Alla fine del racconto Jamie mi sembra pensoso: “Robin non sta bene, da quando te ne sei andata”
“Come?”
“Tossisce, sembrano attacchi asmatici e peggio, di tubercolosi, ma i medici affermano tutti la stessa cosa – che è sano come un pesce”, Jamie fa spallucce.
Io ragiono un attimo e d’un tratto la simpatia verso Robin, la complicità che avevamo avuto, tutto ha senso. Ero talmente arrabbiata con Jamie il giorno del debutto di Peter Pan, che mi ero liberata di tutta la fantasia e tutte le paure che avevo mangiato. Mi sentivo come pronta ad una guerra aperta contro Jamie, meno male che mia zia mi aveva portata subito via dal teatro.
Quel giorno a Robin ho dato la polvere di fata necessaria per parlare come le fate. Ricciolo mi ha raccontato delle sue avventure con Peter nel teatro, che credevano fosse Campanellino a parlare e invece era lui. E’ stata una conseguenza di quel giorno.
Per una qualsiasi ragione la polvere fatata di cui mi liberai quel giorno si era attaccata a Robin e per questo balbettava. Era un effetto negativo della troppa polvere.
E nelle ultime settimane che ci siamo conosciuti io gli ho mangiato la polvere di fata fino a farlo di nuovo parlare – ma il suo corpo reagiva come alla sottrazione di una droga.
Spiego quello che ho capito anche a Jamie e mi alzo: “Devo vedere Robin, devo ridargli la sua polvere e poi dirgli addio, o finisce male, proprio come Peter”
“E’ notte fonda, Wendy. Resta qui a dormire, al sicuro, e domattina andiamo insieme all’ospedale”, mi costringe lui a ragionare e allunga una mano verso di me. Si ferma a metà del gesto.
“No, se vuoi scrivere non rischierei”, dichiaro, interpretando bene il suo movimento sospeso.
Lui ritira definitivamente la mano e si alza, mi fa segno di seguirlo: “Ho fatto preparare una stanza, anche se non mi aspettavo che tu arrivassi davvero… dopo quello che mi avevi detto”
“Neppure io mi aspettavo di dovermi trattenere così poco”, sostengo.
Lui mi fa un sorriso, cerca di alleggerire la tensione mentre saliamo le scale: “Come si dice… l’uomo propone e Dio dispone”
“Alla faccia del disporre”, commento io e cerco di immaginare adesso il mio futuro. Prima pensavo di tornare a casa e riprendere una vita senza più ombre del passato che mi perseguitavano – adesso però va rivalutato tutto: Peter forse mi darà la caccia, forse… forse inizierà a dare la caccia anche a Red, Tamburello e Fortunato! Ricciolo ha detto che sono tornati sulla Terra per crescere! E se fossero anche loro mangiatori? – Sento la paura appesantirmi il cuore.
“Jamie?”, chiedo con un filo di voce quando entro nella camera. Mi appoggio alla porta socchiusa; “E’ possibile fare una ricerca fra i trovatelli degli ultimi dieci anni?”
“Come?”
Fisso il pavimento. E’ una sensazione strana. Assomiglia alla sensazione che avevo avuto da bambina la sera in cui Johnnie e Mike erano stati rapiti e Ricciolo all’inizio aveva mentito. Prima che il capitano mi minacciasse. “Un sesto senso”, taglio corto; “Robin forse non è l’unico in pericolo”
“Sappiamo almeno i nomi?”
“No, ma credo siano un fenomeno. Non sapevano quanti anni hanno, si chiamavano Fortunato, Tamburello e Red, vestiti con abiti da indiani nel bel mezzo di Londra… o almeno teoricamente nel bel mezzo di Londra”
“Forse di un Tamburello ho sentito parlare in un orfanotrofio”, dichiara Jamie e mi punta il dito contro, ma non per accusa, più come se indicasse un vago ricordo; “Possiamo occuparcene domattina, quando avremo finito con Robin”
Annuisco, rincuorata dall’idea che abbiamo una direzione da prendere: “Grazie di tutto, Jamie”
Lui non risponde, mi augura buona notte e prosegue verso la sua stanza. L’ultima cosa che penso di avergli letto negli occhi è una certa perplessità. Forse ha anche paura, nei miei confronti.
Chiudo la porta, vado alla finestra, la apro e lancio appena un’occhiata alle fitte nubi che coprono il cielo. Non mi fermo a guardare fuori perché mi accorgo presto di non vederci bene, faccio fatica a vedere i dettagli delle lanterne e la cosa mi dà fastidio. Sicuramente è la stanchezza.
Torno sul letto e mi ci sdraio sopra, senza cambiarmi e senza fare più altro. Il sonno non tarda a coprirmi con il suo dolce manto.
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