglieva la concetrazione per materializzare tutte le barriere alchemiche della cella.
Improvvisamente luci multicolore si accesero su di ogni catena portata dell’imperatore e sul chiavistello.
– Bastardi.
– Oh, si, si mi hanno rinchiuso per bene.
– E sta’ un po’ zitto – lo rimbeccò il ladro stizzito.
Amidal socchiuse gli occhi rabbuiandosi, fissò il ladro muto, che distolse per primo lo sguardo.
– Non aspettarti delle scuse, abbiamo fretta.
– Hai qualcosa che ti preoccupa, qualcosa altro oltre a liberarmi ti fa smaniare – lo interruppe il prigioniero sovrapensiero.
– So fare anche io questo gioco, tu vuoi uscire da qui e farla pagare a tutti quelli che ti hanno fatto questo, la tua rabbia è urlata con la forza di mille voci. – Callin lo disse senza guardarlo, la testa abbassata per aprire la serratura.
– Interessante – disse Amidel imitando lo stesso tono che il ladro aveva usato poco prima.
Un sonoro tac annunciò che la prima serratura, e quindi la porta della cella, era stata aperta, nello stesso momento una delle aure alchemiche sparì. Ne rimanevano cinque.
Fulmineo Callin iniziò ad armeggiare con la serratura del braccio destro di Amidel.
– Queste barriere sono diverse.
– Sì, più forti! Quel bastardo del decano le ha create personalmente col suo sigillo – asserì Amidel.
– Non credo che possa forzarle, servirebbero conoscenze superiori.
– C’è un altra modo, mezzo Keelihn. Chiediamo aiuto alla Terra.
– Insieme valiamo quanto un solo Keelihn e tu pensi che la Terra ci ascolterà? Sei pazzo.
– Hai un’idea migliore? Vuoi chiedere ad un altro dei Grandi?
Callin fissò Amidel, scrutandolo, cercando un segno di incertezza, un minimo dubbio nel volto dell’imperatore, qualcosa che gli impedisse di prendere in seria considerazione quell’idea estrema: non c’era titubanza sul viso dell’altro.
Annuì rassegnato, poi ognuno cercò l’anima dell’altro, il suo essere. L’essenza di Amidel era fuoco rosso che bruciava vivido di rabbia, il ladro impiegò del tempo per ammansirla e spingerlo a legarsi alla sua, alla fine vi riuscì.
Le due essenze coraggiose e pure pregarono come un essere solo, chiesero alla Terra, le implorarono di sciogliere quelle catene.
– Per Rose e per il regno, per gli uomini che ami tanto – gridarono come una sola persona.
Il Grande si destò ed era adirato, i due lo capirono immediatamente, poterono sentirlo chiaramente dal modo in cui il pavimentò tremò e da come li aveva avvolti con la sua essenza, tuttavia loro non desistettero.
– Per amore…
La Terra la quale macina ingoiando i resti dei morti, era costretta a fagocitare il proprio popolo, conosceva ogni sfaccettatura dell’amore che così tanto le faceva dolore ad ogni morso. Come poteva essere sorda alla loro preghiera?
Sapevano che sarebbe stata ancora più sola alla loro morte, se li avesse ascoltati. Lo compresero dal modo in cui lei gridò, assordante e immensamente triste.
Il Grande li lasciò improvvisamente e i due tornarono in loro. Le catene si erano sbriciolate. Amidel era libero e cadette in ginocchio incapace di reggersi da solo, subito Callin gli fu accanto per sorreggerlo.
A fatica uscirono dalla cella, una volta nel corridoio il ladro si impose di pazientare e caricarsi quanto più poteva del peso dell’imperatore in modo da procedere maggiormente spediti.
Tuttavia camminavano a rilento e il ragazzo sarebbe voluto essere già da Rose.
– Ho paura che lei muoia – esplose Callin nel silenzio dei loro passi. Lo disse guardando avanti, non incrociando lo sguardo dell’altro, quasi vergognandosi di quella confidenza fatta ad uno sconosciuto.
Amidel sorrise osservando il ragazzo che lo sorreggeva, un mezzo sangue come lui, sapeva per
esperienza che ognuno di loro era un uomo solo. Aveva letto nel suo animo color azzurro cielo quanta tristezza aveva sopportato. Fu per quello che impose alle sue gambe di andare più veloce, facendo leva su tutta la sua volontà, cercando smaniosamente nelle sue riserve di energia.
La ragazza doveva essere salvata.
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