Peter si gira di scatto e mi punta contro il pugnale. Il suo volto è quasi irriconoscibile fra la rabbia e il non voler capire. La sua mano sulla spalla non è amichevole. “E tu, Ricciolo, di cosa hai paura?”
Eila tintinna e si posa sulla mano di Peter, lui però non si fa distrarre e ad un certo punto le dà un ordine: “Vattene con Trilli”
Eila mi lancia un ultimo sguardo, la sua luce è blu scuro come la tristezza e sparisce presto dalla mia vista che è fissata sul volto del mio migliore amico.
“Allora, Ricciolo”, mi fa lui; “Stavamo dicendo… di cos’hai paura?”
“Solo di perderti, Peter Pan”, rispondo con il cuore in mano. La punta della lama si poggia sul mio petto e sento che sta per scadere il mio tempo. Non so se semplicemente scade il tempo dell’ascolto oppure fra poco mi uccide. Mi auguro non ancora la seconda. Ne ho viste di tutti i colori, sarebbe il colmo morire così.
Lui mi afferra per il collo e ci solleviamo da terra: “Tu lo sapevi?”
Prendo istintivamente i polsi di Peter per respirare meglio. Confermo: “Sì”
Sbatto la schiena contro il tronco di un albero: “Perché non me l’hai detto?”, urla lui, il viso rosso per la rabbia; “Perché mi hai tradito?”
“Non volevo farti male”, replico; “Tu vuoi bene a Wendy”
Lui molla la presa d’un tratto e io cado.
***
“Ahiai, Ombra, hai voluto giocare pesante, eh?”, commenta una voce dal suono anziano; “Puoi sopravvivere all’ira della fantasia e della paura, ma guardati bene da quella delle fate”
“Che significa?”
“Quello che ho detto”, risponde la vecchia. Ora che la guardo… è così strana. Ha la pelle giallastra, gli occhi distanti a mandorla, capelli neri e raccolti e tante rughe che potrebbe fare a gara con Saggio Corvo. “Hai sentito ticchettare l’orologio, stavolta, non è così?”
“Orologio?”, ripeto confuso e salto in piedi, ma non riesco a starci a lungo, mi gira la testa e cado a terra, la vista di nuovo appannata; “Peter! Devo trovare Peter!”
“Sì, tranquillo, il pazzo è qui nei dintorni a cantare le sue arie”, replica lei e mi prende un braccio per passarselo attorno alle sue spalle. E’ una donna molto bassa – oppure Wendy è una donna alta.
Peter arriva svolazzando come se stesse sdraiato sull’aria: “Dormito bene?”
Non lo contraddico sulla scelta delle parole: “Sì, mi ci voleva”, lentamente distinguo di nuovo quello che ho attorno a me, ma sento di dovermi appoggiare ancora alla donna piccola. Le sue mani ruvide non mi piacciono per niente. “Quindi lei è Orchidea?”
“Ultimamente l’ho vista qui vicino”, dichiara Peter per confermare; “Sapevo dove cercarla”
“Non sapevi però dove abita, o sì?”, mi incuriosisco.
La donna interviene: “Se potevo evitarmi le vostre inutili chiacchiere, state certi che avevo la capacità di prevederlo e di andarmene il più lontano possibile”
“Assolutamente adorabile, la signora”, commento, usando le parole di Wendy. Quando non diceva quello che pensava davvero, rispondeva proprio con quel tono di voce di qualcuno che ti prende in giro.
“Già, crescere l’ha proprio sciupata”, Peter ha colto al volo cosa volevo dire davvero.
“Lo prenderò come un complimento, bamboccio”, risponde la donna.
Io decido che, siccome ci servono le risposte di Orchidea, è il caso di quietare gli animi: “Allora, Peter? Sapevi dove abita?”
“Non lo sa nessuno”, risponde la vecchia arpia.
Peter ride, schizzandole davanti agli occhi: “Se sapevo tutto su tutti e per tutti i tempi, sarei diventato brutto e antipatico come te”
“Ovviamente”, mi lascio sfuggire un sorriso.
La vecchia sospira e scuote la testa. Mi rendo conto che non ha mai aperto bocca, eppure ha parlato, so di aver sentito la sua voce. E’ assurdo! – Poi decido di non porre la domanda, forse la risposta è solo un altro dei miei ricordi rimasti sotto terra. Mi toccherà tirare fuori la pala per tenere il passo con tutto quanto.
“Avete portato una gran bella Tempesta sull’Isola, eh?”
“Il cielo è chiaro”, ribadisce Peter e schizza sopra le corone degli alberi. Torna giù in un attimo: “C’è il sole, ho contato solo tre nuvole”
“Lo so, inutile sbruffone!”, lo riprende Orchidea decisa e fra gli alberi compare una casa che si presenta all’inizio come la tana di una volpe. Poi, mentre entriamo, una volta dentro si trasforma in una casa elegante e terribilmente in ordine. La cosa che salta all’occhio è il basso tavolo quadrato al centro della stanza perfettamente rettangolare, fiancheggiato dai cuscini. Su un lato c’è una cucina a legno pulita e linda come se fosse appena passata Wendy, dall’altro lato un materasso con cuscini coloratissimi dappertutto e delle coperte piegate ai piedi del letto.
La vecchia mi indica il tavolino: “Siediti, Ombra”
“Mi chiamo Ricciolo”
“Raymond Woodglass, per l’esattezza”, mi corregge lei.
E da dove lo sai?, mi domando.
Peter scoppia a ridere e punta il dito contro di me: “Che nome buffo! Raymond!”, ripete e fa un inchino; “Signor Woodglass! – Santi numi, per fortuna che non cresci!”
Rido anch’io. Finché Peter sorride, è tutto a posto. O si sistemerà tutto.
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