Helen aprì gli occhi. Le girava la testa e sentiva l’acido del vomito in fondo alla gola. Quando i contorni degli oggetti si fecero più nitidi riconobbe il manico d’avorio del suo bastone sotto ad una sedia. Estese il braccio destro – la mano era dolorante come se l’avesse posta sopra ad una fiamma – ed afferrò la testa del condor.
Fece leva sul bastone e si sollevò da terra. Barcollò fino ad una sedia.
Si esaminò il polso sotto la luce della finestra: c’era qualcosa disegnato sopra. Delle linee bianche, che parevano cicatrici di un marchio a fuoco, disegnavano una coppia di serpenti intrecciati ad una croce rovesciata. Il tutto era delimitato da un cerchio, come quello di un’evocazione. Sembrava un qualche tipo di simbolo esoterico, ma Helen non ricordava di aver mai incontrato nulla di simile nei suoi studi.
Helen tirò fuori dall’ultimo cassetto uno specchio da viaggio dai bordi dorati. Le sue mani tremavano.
Il riflesso nello specchio non era più il suo. Capelli neri, pelle liscia, labbra rosse, un neo sulla guancia. Quella donna era Helen Stokes prima del suo venticinquesimo compleanno.
Istintivamente si portò una mano alla guancia. La pelle era liscia e levigata. Lo specchio non mentiva, non era un’illusione.
Ora ricordava: la stretta di mano, le carte, il prezzo che avrebbe dovuto pagare. Doveva scoprire con chi o con che cosa aveva stretto un patto. Si avvicinò al piccolo tavolo con zampe di leone che si trovava in un angolo del soggiorno. Doveva consultare il pendolo e trovare l’uomo che si faceva chiamare Honorius.
Sicura della sua ritrovata giovinezza lasciò cadere il bastone e si avvicinò lentamente al vecchio mobiletto del salotto. Le gambe si muovevano però a fatica come se i segni più evidenti della vecchiaia fossero rimasti. Piegò le sopracciglia in una smorfia di dubbio, fece qualche passo indietro, si chinò e protese la mano a terra per raccogliere il bastone.
Con un po’ di fatica si alzo e tornò versò il mobile, protese la mano verso il pomello di ottone e tirò. I cardini dello sportello cigolarono e, tra le mille chincaglierie stipate alla rifusa, estrasse un pendolino composto da una catenella in argento e un cristallo nero come la notte. Estrasse anche quattro candele di cera nera, una cartina della città e un blocco di fogli bianchi.
Richiuse il mobiletto e, con tutti quegli oggetti in mano, arrancò verso il tavolo più vicino e li posò.
Trascinò con forza la sedia per accomodarsi. Sgranò gli occhi. Aveva ritrovato la forza dei vent’anni.
Ancor di più nella sua mente si insinuo il dubbio: cosa davvero era cambiato in lei?
A quel punto si sedette e stese la mappa della città sul tavolo, ponendovi ai quattro angoli le candele.
Afferrò il pendolino e, reggendolo saldamente ad di sopra della cartina, lo portò verso il centro e chiuse gli occhi, il rituale poteva iniziare.
Dopo qualche minuto di concentrazione il pendolino cominciò a muoversi, come trascinato da una mano invisibile, e le quattro candele si accesero una dopo l’altra autonomamente.
Il pendolino si fermò indicando il centro del quartiere più ricco di Londra.
Gli occhi di Helen si spalancarono diventarono completamente bianchi. Come spinta da una forza invisibile, Helen si punse la mano destra con il cristallo del pendolo. Il suo braccio, al di fuori del controllo della medium, lasciò una serie di linee rosse sul foglio bianco.
Gli occhi di Helen tornarono del colore originale e lei si accorse che su quei fogli c’era disegnato con estrema cura il viso di Honorius. Osservando la cartina a Helen venne in mente che nella zona indicata dal pendolo era sorta da qualche anno un’enorme e moderna azienda di cosmesi, che aveva un logo praticamente identico a quello comparso sul suo braccio, la Helel Beauty Corp.
Decisa più che mai a scoprire cosa esattamente le fosse accaduto, Helen si diresse verso la più vicina fermata per autobus, che distava circa un chilometro da li.
Una volta arrivata Helen si trovò davanti ad un enorme palazzo quasi interamente fatto di vetro dove subito saltava all’occhio un’insegna con un disegno bordò: i due serpenti incrociati e la croce rovesciata avvolta dal cerchio, proprio come sul suo braccio. Sotto quel disegno spiccava un’enorme scritta dorata “HELEL BEAUTY CORP.” Chi sapeva tutto e poteva darle delle risposte era sicuramente lì dentro.
Avvicinandosi alla raffinata porta di vetro, Helen notò a fianco la targhetta con il numero civico il “999/H”.
Spingendo la porta entrò. Subito una signorina con aria piuttosto svampita la accolse e, con voce stridula, disse: «Salve signora, come posso aiutarla?»
Helen portò la mano sinistra sul fianco opposto e, dal taschino del golfino di flanella blu estrasse il ritratto, disegnato poco prima.
«Sto cercando quest’uomo» Helen avvicinò il ritratto al volto della donna «dovrebbe lavorare qui».
La giovane ragazza alla reception si portò le mani alla bocca e sgranò gli occhi. Era inorridita.
«Mio Dio. E’ sangue»
«Si, è sangue. Allora?» Helen sogghignò «Dovrebbe chiamarsi Honorius».
Ripresasi dal leggero shock, la ragazza rispose.
« Sì, questo è il nostro presidente, Honorius. Cosa può volere un’anziana signora come lei dal nostro presidente?».
La frase turbò Helen che portò di colpo le mani al viso, sfiorandosi nervosamente. Notando che era ancora giovane si chiese che cosa stesse succedendo.
«Allora signora, perché cerca il signor Burke?».
Helen dopo aver riflettuto attentamente, pensò fosse meglio inventarsi qualcosa per non rivelare quanto era successo. Ma doveva assolutamente capirci qualcosa e solo quell’uomo poteva sanare ogni dubbio.
Helen pose le mani sul bancone e disse:
«Senta signorina sono la madre di Honorius, devo parlare con mio figlio di affari che non le riguardano»
La giovane segretaria corrugò la fronte.
«Sua madre? Quindi perché mi ha mostrato quello schifosissimo disegno?»
Helen chiuse i pugni e, cominciando a sudare, rispose:
« Senta signorina, le ho mostrato il disegno perché non vedo Honorius da quando è andato al college. Ora chiuda la bocca, alzi quel dannato telefono e dica a mio figlio che sono qui.»
«Va bene, signora. Si calmi»
La segretaria compose sul telefono il numero 1. In quel momento, al terzo piano, il telefono della presidenza squillò. Honorius sollevò la cornetta e la portò all’orecchio:
«Sì?»
«Signor Burke, c’è qui sua madre che deve parlare con lei.».
«Mia madre? Mia madre è morta quando ero un bambino.»
La segretaria spalancò gli occhi e portò la cornetta sul petto per non far sentire il rumore di fondo.
«Signora, il signor Burke sostiene che sua madre è morta.»
Helen battendo i pugni sul tavolo disse.
«Sono la madre adottiva. Gli dica che non me ne andrò da qui fino a che non avrò parlato in privato con lui».
La segretaria riportò la cornetta all’orecchio:
«Signora, questa donna insiste nel volerla incontrare. Cosa devo fare?».
«E va bene, la faccia accomodare.»
La segretaria ripose la cornetta e disse:
«Bene signora, salga al terzo piano, primo ufficio sulla destra. Il presidente la attende.»
Helen uscì dall’ascensore e davanti a sé trovò una serie di scrivanie tutte in radica, con sopra un computer che pareva essere di ultima generazione. Ogni postazione era separata dall’altra da una piccola parete di compensato dove si potevano appendere fogli o altro con delle puntine.
Helen si voltò a destra e si diresse faticosamente verso l’ufficio di presidenza e, sollevando il bastone, lo fece battere tre volte contro la porta.
«Avanti, è aperto»
Helen si appoggiò di nuovo al bastone, posò la mano sinistra sulla maniglia e la abbassò spingendo in avanti la porta, che si aprì.
«Oh, Helen entra pure»
Helen alzò la testa e alla vista di Honorius il suo battito cardiaco accelerò paurosamente e le mani cominciarono a sudare e tremare. La medium era travolta da un desiderio mai provato prima: voleva quell’uomo.
Gli strappò la camicia di seta e gli leccò il lobo dell’orecchio. Passando i palmi delle mani sul petto
muscoloso, Helen vide Honorius sorridere socchiudendo gli occhi e sentì la sua mano che slacciava la gonna. Il corpo di Helen era come pervaso da un fuoco divorante, desiderava ogni centimetro di pelle di Honorius.
Helen sbatté Honorius contro il muro bianco e i loro corpi iniziarono a muoversi ritmicamente. La realtà circostante scompariva davanti agli occhi della medium, per lasciare spazio ad una violenta passione animale. I muscoli dei due corpi si tesero in un’armonia primitiva.
Due ore dopo si stavano rivestendo.
«Mi hai ingannato, Honorius» Helen si chinò per allacciarsi una scarpa «le persone continuano a vedermi vecchia.»
«Ti sbagli. Sei tu che scegli come mostrarti agli altri. Devi sentire il flusso della magia che scorre dentro di te: la vecchiaia è solo una maschera che devi lasciar cadere. La scelta è tua, ma sappi che la gente è molto più disposta a fidarsi di un’innocua vecchietta.»
«E il sesso? Anche questo fa parte dell’accordo? Sono obbligata a scoparti per l’eternità?»
«Non essere volgare Helen. Sei una signora.» Honorius sorrise «devo assicurarmi che tu mantenga la tua parte del patto. Che tu porti in grembo mio figlio. A proposito, queste sono per te.» le lanciò un mazzo di chiavi. «E’ una Lamborghini, così non dovrai più usare il tram.»
«Una vecchia in Lamborghini. Fantastico. Sarò l’invidia degli ospizi per anziani di Londra.»
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