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Capitolo 22 – Paralleli

Il colore dei suoi occhi aveva assunto quella sfumatura così simile all’acciaio solo dopo le loro specializzazioni e quel maledetto progetto.
Era poi diventato distante, acciaio alieno che faceva paura, per colpa sua.
Vincent era sempre stato una persona forte e leale, lei la metà che lo completava e che gli teneva testa.
Non c’era mai stato molto altro durante gli anni in cui erano solo degli studenti: loro due e l’ambizione che li accomunava.
Studiare, innamorarsi, la vita era così semplice. Ricordava ancora nitidamente il momento nel quale aveva compreso che lo amava, così ingenuamente e per sempre…
Era stato durante un esercizio, ampolle tutte intorno e gli allievi divisi in gruppi di due, lei ovviamente in coppia con lui.
Iniziarono l’esercizio e lei sorrideva lievemente, forse per il nervosismo, ma lo sguardo era fisso determinato, sarebbe bastato così poco per generare un esplosione. Sfidando Vincent a farlo per primo, mise la sua mano destra sull’ampolla piena di liquido ambrato, lui avrebbe dovuto immediatamente poggiarci la sinistra ed esercitare una forza di cambiamento pari a quella della compagna. La forza doveva essere operata al momento stesso del contatto con l’ampolla, sulla stessa vibrazione catturata dall’altro.
Tuttavia i secondi passavano insieme alla sua forza che aumentava e non incontrava ostacoli. Lei inziò a preoccuparsi e alzò lo sguardo trovandone uno beffardo di rimando. Sconcertata, stava per staccare la sua mano, per scongiurare il peggio. Proprio in quel momento Vincent iniziò la propria parte dell’esercizio, in pochissimo raggiunsero l’equilibro e il liquido divenne color azzurro.
Concluso l’esperimento il suo sguardo avrebbe potuto generare una catastrofe ben peggiore di un’esplosione di laboratorio ed era tutto per il suo collega, ma gli occhi azzurri di lui erano calmi, divertiti e la mascella volitiva veniva messa in mostra da quell’espressione buffa di rimprovero. Alette sapeva già quale frase le avrebbe rivolto, lo faceva sempre.
– Alette, Alette, non sfidarmi, non conviene.
Lei, come sempre, finse ancora di essere impettita, ma guardandolo di sottecchi scoppiò in una risata fragorosa che lo contagiò e sentì per la prima volta quel suono pieno. Affascinava e abbagliava quel ragazzo e sentirlo ridere le aveva finalmente fatto comprendere che lei faceva parte della sua sfera luminosa.
Forse avrebbe dovuto ascoltarlo, sfidare Vincent era come tentare di muovere una montagna, si sarebbe consumata nel tentativo. Ma era giovane e testarda.
Poi arrivò quel Keelihn che le parlava di un mondo diverso, era così appassionato e vero quando raccontava della sua terra. Comprese che fino a quel momento aveva seguito Vincent, la sua ribellione consisteva solo in questo. Cosa ben diversa sarebbe stata se avesse portato uno Setlum dalla loro parte.
Fu quello il primo motivo che la spinse ad avvicinarsi a Verritt, per poi scoprire che esisteva un uomo capace di ascoltarla e apprezzarla per ciò che era: con lui non doveva cercare di sforzarsi sempre per migliorare. Quell’uomo si sarebbe voltato se lei fosse inciampata, Vincent non l’avrebbe nemmeno concepito.
Era una giovane donna confusa, ma ciò che loro tre avevano intrapreso non poteva aspettare le imprecisioni e le decisioni che la sua età richiedeva.
Gli eventi correvano veloci, Vincent era deciso e procedeva spedito, completamente a suo agio con la scelta intrapresa. Lei avrebbe voluto fermare il tempo per riprendere fiato e capire perché Verritt la ammaliava o perchè il suo compagno di sempre sembrava lontano da raggiungere.
Affogava fra la incertezza dei suoi sentimenti e la pericolosità di quanto avevano messo in moto. Verritt silenzioso e paziente aspettava i suoi tempi ed eseguiva la sua parte.
Nei primi tempi non seppe distinguere se la scelta del Keelihn di unirsi a loro venne dettata dalla sua influenza o da un desiderio di ribellione, un’istinto naturale per come gli alchimisti giocavano con gli elementi.
Quel tarlo la lasciava insonne le notti e quando catturarono Verrittt il giorno prima di concludere il loro piano, come fare ad ignorare il senso di colpa e partire?
Vincent non si poteva fermare e lei avrebbe abbandonato quanto aveva iniziato?
Conosceva bene la risposta: le cicatrici sui begli occhi di suo marito le davano ragione ogni volta che le guardava, se l’avesse lasciato l’avrebbero ucciso.
Perdere Vincent, far ricadere su di lui la completa responsabilità del furto dell’Illiar, per salvare Verritt e se stessa, però, le spezzò il cuore in pezzi così piccoli da non poter essere ricomposti. Le sue ultime parole d’amore erano l’unico ricordo che non aveva osato cancellare, era, in segreto, il modo in cui sperava di rammentarlo.
Avrebbe voluto non incontrarlo mai più per non conoscere quanto ancora le poteva fare male, per non sapere quanto ancora il suo sole abbagliava.
Ed invece era successo solo poche ore prima e lei si era sentita di nuovo una ragazza inesperta e colpevole davanti a quell’acciaio così distante che una volta era stato più bello dell’azzurro del cielo ed era stato solo per lei.
– Alette-nan – la voce di suo marito la strappò da quelle considerazioni e da quel dolore.
La prese per mano trascinandola tra le sue braccia, accarezzandole i capelli. Sapeva che l’uomo non poteva vedere il suo sguardo triste, ma non si illuse di nascondere il suo stato d’animo.
– Vedrai, nostro figlio capirà un giorno – le sussurrò all’orecchio con la sua voce rassicurane.
E lei si sentì in colpa e persa, sentiva di aver tradito entrambi i membri della sua famiglia in quel momento. Le lacrime iniziarono a scendere per rabbia e dolore.
Odiò Vincent e quel che ancora le provocava, odiò se stessa per essere stata una pessima madre e per quel suo folle desiderio di vendetta, che in tutti quegli anni non si era mai sopito: riusciva a sentirlo bruciare nel petto anche in quel momento. Neanche di fronte all’evidente prova del dolore che quel sentimento provocava a lei e agli altri.
Alette pianse ancora e ancora per le sue debolezze, fra le braccia di suo marito che in silenzio, senza parole, conosceva già ogni sfumatura della sua colpa.

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La causa di tutto era stata quel maledetto progetto. In cuor suo però non aveva il coraggio di pentirsi delle sue scelte. Pentirsi non sarebbe mai stata un’opzione plausibile.
Quando l’allora priore, Recro, gli aveva ventilato la possibilità di partecipare ad una ricerca sperimentale era diventato un altro. Aveva trovato lo scopo della sua vita e la motivazione giusta per completare gli studi prima del tempo. Se non fosse stato per quella proposta, non sarebbe mai diventato l’alchimista che era, probabilmente nemmeno l’uomo che era.
All’inizio era tutto semplice e poi aveva Alette, la sua collega che stravedeva per lui. Lo seguiva in tutto: lui era il suo astro attorno al quale orbitare, senza mai metterlo in discussione, aspettandosi da lui sempre una sorpresa. Sorpresa che puntualmente le regalava, a volte con una battuta inattesa, a volte con una dimostrazione di potere altre volte ancora con un atto di ribellione.
In fondo, però, sapeva che quel suo satellite era importante per lui, quanto davvero necessario, lo avrebbe scoperto solo molto tempo dopo.
Riflettendoci dopo molti anni, poteva sembrargli di averla ingannata in quel periodo, di averle mostrato quello che voleva vedere, nascondendo il suo vero carattere, ma non era così. La verità era che quella dannata ricerca lo aveva cambiato, lentamente ed in modo subdolo.
Il ragazzo brillante, un po’ esibizionista, che si era innamorato di quella ingenua collega, si era ritratto sempre più, per lasciare lo spazio al Vincent studioso, quello che aveva fatto di quel progetto l’unica priorità, la sua ossessione.
Nulla aveva più importanza se non portare a termine la ricerca. Allora non aveva capito tutti gli sforzi che lei aveva dovuto fare per seguirlo nel complesso di laboratori sotterranei delle Bianche Cime, dove Recro stava realizzando la sua macchina. Alette non aveva le sue stesse ambizioni, non poteva permettersele, eppure era riuscita a rientrare nel gruppo di alchimisti selezionati dal priore per condurre quegli esperimenti tenuti segreti perfino all’imperatore.
Il giovane Vincent non aveva compreso di essere egli stesso l’unica motivazione a spingere la sua compagnia a continuare su quella strada. Aveva sacrificato molto in nome di quella ricerca e tra le tante cose, aveva scelto di rinunciare anche ai suoi sentimenti per lei, troppo impegnativi e sicura distrazione dal lavoro.
Solo molto dopo, senza possibilità di redenzione, comprese che quello fu il suo errore più grande. Privare se stesso era accettabile, in quanto aveva i suoi studi, ma la decisione arbitraria di allontanarsi dalla sua compagna, lasciandola in balia dei dubbi e dell’incertezza fu un atto dettato dall’egoismo e dalla mancanza di esperienza. Se non fosse stato così accecato dal lavoro, non l’avrebbe persa e Verritt non sarebbe mai riuscito ad intromettersi tra loro.
Verritt-Setlum, il Keelihn amico del priore Recro, che aveva accettato di aiutarli nella ricerca grazie alle conoscenze del suo popolo. Ce n’erano altri due come lui, che si aggiravano nei laboratori con quelle movenze aggraziate e quegli occhi felini, dispensando consigli e lezioni che sembravano più dogmi religiosi che concetti scientifici.
– Gli elementi rispondono alle preghiere, non alle macchine – ripeté tra i denti Vincent, con Kimi in braccio, mentre rievocava con la mente il primo incontro con quel Keelihn che credeva di sapere tutto.
Le preghiere: solo un modo ignorante e bigotto di descrivere un modo di incanalare l’energia tramite le vibrazioni.
Poi un giorno capì. Capì dove tutti gli alchimisti prima di lui avevano sbagliato e come si poteva riuscire a controllare il cielo e la terra, come ordinare al mare di gonfiarsi o rimanere calmo o come alimentare una fiamma di pura energia per un tempo indefinito.
La risposta era una sola e non ce l’avevano né i Keelihn né l’accademia. La soluzione al problema era nel mezzo delle due dottrine.
Geloso della sua scoperta chiese ed ottenne da Recro un laboratorio privato dove condurre esperimenti per conto suo. Fu in quel periodo che comprese quanto quella ricerca fosse pericolosa e solo quando finalmente ebbe rielaborato il progetto della macchina e realizzato l’Illiar che l’avrebbe fatta funzionare, decise di non poterlo lasciare nelle mani di Recro e dell’accademia.
Trovò in Alette, il supporto per il suo piano di sabotaggio della macchina, ma ormai il danno era fatto. La sua compagna si era avvicinata a tal punto a Verritt da volerlo coinvolgere. Gli argomenti che presentò furono troppo logici per rifiutare l’aiuto del Keelihn e così Vincent capì, con terribile ritardo che i sentimenti per lei, non erano mai stati soppressi. Tornarono prepotentemente a galla sotto forma di gelosia e astio nei confronti del terzo incomodo.
Ma se prima la ricerca era riuscita ad assorbirlo completamente, in quel momento il sabotaggio della macchina era ancora più importante e l’alchimista sbagliò di nuovo, continuando spedito per la sua strada, tagliando fuori ogni altro sentimento.
Il suo piano era semplice nel concetto, ma complesso da realizzare. Rubare l’Illiar, sostituirlo con un falso ed inscenare la morte dei tre cospiratori per poter fuggire in maniera piuttosto sicura. Alette aveva ragione e Verritt si rivelò fondamentale per la sua riuscita. Se solo non si fosse fatto catturare il giorno prima della fuga.
Dovette ammettere che quel giorno sperò di convincere Alette a fuggire secondo i piani, abbandonando il Keelihn che in ogni caso, non avrebbe rivelato alcuna informazione all’accademia: il suo onore di guerriero era troppo forte e le sue convinzioni religiose ponevano proprio quell’onore al di sopra di tutto. Ma l’ultimo incontro con Alette, quello che riviveva di tanto in tanto nei suoi sogni non andò come avrebbe voluto.
Il suo satellite scelse di staccars,i restare indietro e salvare Verritt, nonostante la resa ai suoi sentimenti. Nonostante Alette avesse ormai compreso quanto lui avesse bisogno che gli rimanesse vicino.
Di lei, gli rimase solo il suo ciondolo, quello che lui le aveva regalato anni prima e che, in quel momento, nella tenda Keelihn dove aveva permesso a tutti quei ricordi di avere il sopravvento, era appeso al collo della sua gatta.
Ci giocherellò con le dita mentre una lacrima gli solcava sul viso.
– Almeno è viva – sussurrò al nulla.

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Capitolo 21 - Mare
Capitolo 23 - Cause di forza maggiore
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Alessandro Zuddas

Alto, bello, forte, intelligente, affascinante, carismatico, sposta gli oggetti con il pensiero, sa volare, parla la lingua comune intergalattica ed è così dannatamente fantasioso che qualche volta confonde cioè che immagina con la realtà… diciamo spesso… anzi no! Praticamente sempre! A pensarci bene non è che sia così tanto alto, affascinante o tutte le altre doti prima esposte, ma a chi importa? Quando si possiede la capacità di creare un mondo perfetto o perfettamente sbagliato oppure ancora così realistico da poterlo sovrapporre alla realtà, perde di senso chi si è veramente e conta solo chi si desidera essere.

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