– In realtà è Verrit-Falot, adesso – rispose il Keelihn cieco senza scomporsi – ma se ricordo bene non ti sei mai interessato a queste faccende di rango e non credo che ti interessino ora.
L’alchimista non rispose, limitandosi a fissarlo con il suo sguardo d’acciaio.
Il silenzio si impadronì della situazione diventando tangibile, quasi come se fosse un ulteriore ospite in quella tenda che, seppur molto spaziosa, stava cominciando a diventare stretta per tutti.
A rompere quella situazione di stallo, dove ognuno comunicava con un almeno un altro usando lo sguardo, fu l’unico che non poteva seguire le regole di quel gioco.
– Shamal-Lum! – disse Verrit volgendosi con precisione disarmante verso il capo villaggio – Alette-Nan ed io abbiamo compiuto un viaggio di parecchi giorni per poter conferire con te riguardo importanti questioni.
Alette lo prese per un braccio e gli bisbigliò all’orecchio continuando a lanciare occhiate nella direzione di Vincent.
L’alchimista le ricambiò lo sguardo cercando di mostrare di aver perfettamente inteso quello che aveva detto al compagno. Altro azzurro, altro acciaio, l’uomo sembrava quasi di non aver mai avuto altro tipo di sguardo.
– Perché non davanti a loro, madre, se sono loro l’oggetto della discussione? – chiese Callin all’improvviso, costringendo la donna a voltarsi verso di lui – Qualcosa da mio padre dovevo pur prenderla.
Il ragazzo sorrise sornione, indicandosi distrattamente l’orecchio con un dito.
– Non essere insolente con gli ospiti, Callin-Ke! – lo rimproverò il capo villaggio.
– Chiedo scusa, Shamal-Qat, ma credo che questo, invece, l’abbia preso da mia madre.
– Puoi ben dirlo! – commentò Vincent, accompagnando le parole con una risata aspra – tua madre, da giovane, non la faceva passare liscia a nessuno, colleghi o maestri che fossero.
– Non sono cambiata! – fu la risposta acida della donna all’indirizzo dell’alchimista che, seppur non riuscisse a vederla in viso, poteva immaginare esattamente la sua espressione.
– Shamal-Lum, ritengo che sarebbe meglio se io e la mia allieva fossimo congedati – disse Vincent con tono accomodante.
Al segno di assenso del vecchio Keelihn, l’alchimista prese Rose per le spalle e la guidò fuori dalla tenda. La ragazza offriva un po’ di resistenza, ma la presa ferma di Vincent l’aveva evidentemente preoccupata, portandola a contenere le rimostranze.
L’alchimista la lasciò andare solo quando furono ritornati nella tenda dove erano alloggiati.
Si scrutarono per lunghi istanti, mentre l’uomo valutava quanto svelare del suo passato.
– Alette vuole l’Illiar che rubai – disse calmo e distaccato, come se parlasse di un argomento distante che non lo riguardava così da vicino. Ostentava più calma di quanto ne avesse in realtà.
– Ma tu non ce l’hai più, non è vero? – chiese Rose guardandolo di sottecchi.
– Vero! Non ce l’ho più io, ma so chi lo custodisce.
– E perché pensi che lei lo voglia?
– Feal’d collabora con il mio vecchio maestro, Recro e voleva che io gli consegnassi l’Illiar – spiegò Vincent – Anche Alette era allieva di Recro e lo considerava quasi come un padre. Sono certo che anche lei fa parte del gruppo di ribelli che si oppone all’accademia.
Le battute si susseguirono veloci, poi l’alchimista si zittì, abbandonandosi a ragionamenti complessi. Le informazioni in suo possesso non erano complete dopo tutti quegli anni di isolamento e faceva fatica a riuscire a prevedere le mosse di tutti i giocatori in campo.
– Non mi hai mai detto perché lo cercano. Sono dei grandi alchimisti, non possono crearne uno nuovo?
Vincent rise e scosse la testa.
– Lo so che nei libri che ti ho fatto studiare viene spiegato che l’Illiar è quell’elemento che non può mancare in una reazione. Ma ci sono cose che i libri non dicono.
– Per questo servono i maestri – rispose maliziosa la ragazza.
– E va bene – si arrese Vincent – Più una reazione è complessa, più lo è il suo Illiar. Di solito si tratta di materiali grezzi che vengono trasformati durante il processo alchemico, ma in questo caso stiamo parlando di un oggetto, frutto di quasi un secolo di lavoro di diversi Alchimisti.
– Un secolo? Io credevo che lo avessi realizzato tu.
– È così. Quando Recro mi introdusse nel suo progetto di ricerca, studiai il lavoro di decine di alchimisti ed ho capito dove avevano sempre sbagliato. Io ho realizzato l’Illiar della macchina – un lampo d’orgoglio attraversò le iridi azzurre di Vincent, prontamente sostituito dalla più profonda tristezza – ed io ho distrutto i documenti di anni di lavoro, prima di portarmelo via.
– Hai detto macchina? – chiese la ragazza.
– Sì, una macchina dal potenziale enorme che non dovrà mai essere ultimata – sentenziò lapidario l’alchimista, una leggera nota di paura nella sua voce – Ho il sospetto che i ribelli stiano cercando ancora di costruirla, per mettere in scacco l’accademia e per questo stanno cercando me e l’Illiar.
Il silenzio calò di nuovo, come nella tenda del Lum. Vincent ebbe l’impressione di essere perseguitato dall’assenza di rumore. Mosse qualche passo ansioso in giro per la tenda, forse per scacciarlo.
– Perché non lo hai distrutto? – chiese di scatto Rose.
– Non ne sono stato capace. Sono un alchimista, sono uno studioso. Quello è il mio capolavoro. Ma forse hai ragione, avrei dovuto farlo tanto tempo fa.
– Se sai dov’è, fallo ora.
Lo sguardo di Vincent si spostò dalla sabbia che avevano per pavimento agli occhi della ragazza. Si avvicinò e le poggiò le mani sulle spalle.
– Forse dovrei…
– Dovresti cosa? – chiese Callin piombando nella tenda a tutta velocità?
– Tu dovresti farti gli affari tuoi! – sbottò l’alchimista allontanandosi da Rose – È già finita la riunione di famiglia?
Lo chiese con tono leggero ma scrutando intensamente il nuovo venuto.
– No. Mi sono congedato per la gioia di mia madre – rispose il giovane con una nota di sdegno nella voce – A tal proposito, grazie Rose per il tuo arguto intervento, ma non ce n’era bisogno.
– Come stai? – gli chiese a bruciapelo la giovane.
– Non lo so.
– Puoi rimanere qui se vuoi, oppure potresti mostrarmi qualcosa del tuo villaggio – propose Rose, pronunciando le parole senza prendere fiato, come se fosse urgente terminare la frase.
– È una buona idea – fece eco Vincent.
– In effetti mi farebbe piacere e poi le madri della tribù vorrebbero fare un dono alla mia… – il ragazzo incespicò con le parole, e sfruttò un colpo di tosse per riprendersi – a te.
– Un dono? – chiese Rose visibilmente perplessa.
L’alchimista invece aveva capito.
– È per come l’hai…
– Sì è per quello! – lo interruppe Callin velocemente.
– Allora ti auguro buona fortuna Rose, ti servirà! – disse malizioso Vincent – Su su, andate.
Così dicendo li accompagnò all’uscita e richiuse i lembi della tenda con i legacci interni. Kimi fece la sua comparsa un attimo dopo e gli balzò in braccio.
Vincent sorrise e si sedette pensieroso, accarezzando la gatta. In quel momento l’acciaio era sparito e il suo sguardo sembrava solo molto stanco.
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Uscì dalla tenda delle madri della tribù e non sapeva come coprirsi tutte le parti del corpo scoperte. Callin la guardò di sottecchi doveva ammettere che il fisico minuto e aggraziato di Rose stava bene con quell’abbigliamento minimale, che le metteva in mostra le forme altrimenti coperte da calzoni o tuniche. E tutti i suoi sforzi per coprirsi e per non arrossire lo divertivano parecchio.
– Almeno ora non avrai più caldo – le disse sorridendo, guadagnandosi una nuova occhiataccia.
– Ormai è sera, potevi anche aspettare a domani per farmi ambientare al luogo e ai suoi costumi!
– Farà caldo anche più tardi, le madri avevano insistito tanto e poi sei tu che mi hai monopolizzato da quando siamo usciti dalla tenda – E conosceva anche il perché, ma evitò di farlo notare alla ragazza.
Voleva in qualche modo ringraziarla per quel gesto ed era da quando avevano lasciato Vincent che discutevano e scherzavano. Per una volta lei era meno permalosa e lui era meno piccato, ancora troppo scosso.
Erano andati ad ispezionare il villaggio, così aveva potuto mostrarle la grande tenda adibita a santuario, dove i Keelihn pregavano i grandi per ottenere da loro aiuto o consiglio. L’aveva anche portata in una sorta di infermeria, dove la ragazza ebbe modo di conoscere e ringraziare Selvie-Rathea, la Keelihn che l’aveva accudita durante la degenza.
Callin l’aveva costretta a mangiare le cose più disparate e fra gridolini e risate, aveva buttato giù ogni cibo che lui gli offriva. Tra i tanti, la ragazza aveva particolarmente gradito dei bocconcini di carne ricoperti da una salsa zuccherosa di colore rosso. Callin le aveva spiegato che era il dolce preferito da tutti i bambini Keelihn.
Alla fine del giro, Rose riusciva ad orientarsi perfettamente nel villaggio, che non era poi tanto grande e la disposizione delle tende non era così a casaccio come aveva immaginato all’inizio.
In ultimo, l’aveva trascinata dalle madri per il loro dono, che si era rivelato un vestito tradizionale degno di una Kealum. Aveva aspettato rigorosamente fuori, ma in fondo quei due pezzi di stoffa nascondevano poco e si congratulò con se stesso per averla convinta ad accettare il dono, aiutato soprattutto dal caldo torrido e dalla paura di offendere le madri Keelihn.
– Non avere quel sorriso ebete e non ti credere così furbo, se volevi vedermi… – la ragazza cercò le parole giuste – così! Hai fatto un po’ troppi giri…
– Io? – chiese Callin con l’espressione più ingenua che gli riuscì – quello è il dono delle madri.
– Sì, tu. Comincio a nutrire seri dubbi che fosse una loro idea.
I due si guardarono a lungo prima di scoppiare a ridere complici in quella strana situazione. Poi il ladro cambiò espressione di colpo e di slancio prese le mani della ragazza.
– Rose, vuoi vedere il mare? – Le domandò tutto serio e con negli occhi una strana luce. La ragazza annuì, ma non sorrideva più.
Uscirono dal villaggio e si avviarono verso lo strapiombo roccioso sul mare. Lungo la strada si tenevano per mano, lei era più indietro e la strattonava camminando, era diventato impaziente. Solo in quel momento si era accorto di non aver reso ancora omaggio al suo Mare, al posto che sentiva maggiormente suo.
Si era solo lontanamente reso conto che era la prima volta in cui voleva condividere quel luogo, pur essendo molto consapevole della mano di Rose nella sua.
L’insenatura che li avrebbe portati alla spiaggia era nascosta dalla roccia e dalla penombra, si strisciava per un lungo tratto in discesa prima che il soffitto della roccia si innalzasse abbastanza da premettere di vedere lo sbocco ruvido del tunnel e poi, finalmente il mare.
Tuttavia la ragazza non parve disorientata neanche una volta mentre lo imitava nel lungo percorso. Mentre strisciava dietro di lei, si domandò perché continuasse ad essere remissiva. Quando le aveva detto cosa le aspettava per poter accedere al mare, lei semplicemente aveva annuito e gli occhi gli erano parsi ancora più brillanti, neppure un capriccio sul fatto che si sarebbe sporcata.
Sentiva Rose chiaramente per la prima volta, anche in quel momento, come se il loro smettere di discutere l’avesse spogliata delle apparenze e di parecchi palmi di stoffa…
Fu grato quando finalmente il percorso si fece più largo e il tetto della grotta più alto, in questo modo poté osservare l’espressione della ragazza, quando vide la loro destinazione.
La sabbia era argenta e aliena negli ultimi raggi solari, mentre il Mare assumeva colori cangianti e vividi. Il ragazzo non aveva mai saputo il perché i colori mutassero così straordinariamente al tramonto, ma quel piccolo angolo di spiagga era quello che più somigliasse ad una casa per un girovago come lui.
Gli ultimi passi che li separavano dalla spiaggia li percorsero in silenzio ad ammirare i gabbiani lontani ed il resto del paesaggio. L’espressione di meraviglia ancora non abbandonava lo sguardo della giovane alchimista.
– Da quanto tempo non vieni qui? – Gli chiese poi Rose scrutandolo col suo sguardo. Sembrava volergli leggere dentro, assicurarsi che tutto andasse bene. Almeno così gli parve.
– Da molto. Troppo… – rispose quasi strozzato.
La ragazza lo guardò ancora per un lungo istante, annuendo seria, poi non si trattenne più e si liberò dei sandali leggeri per mettere i piedi in acqua, mentre Callin con un sonoro tonfo si sdraiava sulla sabbia calda, faccia al cielo.
Poco dopo il viso della ragazza fu sopra al suo. I capelli gli solleticavano le guance.
– Ah allora sei sveglio – gli disse prima di sdraiarsi a sua volta.
I minuti passarono in silenzio ognuno con il naso all’insù e i pensieri lontani. Fu Callin a riprendere parola per primo.
– Sai, ero molto piccolo quando se ne andarono, ma io i bellissimi capelli neri di mia madre non li ho mai dimenticati, né le braccia forti di mio padre.
Una pausa come se le parole gli costassero troppo, poi a dargli forza la mano della ragazza sulla sua, quindi riprese.
– Mi chiedo se non sarebbe stato meglio non conoscerli affatto, per non aver ricordi da dimenticare…
– No, Callin, almeno sai di essere stato amato.
– No, Rose solo di essere stato abbandonato, capisci?
I due stettero in silenzio ancora un po’.
– Lasciarmi qui e partire… appena ho potuto li ho cercati al lungo… ed ero solo…
La ragazza non gli rispose; immobile per un lungo attimo. Sapeva di star farfugliando e di avere una sfumatura stridente nelle sue parole. Pensò che si fosse sbagliato, che la ragazza non fosse pronta per portare con lei anche il suo dolore.
Tuttavia era in errore, eppure avrebbe dovuto saperlo: era lei quella che aveva sfidato sua madre solo qualche mese prima.
Rose lo prese tra le braccia cullandolo e accarezzandogli piano i capelli. Il suo tocco era delicato e le parole sussurrate all’orecchio gentili.
– Oh, Callin lascia andare il dolore, lascialo libero. Se continui ad imbrigliarlo ti consumerà… ed io… – si fermò un attimo – io non voglio che ti distrugga, come ha fatto con mia madre.
Callin riuscì a sentire le ultime parole solo grazie al suo udito e non seppe più arginare la disperazione. Le braccia che lo avvolgevano sembravano più forti, capaci di contenerla e lo riversò in esse, sbottando finalmente.
Gridò di dolore.
– È colpa mia Rose, colpa mia, ho tante colpe…
Gridò ancora dimenandosi, ma la ragazza lo teneva stretto, calmandolo.
A sua volta si aggrappò forte al suo torace, così forte che un altro poco le avrebbe spezzato le costole. Disperato, sembrava la sua ancora dove lui si stringeva con ogni fibra. La lasciò di colpo, preoccupato di farle male.
Un lampo di cappelli rossi e lacrime erano in fondo ai suoi ricordi e si spinse ancora più lontano, avrebbe potuto causarle un altro tipo di dolore.
Davanti a loro, il Mare si muoveva agitato, in un gorgoglio di dissenso: a calmarlo non bastava il Sole che scendeva ad agio per riunirsi con lui.
Tuttavia il gesto della ragazza lo acquietò di colpo.
Callin, e non solo lui, guardarono ammutoliti gli occhi castani di Rose la forza che vi si rifletteva dentro.
Fermezza, affetto, compassione nel suo sguardo, nelle braccia che si aprivano per accoglierlo. Al sicuro, lasciando il dolore fuori.
Non poteva…
Sì alzò incespicando, le diede le spalle, lasciandola da sola al tramonto.
Se si fosse voltato avrebbe visto il sorriso della ragazza, le sopracciglia inarcate.
Se solo si fosse voltato, forse avrebbe intuito quanto la ragazza già sapeva e avrebbe continuato ad allontanarsi.
Se si fosse voltato il Mare lo avrebbe biasimato.
Ma Callin non si voltò, muovendo diversi passi, allontanandosi da Rose.
Poi successe quello che capita ad ogni uomo. L’innegabile voglia, l’egoismo, il bisogno spinsero il ladro a ripercorrere i propri passi. Fulmineo fu di nuovo di fronte alla ragazza prendendola tra le braccia.
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