– Io dico che è una pazzia. – commentò depressa Rose.
– Lo hai già detto. – la rimbeccò Callin mentre aspettava che Vincent si pronunciasse sul suo piano.
Erano sul tetto piatto di un edificio a meno di cento metri in linea d’aria dalla sede dell’accademia e stavano ammirando la loro via di fuga, o almeno quello che lo sarebbe diventata se l’alchimista avesse accettato l’idea di Callin.
Il ragazzo era eccitato. Guardava insistentemente Vincent, cercando di capire cosa stesse pensando mentre studiava con attenzione nientemeno che un’aeronave ancorata nell’enorme cortile dell’accademia, al momento equipaggiato come area di atterraggio.
Dopo qualche minuto l’alchimista smise di guardare oltre il muro dell’edificio e si ritrasse, sedendosi accanto ai ragazzi.
– Tu pensi di poter arrivare a quell’aeronave? – chiese.
– Certamente! – l’eccitazione traspariva dal tono della voce.
– E pensi di poterla pilotare? – intervenne Rose quando si rese conto che il suo mentore stava valutando l’idea.
Callin perse parte della sua sicurezza. Non era mai stato a bordo di uno di quei mezzi, anche perché le poche aeronavi in circolazione erano tutte sotto il controllo dell’accademia.
– Io posso farlo. – rispose Vincent al posto suo con un sorriso.
– Voi siete pazzi! – sbottò Rose per l’ennesima volta scuotendo il capo.
– Ragazzo, se davvero vuoi provare a rubare quell’aeronave, dovrò spiegarti alcune cose.
Lo sguardo di Callin si illuminò.
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La notte era scesa già da qualche ora ed aveva abbracciato con la sua oscurità tutta la città. La sede dell’accademia non era mai completamente buia viste le innumerevoli lampade ad olio utilizzate per illuminare i viali ed i portici tra i vari edifici che formavano il complesso, ma a Callin non importava.
Il piano si era messo in moto già nel tardo pomeriggio quando, travestito da allievo, si era intrufolato nell’accademia ed aveva già individuato il percorso da seguire per raggiungere il velivolo senza mai attraversare una delle chiazze di luce generate da lampade o fiaccole. La sua indagine lo aveva anche portato casualmente a scoprire che la Meteora, l’aeronave, proveniva da Sinida e che aveva condotto in città con urgenza il consigliere Alfred dei Gigli. A quanto pareva, l’accademia stava già muovendosi per sostituire Morel.
Callin attese l’una, l’ora centrale nei turni di guardia, il momento in cui i soldati più stanchi e pigri perdono la lucidità in maniera pericolosa.
Si mosse rapido e silenzioso. Raggiunse il muro di cinta del complesso dell’accademia. Era troppo alto anche per lui, per cui prese una corda con rampino dalla sua sacca e facendola roteare, la lanciò oltre il muro. Tirò la fune un paio di volte per saggiarne la tenuta e poi puntellando i piedi sulla parete si arrampicò svelto come un gatto. Una volta in cima non perse tempo e saltò giù, atterrando con grazia. Era ancora distante dall’aeronave, ma quello era il punto in cui era sicuro di poter salire in piedi sul muro senza stagliare la propria sagoma contro il cielo stellato. Sebbene fosse vestito di nero, era meglio non correre il rischio di allertare una guardia più furba delle altre. Ripose il rampino che aveva portato giù con sé e si guardò intorno. La sua vista gli permise di individuare le due guardie di ronda che si dirigevano nella sua direzione, come aveva previsto e calcolato ore prima.
Scappò veloce in avanti, raggiungendo una zona con qualche albero e dei cespugli e si nascose mentre i due uomini avanzavano lentamente. Appena ebbero superato il suo nascondiglio, Callin balzò fuori e prendendoli alle spalle fece urtare violentemente le loro teste una contro l’altra, tramortendoli.
Li trascinò tra i cespugli e, dopo averli imbavagliati, li legò con del cordoncino estratto dalla sacca. Vincent era stato categorico nel vietargli l’uso dell’alchimia così vicino all’accademia e quindi era stato costretto a portarsi dietro tutto l’occorrente.
Il ladro seguì il percorso che si era prefissato camminando o correndo accucciato. Spense una fiaccola lungo la strada attirando l’attenzione di altri due soldati. Mentre i due armeggiavano con l’olio per riaccenderla li attaccò alle spalle e tramortendoli ancor prima che si accorgessero di lui.
Lì sistemò allo stesso modo dei precedenti e proseguì. Impiegò mezz’ora e dovette stordire diverse guardie prima di arrivare alla Meteora.
L’aeronave era al centro di un cerchio di fiaccole che delimitavano l’area di atterraggio. Fluttuava a qualche metro da terra ed era tenuta ancorata da diverse zavorre. Una scaletta di corda pendeva dalla fusoliera ed una delle guardie personali del consigliere dei Gigli era stanziata alla base. L’energumeno se ne stava con l’ascia poggiata sulla spalla e gli occhi fissi nell’oscurità.
Callin sapeva che non poteva vederlo, ma il ricordo della sua avventura a Sinida lo fece propendere per un approccio più cauto.
Infilò le mani nella sacca e tirò fuori una sferetta grigia. Prese bene la mira e la lanciò verso l’uomo. L’oggetto lo centrò in pieno petto, andando in frantumi e rilasciando una nuvola di fumo bianco e denso. Quando si fu diradato, Callin vide la guardia riversa al suolo, profondamente addormentata. Si avvicinò con cautela e quando fu certo di averla neutralizzata, la legò e la spostò lontano dalle luci delle fiaccole.
Tornò alla scaletta e salì a bordo.
Dalla sua indagine pomeridiana, aveva capito che l’equipaggio non rimaneva a bordo dell’aeronave, quindi procedette spedito attraverso i corridoi austeri e metallici dirigendosi verso la prua.
Dopo un paio di minuti aveva trovato la sala di pilotaggio: vi entrò.
Si diresse verso il timone ancora evitando il minimo rumore, una piuma che leggera cadeva avrebbe fatto più rumore di lui.
Si muoveva svelto grazie alla sua vista. Scartò un paio di bombole di energia alchemica e riuscì a non inciampare contro le armi accatastate, senza troppo senno, insieme a vecchie coperte e alcuni sacchi in un angolo della sala comandi dell’aeronave.
Non era tutto completamente spento e gli strumenti di navigazione ronzavano leggermente. Non aveva mai pilotato uno di quei mezzi ma confidava nel fatto che l’equipaggio lo avesse tenuto pronto per una rapida partenza.
Impiegò qualche secondo per studiare tutto il quadro comandi davanti al timone. Molti degli indicatori non li capiva, ma riuscì ad individuare quello dell’altitudine, con la sua lancetta poco sotto i dieci metri, e quello fondamentale del carburante. Le sue aspettative furono soddisfatte quando si accorse di avere energia sufficiente per diverse ore di viaggio.
La parte anteriore della sala comandi, subito oltre il pannello di controllo terminava con una vetrata semicircolare che permetteva al pilota di avere un’ottima visuale. Da quella posizione Callin ispezionò parte dell’area di atterraggio che aveva attraversato per arrivare all’aeronave. Tutto era ancora silenzioso e le fiaccole ad olio che aveva spento per avvicinarsi inosservato erano ancora come le aveva lasciate.
Il ragazzo sorrise al buio della sala di controllo, mentre cercava il comando delle zavorre.
Vincent gli aveva spiegato che il gas contenuto nelle camere stagne sopra di lui avrebbe fatto alzare in volo l’aeronave ed avrebbe potuto usare l’alchimia per regolare l’altitudine, facendo a meno di accendere i potenti bruciatori. In quel modo si sarebbe allontanato silenziosamente e non avrebbe avuto bisogno di equipaggio per manovrare.
– Sei sempre stato silenzioso.
La voce gli arrivò chiara all’orecchio e musicale come era sempre stata. Lentamente si girò verso la fonte di quelle parole che era da qualche parte fuori della porta della sala comandi. Ancora una volta non produsse il minimo rumore, aveva un vantaggio: gli occhi di lei non vedevano al buio.
– Callin non muovere un muscolo, pensi davvero che ti avrei seguito senza precauzioni? Vieni qui e affrontami! Codardo!
Erano le ore più buie della notte e quindi il ladro poté scorgere i contorni della figura solo quando lei mosse i primi passi nella stanza. Ecco perché non si era accorto di lei e solo in quel momento riuscì ad identificarla, d’altronde non si fa caso a ciò che non si aspetta.
La sagoma ad ogni passo si fece più nitida, sino a mostrare la ragazza, che in una mano impugnava saldamente la pistola e nell’altra un campanaccio, gli occhi poi le brillavano stranamente nella notte. Non erano liquidi come i suoi nei momenti di forte emozione e nemmeno brillanti di un colore naturale. Erano due pozze azzurre luminescenti, perfettamente tonde.
Callin aveva sentito solo parlare di lenti speciali che avevano quell’effetto.
È vero, si è davvero equipaggiata bene pensò, mentre cautamente coprì la distanza che li separava.
Quando le fu di fronte non ebbe molto da dire.
– Fielia… – accompagnato da un sorriso amaro come pochi.
Era bella tanto quanto se la ricordava, i lunghi capelli rossi le scendevano morbidi sulle spalle, mettendo in risalto la carnagione chiara e i tratti delicati.
Gli occhi, però, erano tristi, spenti sotto quello strato luminescente.
Callin percepì immediatamente l’odio che trapelava da lei.
– Mi dispiace – disse sinceramente.
– Basta così poco Callin, secondo te?
Il mento tirato un po’ avanti, i lineamenti contratti, il clic del grilletto, il colpo in canna. La sequenza di immagini prese possesso della mente del ladro che non badò a rispondere. Stava già pensando ad una via d’uscita.
– Sai Callin, l’abbandono distrugge ogni parte di te. La certezza, poi, di essere stata solo un mezzo – fece una pausa per imprimere quelle parole nella mente del ragazzo – quella beh, rende la vendetta l’unico scopo delle tue giornate.
Le parole colpirono il ladro con la stessa intensità di piccoli dardi, lentamente gli si conficcarono sotto pelle per restare lì, in profondità.
Muto e immobile si limitava a guardarla.
– Sai, quando te ne sei andato ho iniziato subito a seguire mio padre, interessandomi a ciò che faceva – gli indirizzò un sguardo torvo, poi continuò – sai che lo detesto, vero? E avrei voluto fuggire?
La voce cominciò a salire di intensità.
– Rispondi Callin! Lo sapevi vero, che non volevo questa vita? – attese solo un attimo la risposta che non arrivò – Rispondi!
– Lo so, lo so – stridette lui, le parole venivano fuori smorzate. Si ravviò meccanicamente i capelli, protendendo il braccio verso di lei.
La pistola sparò più velocemente di quanto lui potesse ritrarre l’arto e il proiettile gli si conficcò, pulsante, nel avambraccio.
– Niente giochetti, Callin!
Un nuovo clic, un nuovo colpo in canna. Una risata isterica a fare da sottofondo, lenta e accusatoria.
– Sapevo che eri tu, solo tu potevi pensare di rubare addirittura all’accademia. L’ambizione Callin è il tuo punto debole e poi le guardie tramortite e non uccise. Ho visto le fiaccole spente, dalle mie stanze ed ho capito – una nota più isterica nella sua voce – Ti conosco troppo bene Callin, perciò ora il tuo braccio sanguina, perché altrimenti mi avresti ingannato di nuovo.
Il ladro la guardò, tamponando come poteva la ferita, la sua attenzione era però tutta per Fielia, ne ricordava così nitido il sorriso e non quell’espressione sogghignante.
– Mi dispiace, non…
– Zitto! Non dire niente! Io voglio solo la mia vendetta.
– Non ti servirà a nulla – sentenziò il ragazzo, lo sguardo rassegnato.
L’atteggiamento del ladro catturò i suoi occhi e lei ammutolì di colpo. Lentamente si mosse per farsi più vicino.
Entrambi in silenzio si guardavano muti.
Poi lui fu troppo vicino e nessuno dei due seppe che fare. Tremante Callin l’abbracciò e lei tempestò di pugni e lacrime il suo petto. Il ladro cautamente le accarezzò i capelli. Così facendo le sue lacrime divennero singhiozzi.
Il ragazzo dal canto suo era sorpreso dalla piega presa degli eventi e continuò a stringerla tenendo ben d’occhio il campanaccio che Fielia aveva ancora in mano.
Ad un tratto le lacrime si spensero e lei lo guardò serena e bellissima. Poi lo baciò.
Impeto, passione e disperazione c’erano in quel contatto breve e intenso.
Le labbra di Fielia lasciarono le sue e si spostarono accanto all’orecchio, dolci e bramose mentre gli sfioravano la guancia.
– Io, avrò la mia vendetta! – sussurrò piano.
La ragazza iniziò a scuotere sonoramente la campana e a gridare per attirare l’attenzione.
Il ladro rimase impietrito a guardarla, Fielia ormai staccatasi rideva e piangeva mentre dava l’allarme.
Sarebbe ancora potuto scappare, ma rimase intontito un secondo di troppo. Quando reagì poteva già distinguere, attraverso la vetrata, i primi soldati imperiali avvicinarsi all’aeronave. Anche i loro occhi brillavano sinistri.
Callin guardò un’ultima volta Fielia. Poco distante la ragazza si mordeva il labbro e gli occhi si muovevano inquieti spostandosi dal viso del ladro, al suo braccio agli uomini che si affollavano nell’area di atterraggio.
– Approfitta del trambusto e scappa da tuo padre, puoi ancora farlo! Ci sono dei ribelli, trovali, prima che loro trovino la tua famiglia!
Proruppe il ragazzo, prima di pensare a ciò che stava rivelando. La frase fu accompagnata da un sorriso ma il volto di Fielia era come granito: impossibile capirne il pensiero.
Ancora una volta, forse l’ultima, i loro sguardi si incrociarono, eterni solo per la frazione di quel secondo, poi Callin smise di pensare ed agì. Agguantò la ragazza, bloccandole il braccio con la pistola prima che potesse sparare ancora. Glielo torse dietro la schiena, costringendola a lasciare andare l’arma. Prese a spingerla oltre la porta della sala comandi, sul ponte laterale scoperto. Fielia si dimenò con tutte le sue forze, ma l’azione rapida del ladro l’aveva costretta in una posizione da cui non poteva liberarsi senza lussarsi la spalla.
Arrivati al parapetto il ragazzo si affacciò ed individuò una catasta di pezzi di ricambio accanto ai quali era parcheggiato un carro coperto. Senza perdere tempo ed aiutandosi con il braccio ferito, issò la ragazza oltre la ringhiera e la lanciò sul telo di copertura del carro. Lei urlò durante la caduta, ma la distanza era troppo breve e la caduta attutita dalla stoffa. Nella peggiore delle ipotesi si sarebbe ritrovata con qualche ematoma.
Liberatosi di Fielia, il ragazzo corse di nuovo nella sala comandi e mollò tutti gli ormeggi, permettendo all’aeronave di decollare.
Mentre saliva lentamente verso il cielo, si strappò la manica della camicia e si fasciò alla meglio la ferita. Sentiva chiaramente i passi dei soldati che correvano verso la sala di controllo. Recuperò la pistola di Fielia e si preparò ad accoglierli.
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