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Capitolo 23 – Cause di forza maggiore

Non si aspettava la sua visita o forse sì, se gliel’avessero chiesto, non avrebbe saputo rispondere. Si voltò verso l’ingresso della tenda mentre entrava.
Il tempo era stato clemente con lei, il suo corpo era ancora minuto e aggraziato, ma i capelli neri erano più corti di vent’anni prima, il blu degli occhi più distante e triste.
– Alette Van Rothen, l’ora delle visite è passato da un pezzo…
– Non apostrofarmi come una bambina e poi non uso più quel patronimico da anni! – rispose piccata ancora con un piede fuori, poi gli voltò le spalle mormorando – non sarei dovuta venire.
– Resta – gli ordinò lui senza nessuna gentilezza nella voce.
Lei si girò lentamente ed attese qualche secondo prima di rientrare rimanendo in piedi di fronte a lui, sfidandolo con lo sguardo. L’alchimista, come tanto tempo prima, non seppe mentire a quegli occhi. Si arrese, mitigò lo sguardo e parlò con semplicità.
– Sono contento che tu sia viva – l’emozione era cristallina nella sua voce.
La vide spalancare le palpebre e inspirare con forza, muta di fronte a tanta sincerità, disarmata.
– Vincent, io….
– No, Alette a te non dispiace veramente! – la interruppe.
– Che ne sai tu?
– Ho già i miei di rimpianti Alette, non voglio anche i tuoi – aveva alzato il tono di voce, fece per ricomporsi, ma la rabbia ebbe la meglio – Non pretendere che condivida la tua scelta, hai lasciato che i miei errori, fossero solo miei, l’illiar, la fuga, tutto Alette. Ho preso sulle mie spalle tutte le conseguenze dei miei errori, senza lamentarmi e senza dire che mi dispiace. Non essere così banale. Rifaresti la tua scelta e io non voglio sentire parlare del passato.
Aveva parlato di getto, senza riprendere fiato. Si fermò, continuando a guardarla, prima di concludere.
– Sono contento, come un idiota, di saperti viva e in salute, se vuoi fai altrettanto o maledicimi, ma non alleverò le tue colpe!
L’ultima frase avrebbe rischiato di svegliare tutto il villaggio per quanto stava urlando, ma intorno a loro l’ambiente era insonorizzato. Senza neanche pensarci avevano creato, in sincronia, una bolla di isolamento appena lei era entrata. Farci caso solo in quel momento contribuì solamente ad alimentare la sua rabbia.
– Non ci riesco ad essere contenta… – svelò lei a mezza voce.
Lui la guardò incapace di mascherare la tristezza, lei incurante continuò ma evitava il suo sguardo.
– Come posso gioire, come… quando … la tua sola presenza… – non seppe andare avanti perché i primi singhiozzi le spezzarono il fiato.
L’alchimista poco distante si limitava a fissarla, sapeva cosa voleva dire, ma quello era un problema suo.
– Perché sei venuta? – le chiese quando si fu calmata abbastanza, il viso un po’ più asciutto.
– Sai anche questo, vero Vincent? Lo intuisci e mi provochi.
– Alette sono stanco, davvero stanco… – le disse, con voce sofferente.
Gli occhi della donna si alzarono sul suo viso e si tinsero di un’infinita tenerezza. La carezza che seguì Vincent quasi non la sentì, perso nel suo sguardo.
Aveva sofferto molto la sua Alette.
Con un sospiro le prese la mano e la strinse per un solo attimo, poi i vent’anni che li separavano pretesero nuovamente e violentemente il loro spazio tra di loro.
L’uomo recuperò tutta la sua compostezza e la invitò a sedersi.
Quando furono entrambi accomodati, rimasero diversi secondi muti. Il silenzio era troppo affollato di rimpianti e rimorsi per poter contenere anche le parole. Poi, come sempre tra loro, fu Vincent a condurre la prossima mossa di un gioco lungo quanto la loro vita.
– Forza Alette, porgimi la domanda per cui sei venuta…

~~~~~

Si scostò solo molto dopo, quando il suo profumo lo aveva sulla pelle, intrufolato ben bene nelle narici.
La guardò attraverso i suoi occhi ormai dello stesso colore del mare, si soffermò sui suoi contorni sfocati e avrebbe voluto conoscere il suo sguardo. Sentiva che non era spaventata, ma avrebbe voluto scorgerlo, non fidarsi dei suoi sensi da Keelihn. Quella parte così distante da lei e che in quel momento rischiava di prendere il sopravvento.
Si scostò ancora un po’, tuttavia sentì le sue braccia ghermirlo e accarezzalo prima ancora che riuscisse a muovere un passo.
Avrebbe potuto scostarsi molto più velocemente di quanto lei sarebbe riuscita solo percepire, ma la realtà era che non voleva allontanasi da Rose.
Nonostante lo strazio negli occhi di Fielia fosse ancora così vivido nella sua mente, nonostante intuisse che i prossimi raggi di Sole li avrebbero scoperti colpevoli e distanti, nonostante sapesse che a muovere i loro gesti non era amore, almeno non ancora, Callin non seppe fermarsi, assecondando i suoi desideri e quelli della ragazza ormai distesa sotto di lui.
Sentì la sabbia calda e il Mare bagnargli i piedi poi ognuno dei suoi sensi furono catturati da Rose e si dimenticò di dolore o rabbia, lasciando la frenesia a guidare i suoi gesti.

~~~~~

Callin si sbagliava, la mattina seguente il sole li trovò addormentati abbracciati.
Rose si svegliò prima di lui, muovendosi tra le sue braccia, si divincolò con estrema delicatezza per non svegliarlo.
Silenziosa recuperò i suoi vestiti e li indossò, poi pensierosa si sedette accanto al ragazzo.
Lo guardò approvandone la bellezza, con un bizzarro distacco, costringendosi a non intenerirsi per l’aria indifesa che lui aveva mentre era addormentato.
Come era strano quel momento. Quando esattamente aveva smesso di comportarsi da persona sana di mente? Non lo sapeva.
Una situazione già complicata non aveva bisogno di essere ancora più ingarbugliata e lei invece cosa faceva? Si divertiva con uno che aveva la scritta GUAI tatuata su tutto il corpo, che bel corpo.
Si alzò in piedi di scatto, dirigendosi verso il mare, stizzita con se stessa perché i flash della notte trascorsa le inondavano i pensieri, facendola arrossire e intenerire.
Mise i piedi ammollo e si concentrò su di essi, apparivano così strani attraverso quell’acqua multicolore.
Chissà come era il suo corpo attraverso gli occhi liquidi di lui?
– Bellissimo – la voce arrivò roca dalla spiaggia, lei si voltò di scatto incontrando gli occhi verdi e languidi di lui.
– Sai leggere anche il pensiero ora, Callin-Micio?
Callin rise di cuore, quando si calmò la guardò di sottecchi sorridendo.
– I tuoi artigli sono di nuovo affilati – constatò il ragazzo mettendosi seduto – non far sentire al villaggio questo titolo, potrebbero ucciderti sul posto.
La fissò a lungo esplorando ogni centimetro del suo corpo che, nonostante i vestiti era comunque in gran parte scoperto.
– Per rispondere alla tua domanda, no. Sento però le emozioni che provi, Rose, ma non con la tua stessa intensità e non sempre. Non succede con tutte le persone, solo quando si è particolarmente legati – fece una lunga pausa, ricca di sottintesi, poi riprese – e se ben ricordo siamo stati molto legati ultimamente!
– Non abituartici – gli ringhiò contro.
Se lo trovò accanto senza preavviso, il suo viso vicinissimo, le sorrise furbamente prima di baciarla con trasporto, il suo corpo reagì istintivamente e lei ricambiò il bacio.
– Dicevi? – le sussurrò all’orecchio.
La ragazza lo guardò con risentimento prima di scostarsi in modo brusco.
Idiota, pensò tra sé, prima di dirigersi all’imboccatura che l’avrebbe riportata al villaggio.
Quando si voltò per vedere se lui la seguiva, capì che il suo cervello aveva intrapreso un viaggio, senza informarla, in cui lei non era invitata.
– Arrivo – le disse, mentre si gettava indosso gli abiti alla rinfusa, e le rivolse un sorriso, questa volta gentile, il volto però era un po’ imbronciato.
Il tragitto di ritorno fu silenzioso, ognuno impegnato a non rompere un delicato equilibrio e incosapevole di ciò che avrebbe voluto dall’altro.
Fuori dall’insenatura Callin la aiutò a riazalsi, poi pulì la polvere dalle gambe della ragazza con gesti delicati e impersonali. Lei quasi senza accorgersene fece lo stesso coi suoi capelli risistemandoglieli mentre lui era abbassato.
– Ora sei presentabile Callin-Micio! – gli disse quando si fu rialzato.
Il ladro le sorrise senza rispondere, poi si incamminò verso il villaggio, Rose gli si affiancò e lui le prese la mano.
La ragazza non seppe se essere contenta per quel contatto o averne paura.

~~~~~

Doveva fare in fretta. Aveva perso troppo tempo per attraversare il lago Tibal a bordo di quella dannata bagnarola che in città si ostinavano a chiamare traghetto.
È colpa del nuovo motore a vapore, dicevano. Volevano darla a bere proprio a lui, che fino a cinque anni prima di imbarcazioni ne comandava non una, ma ben sei. Non avevano il nuovissimo motore, ultimo ritrovato tecnologico, ma almeno non si impantanavano a metà del viaggio per un guasto.
Era partito con solo un giorno di ritardo, ma ne aveva accumulato un altro tra i problemi tecnici con la bagnarola e l’impossibilità di conoscere l’esatta ubicazione del villaggio Keelihn.
– Dannati nomadi! – imprecò tra sé.
Era cosciente che anni prima, se non fosse stato per quei nomadi lontani parenti dei gatti o di chissà quale maledetto felino, sarebbe morto, ma a parte un paio di loro con cui aveva stretto una sorta di rapporto di amicizia, non riusciva ancora a farseli piacere.
Erano abitudinari e si accampavano sempre negli stessi posti a seconda del periodo dell’anno o delle necessità, ma con la sua solita fortuna aveva già ispezionato tre dei quattro luoghi in cui cercare le tende tigrate di Shamal. Rimaneva solo quello più distante, vicino al mare.
Peccato che il cavallo che aveva noleggiato in quella topaia di approdo ad est del lago aveva pensato bene di abbandonarlo dodici ore prima, in mezzo al nulla desertico. Almeno quella stupida bestia non si era portata dietro la sua scorta d’acqua.
I viaggi a terra non facevano per lui, era un marinaio da prima che nascesse e non poteva certo apprezzare quella scia di passi fin troppo lunga che si lasciava dietro nella sabbia. Sapeva però orientarsi. In fondo il sole sorge sempre ad est e tramonta ad ovest, sia quando ci si trova in mezzo al mare fatto d’acqua, sia quando si solca quello fatto di granelli dorati di sabbia.
A ben vedere, con un po’ di fantasia, si poteva trasformare le alte dune gialle in onde di un magnifico blu, immobili, ma sempre onde.
Si rese conto di star divagando troppo con la mente: un dannato deserto resta quello che è. Si concentrò sul motivo del suo viaggio, sicuramente più importante della sua nostalgia per il mare: l’accademia aveva deposto l’imperatore.
Tra l’altro come non avrebbe potuto cogliere l’occasione per prendere definitivamente il potere una volta che il suo segreto era stato rivelato.
Tra i nobili capitavano spesso relazioni fedifraghe e conseguenti figli illegittimi, ma la vecchia imperatrice l’aveva fatta grossa: non solo l’imperatore non era figlio di quello precedente, ma addirittura se l’era spassata con un Keelihn! Dove lo aveva pescato poi un Keelihn quarant’anni prima visto che se ne stavano ancora tutti nel loro adorato deserto, nessuno lo sapeva. Ma quegli occhi non potevano mentire. Occhi liquidi e brillanti, tenuti nascosti dal sovrano per tutto quel tempo e rivelati solo dall’astuzia del decano Solinar.
In effetti il decano Recro aveva tutte le ragioni nel pretendere massima celerità. Con il controllo diretto dell’esercito da parte dell’accademia, la sua ribellione poteva finire da un momento all’altro. Quello che non capiva però era come l’avvisare tempestivamente Alette e Verrit avrebbe cambiato le cose.
Non era compito suo però discutere gli ordini. Erano ormai cinque anni da quando l’accademia aveva cercato di ucciderlo e da altrettanto tempo si era votato alla causa di Recro: demolire l’accademia corrotta e assetata di potere, così da poter finalmente tornare a casa senza mettere in pericolo la sua famiglia.
Quando finalmente vide in lontananza il mare, non poté fare a meno di urlare di gioia. Il suo senso dell’orientamento era ancora quello di un tempo e aveva sbagliato rotta solo di qualche chilometro. Riuscì a scorgere l’accampamento in cima alla scogliera, proprio dove sarebbe dovuto essere.
Con la meta in vista, i suoi passi assunsero maggior vigore e velocità e fu intercettato da una delle guardie Keelihn solo quando mancavano meno di cinquecento metri.
Mostrò il sigillo di Recro, simbolo di amicizia riconosciuto da quasi tutte le tribù, ma in particolare da quella di Shamal.
– Devo trovare Verrit-Falot e la sua compagna. Ditemi che sono con voi.
La guardia Keelihn annuì e lo accompagnò alle tende, poi sparì senza dire nulla. Nel giro di un paio di minuti, tornò, seguita da Alette.
– Rosh? Perché sei qui? Che succede?

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Capitolo 22 - Paralleli
Capitolo 24 - Riunioni
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Lissa

secondo nome Stachanov, non riesce a stare con le mani in mano, ogni minuto in cui non si è impegnati in qualche attività è un minuto perso! Le piace dialogare con le persone e cerca di avere pochi pregiudizi, non sempre le riesce… soprattutto quando le demoliscono i suoi libri fantasy preferiti. Passione e hobby unico lettura di libri, ovviamente, fantasy, ha provato anche altri generi con scarso risultato, sempre alla ricerca di qualche nuova bella saga da scoprire, insomma, leggere è l’unica cosa che non si stancherebbe mai di fare.

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