Home » Storie e racconti » Illiar - L'Elemento Mancante » Capitolo 11 – Favola romantica

Capitolo 11 – Favola romantica

Callin procedeva spedito per le strade di Saroh con la sicurezza di chi, pur non sentendo suo quel posto, vi ha trascorso così tanto tempo da imprimersi nella mente l’intera topografia della città. Strade, vicoli e passaggi ben nascosti non erano un segreto per lui nonostante la caoticità della città e il suo continuo modificarsi ad opera dell’accademia. Il trucco era semplice. Gli alchimisti davano l’impulso al progresso, ma quello che realmente si modificava era solo l’aspetto della città: la struttura restava immutata. Il ladro sentiva distintamente il terreno e i sassi che, immobili, osservano i passanti e gli edifici da ormai centinai di anni, spettatori silenziosi di quella metamorfosi urbana… avevano mai visto sua madre?
Si riscosse con rabbia dai quei pensieri, tentò di calmarsi. Doveva concludere un nuovo incarico non doveva distrarsi, tanto meno per chi non si era mai curato di lui.
Pensare alla sua missione però, gli causò una nuova irritazione. Avrebbe dovuto rintracciare un vecchio ed una ragazza.
Maledetto Morel! Callin aveva cominciato a stancarsi delle sue missive striminzite, come anche delle apparizioni a sorpresa dei suoi scagnozzi. La sera prima, come tutte le volte, del resto, un uomo lo aveva bloccato in una locanda di Saroh. Era un messaggero nuovo, diverso da quello che lo avvicinava di solito a Saroh, ma aveva il solito modo di comportarsi come che in ogni gesto ci fosse una tacita minaccia. Il messaggio si riduceva a poche righe e un ritratto.
Era un ladro non un rapitore, non gli piaceva quell’affare. Non lo spaventava la possibilità di fallire: c’erano uomini di Morel in tutta Saroh ed il suo compito era solo quello di rintracciarla, poi ci avrebbero pensato loro. Gli bastava il giusto segnale ed uno di loro lo avrebbe avvicinato per raccogliere i frutti del suo lavoro.
Alla terza banchina sul lato ovest del porto, compi un giro intorno alla prima bitta e poi siediti su di essa, così recitava il messaggio. Quello il segnale. Quello il modo per condannare una giovane ragazza.
Non era un lavoro complesso per lui, abituato com’era a raccogliere ogni tipo di informazioni prima di ogni furto. Tuttavia poco accettava l’dea di essere un segugio consapevole, di essere colui che avrebbe consegnato una ragazza nelle mani di uno come Morel. Ripensò al ritratto: il sorriso aperto di quello schizzo, occhi limpidi e l’aria fiera.
La mente vagò sui tratti di quel viso e il cuore, che stava avvolto da strati di opportunismo e menefreghismo, pulsò nuovamente intenso, regolare e libero per un solo attimo. Un solo attimo, poi tutto ritornò piatto e Callin continuò la sua ricerca, determinato. Non si accorse quasi che la mano destra, in tasca, stava stringendo con forza quel ritratto.
Arrivò al porto nel primo pomeriggio, di pessimo umore, ma quello non gli aveva impedito di formulare un buon piano condito da un pizzico di arguzia. Si finse il povero innamorato di quella ragazza. In breve inventò, una bella storiella: i genitori li avevano allontanati e lui la cercava disperatamente. La sua innamorata era in compagnia del padre, ma lui avrebbe voluto dirle un’ultima volta di amarla. Ah, se qualcuno l’avesse potuto aiutare.
I due giovani si amavano veramente, crudeli i parenti a mettersi tra di loro! Ecco cosa dicevano le persone che erano state avvicinate da Callin. Facile per la gente credere ad una dolce favola davanti al ladro così appassionato e così sincero. Le bocche si aprivano e ben presto si formò un passaparola, che lento si diffondeva per strade e vicoli del porto. Chiunque avesse avuto un po’ di tempo avrebbe aiutato quel povero ragazzo. D’altro canto è facile cedere al romanticismo e allontanarsi dalla concretezza e dal realismo della vita quotidiana.
Strano come si sappia fingere bene qualcosa che non si è mai provato, pensò il ragazzo mentre continuava a spingersi sempre più nel cuore della città e recitare la sua pantomima.
Le ore passavano senza nessun risultato, ma Callin continuava la sua recitazione con costanza e dedizione, fiducioso che presto tardi avrebbe dato i suoi frutti. D’altronde quello era un suo piano e non poteva fallire.
Verso la fine della giornata seppe che non si sbagliava.
– Ragazzo! Ragazzo! – un uomo sulla settantina lo fermò con la sua voce un po’ gracchiante.
– Buon signore, mi può essere d’aiuto?
Occhi chiari saggi e lontani scrutavano Callin contornati da rughe ancora più fitte ora che lo soppesavano. Il ladro però era un attore nato: l’espressione tormentata era ancora nei suoi lineamenti, le mani stringevano il ritratto con più foga.
– Mi posso fidare, ragazzo? – Una nota di incertezza nella voce del vecchio.
– Sì, certo – decisione, stabilità nel tono del ladro.
– Io forse l’ho vista, la tua fidanzata… – e fece cenno a Callin di porgergli il ritratto.
Il ragazzo eseguì e lo osservò pieno di finta speranza mentre scrutava i dettagli del disegno.
– Sì, è sicuramente lei – disse infine il vecchio con più sicurezza.
– Davvero buon signore, dove? Ve ne prego, mi struggo per lei, non dormo e non mangio. Ho bisogno di vederla ancora una volta!
L’uomo però sembrò non ascoltarlo perso in qualche suo ragionamento. La tristezza deturpò i suoi lineamenti raggrinziti, quando parlò la voce era venata di dolore.
– Anche io un tempo ho amato così, però lei non lo ha mai saputo. Era la promessa di un altro –
un sorriso luminoso gli distese ogni cipiglio e gli illuminò lo sguardo, poi aggiunse – l’ho amata tantissimo.
Ed ecco la differenza fra la finzione di una favola romantica e la realtà. Stava in quel sorriso inimitabile che il vecchio gli rivolgeva. Callin non conosceva niente capace di farlo sorridere in quel modo. Per un singolo momento la maschera del ladro si spezzò e l’incertezza si fece largo sul suo viso, fu però bravo a sfruttare l’attimo di debolezza.
– Mi state dicendo che la dovrei lasciare andare? – chiese con tutta la tristezza che riusciva a far trasparire.
– Non so ragazzo, ma io ti dirò dove si trova, poi dipenderà tutto da te.
– Grazie buon signore.
– Alloggia alla taverna del Sole con suo padre, li ho visti affittare una stanza lì ieri a quest’ora.
– Grazie buon signore – ripeté Callin.
Prima che l’uomo potesse dire ancora qualcosa, il ladro si voltò incamminandosi verso la locanda. Non poté però impedire all’Aria di trasportargli le ultime parole del vecchio.
Buona fortuna ragazzo, possa trovare il tuo amore.
Appena fu fuori dal campo visivo dell’uomo, cambiò direzione, puntando verso il porto. Impiegò diverso tempo a tornarvi: prese strade poco trafficate spesso allungando il suo tragitto e scegliendo i passaggi più nascosti. Silenzioso e non visto, ormai coperto dalla notte che era sopraggiunta, Callin arrivò alla sua destinazione, quella dalla quale avrebbe dovuto avvisare gli uomini di Morel.
La terza banchina era illuminata trasversalmente dalle lanterne del porto e delle imbarcazioni. Il Mare stranamente calmo sciabordava lievemente e le persone continuavano il loro andirivieni in un ritmo di lavoro frenetico nonostante l’ora tarda.
E sulla banchina la prima bitta, che segnava il confine fra un ladro e un rapitore. Callin la osservava nascosto in un vicolo tra due capannoni, in ombra.
Era orgoglioso per l’ennesima sfida che riusciva a risolvere, si divertiva nella sua professione. Ogni lavoro era un nuovo gioco e lui vinceva sempre. Poi però ripensò a quel vecchio, al ritratto che continuava a stringere in pugno sebbene ormai inutile.
Capì in quel momento che non avrebbe mai potuto sorridere in quel modo se avesse consegnato la ragazza. Era pronto a rinunciare ad una cosa del genere senza averla mai provata?
Non conosceva la risposta. L’incertezza lo metteva in una posizione non definita, in bilico.
Guardò ancora la bitta poi il Mare quasi a chiedergli consiglio. Improvvisamente si voltò tornando indietro. Non sapeva, però, se l’indomani non avrebbe spinto i suoi passi sino alla bitta. Certamente aveva rimandato la condanna della ragazza.

– Siamo sicuri che sia questo il posto? – chiese Rose un po’ spazientita.
– Deve per forza essere qui da qualche parte – le fece eco Vincent mentre tastava il muro scalcinato di quel vecchio edificio che stavano ispezionando da una buona mezz’ora.
– Lo hai già detto almeno dieci volte, perché non ammetti che i tuoi ricordi di questa città non sono così attendibili?
L’uomo borbottò tra sé qualcosa che la ragazza non capì, ma continuò a setacciare palmo a palmo la parete di quella che era una fabbrica in disuso.
Rose si rassegnò. Avevano seguito le indicazioni contenute nel biglietto che aveva dato loro Feal’d. Erano andati nella zona di periferia a nord di Saroh, quella piena di fabbriche che lavorano notte e giorno per produrre tutto quello che può servire alla marina civile e militare dell’impero. Avevano trovato, non senza difficoltà, quella fabbrichetta abbandonata, incastrata tra due colossali edifici neri che invece erano in piena attività. Le strade si potevano dire deserte, fatta eccezione per quei dieci minuti scarsi intorno alla mezzanotte, quando, alla fine del turno di lavoro, una gran numero di operai si era dato il cambio alle catene di montaggio. File indistinguibili di persone compatte e ordinate, mille fiammelle silenziose che, stanche, tornavano alle loro vite.
Visto che tutti gli ingressi erano sbarrati, si erano nascosti per evitare occhi indiscreti ed avevano atteso l’arrivo dell’alchimista in rosso, amico di Vincent. Stufo di attendere, il suo maestro aveva preso ad analizzare la facciata della fabbrica abbandonata in cerca un segno o una traccia che indicasse la presenza di Feal’d.
Rose stava per protestare di nuovo, quando un cigolio a sei metri sopra le loro teste attirò la sua attenzione. Una lunga serie di finestroni rettangolari correva tutto intorno all’edificio ed in quel momento, uno di essi si stava aprendo sul vicolo dove si trovavano, facendo staccare dei calcinacci.
Dall’apertura spuntò prima una lanterna, sorretta da una manica rossa, poi subito dopo la testa di Ainieal che scrutava nel buio del vicolo sottostante, probabilmente alla loro ricerca.
– Ragazzo qui! – disse Vincent senza urlare troppo.
– Salve maestro Vincent. Il maestro Feal’d sarà felice che siete venuto. – rispose il giovane con tono allegro – attendete un attimo!
Ainieal sparì nel finestrone.
– Ragazzina, te l’avevo detto che era questo il posto! – bisbigliò Rose all’indirizzo del suo maestro cercando di imitare la sua voce.
Vincent le scoccò uno sguardo gelido.
– Scusa, non ho resistito – si giustificò Rose abbassando lo sguardo.
– Ragazzina, te l’avevo detto che era questo il posto! – le disse l’alchimista prima di regalarle un ampio sorriso.
Entrambi ridacchiarono.
Ainieal non ricomparve ma lanciò una corda giù dal finestrone.
– Salite – disse solamente dall’interno.
Rose rimase perplessa.
– Sta scherzando, vero? – chiese la ragazza perplessa.
– Io credo di no! – le rispose l’uomo – Cos’è, la corda non è di tuo gradimento?
– Perché dovrebbe esserlo se posso fare così? – e con queste parole, si avvicinò al muro poggiando una mano sulla sua superficie. Silenziosamente una serie di mattoni spuntarono dalla parete formando una scala a pioli di pietra che si innalzava fino al finestrone.
– Questa è più comoda – sentenziò, mentre saliva spedita verso l’alto.
– Non hai torto – sentì dire al suo maestro che la seguiva, una sfumatura ilare nelle sue parole.
Arrivati in cima, entrarono e si ritrovarono al secondo piano della fabbrica, su una specie di soppalco di legno. Vincent fece sparire la scala di pietra, prima di chiudere il finestrone dietro di sé.
– Seguitemi, vi condurrò dal maestro Feal’d – disse il giovane apprendista.
– Puoi darci un attimo? – chiese Vincent – vorremmo indossare qualcosa di più adatto a questo incontro.
Sentite le parole del maestro, Rose tirò fuori, dalla sacca che teneva legata in spalla, due tuniche blu notte. Ne tenne una per sé e l’altra la lanciò a Vincent. Velocemente le infilarono e l’uomo colse l’occasione per dismettere il suo solito travestimento, poi si rivolsero verso Ainieal.
Il ragazzo fissò le maniche di Rose sconcertato, l’espressione spavalda dissolta dal suo volto.
Era il turno della ragazza di sorridere sfrontata, proprio come al suo arrivo aveva fatto lui, ma il giovane guardava le sue maniche e lei si trovò nuovamente a studiarne il volto.
– Ragazzo? Vogliamo andare? – chiese Vincent, la sua voce a smuovere i due giovani.
– Sì – Ainieal si riscosse e prese a camminare con la testa china, imboccando una scalinata che andava al piano di sotto.
Tutta la fabbrica era buia e polverosa. Due serie di macchinari coperti da teli che dovevano essere bianchi ma che la sporcizia aveva reso grigio scuro, giacevano immobili formando il corridoio centrale che i tre stavano attraversando, diretti ad una porta in fondo all’edificio.
Quando giunsero a destinazione, il ragazzo bussò due volte, poi senza attendere risposta li fece accomodare. Rose credette di aver cambiato edificio: erano entrati in un elegante studio dal mobilio scuro. A farla da padrone era una grande scrivania a centro della stanza, con tre poltroncine imbottite disposte sul davanti ed una più grande sistemata dietro, già occupata da Feal’d.
Il grosso alchimista era intento a studiare Kimi, che stava seduta al centro della scrivania e lo fissava con la testa inclinata. I due ragazzi rimasero perplessi, Vincent sorrise.
Feal’d interruppe la sua attività, si alzò e chinò la testa in segno di saluto.
– Benvenuti.
I quattro si accomodarono tutti insieme e Kimi abbandonò la sua posizione per balzare in grembo a Rose ed acciambellarsi sulle sue gambe. La ragazza l’accarezzò distrattamente detestando la linea dei suoi pensieri.
– Esemplare curioso – commentò Feal’d.
– Scusala – disse Vincent – io stesso non ho ancora capito come fa ad entrare ovunque voglia.
– Non è importante – disse con tono sicuro e imperioso il maestro alchimista in rosso – abbiamo altre faccende da discutere.
Rose si fermò a riflettere su come il comando, spesso, donasse quelle caratteristiche alla voce e al comportamento di chi lo possedeva.
– Procediamo allora – concordò Vincent.
Feal’d fece un cenno al suo apprendista che si alzò e prese a frugare in un mobiletto lì accanto.
– Prima di tutto, vorrei informarti che un giovane sta facendo domande su di lei – spiegò l’omaccione indicando Rose – dice di essere il suo fidanzato.
– Io non ho un fidanzato! – la ragazza arrossì violentemente nel vedere gli occhi di tutti puntati su di lei, soprattutto consapevole di quelli verdi accessi, che la scrutavano divertiti.
– Ne sono consapevole – rispose freddo Feal’d guardandola per la prima volta, poi si rivolse di nuovo a Vincent – È lecito supporre che Morel vi sta cercando attivamente.
– Lo so, Feal’d. Era previsto dopo quello che è successo ad Aios – il tono sereno lasciava intendere che l’alchimista avesse davvero previsto quell’eventualità.
– Se volessi condividere alcuni dettagli della vicenda, potremmo esserti d’aiuto. – invito, non un ordine. Occorreva il giusto tatto per comunicare con un leader e Vincent lo era sempre stato.
L’alchimista accolse la proposta dell’amico e spiegò velocemente gli eventi che lo avevano portato a tornare a Saroh. Rose notò come aveva evitato accuratamente di nominare Leira e la sua morte e gli fu grato. Feal’d ascoltava in silenzio, senza staccare gli occhi di dosso da Vincent. L’unico momento in cui posò lo sguardo sulla ragazza fu quando realizzò da quanto poco tempo stesse studiando l’alchimia. Come aveva fatto Ainieal prima di lui, indugiò parecchio sui ricami della tunica di Rose, ma non proferì parola.
Quando Vincent ebbe terminato il resoconto, Feal’d chiuse un attimo gli occhi, poi li riaprì.
– Come te, anche noi abbiamo bisogno che Morel venga eliminato.
– Noi chi, per l’esattezza? – chiese Vincent, raggiungendo finalmente l’unico motivo per cui si era presentato all’incontro.
Feal’d prese la lettera che il suo apprendista gli aveva ritrovato nel mobile e la porse all’amico.
– Questo è il sigillo alchemico del Priore Recro? – chiese un po’ sbigottito l’alchimista.
– Senza alcun dubbio. Il Decano Recro l’ha scritta di suo pugno davanti ai miei occhi.
– Recro è stato nominato Decano? Quando? – la sorpresa ormai aveva preso il sopravvento e Vincent non si curò più nemmeno di apparire impassibile o per lo meno disinteressato.
– Non esattamente. Forse è meglio che tu legga la lettera.
Vincent strappò il sigillo e srotolò la pergamena. C’erano poche righe che scorse velocemente con lo sguardo. Gli altri rimasero in silenzio mentre leggeva e metabolizzava le informazioni.
– No posso. – disse risollevando lo sguardo e piantandolo nelle iridi nere di Feal’d – Anche volendo, non posso!
Rose seguiva i movimenti del suo maestro ed il suo turbamento era evidente. Rimase sorpresa quando questi le porse la pergamena per fargliela leggere.
La calligrafia elegante e le lettere lunghe e strette si susseguivano scorrevoli. Il contenuto però era vago, forse per paura di fornire troppe informazioni in caso fosse stata intercettata. Parlava di un’accademia libera, una diversa da quella che aveva conosciuto Vincent, una che si nascondeva da qualche parte e che si opponeva a quella corrotta guidata dal Decano Solinar. Nella lettera si parlava anche dell’Illiar che l’alchimista aveva rubato da giovane, diceva che la causa di quell’accademia parallela e ribelle avrebbe tratto un gran vantaggio dall’entrare in possesso di quell’oggetto.
– Cosa ti impedisce di darci l’Illiar? – chiese Feal’d a Vincent. Una stonatura nella sua voce, il gigante non era più impassibile. Rose tornò a porre attenzione alla conversazione.
– L’ho distrutto, tanti anni fa. – lo sguardo vagava lontano a caccia di ricordi.
– Ma tu sei l’unico che potrebbe ricrearlo.
– Ci vorrebbe molto tempo ed attrezzature di cui non dispongo.
– Noi le abbiamo. – concluse l’alchimista in rosso, spiazzando l’amico.
– Avevo capito che siete un piccolo gruppo di ribelli.
– Piccolo sì, ma abbiamo qualche amico potente.
Vincent rifletté per qualche secondo prima di rispondere.
– Non ho intenzione di considerare la proposta finché Morel è ancora in grado di respirare.
– Allora dovremmo discutere di come porre fine alla sua vita.
La praticità con cui Feal’d trattava l’argomento lasciò basita Rose. Stavano parlando di un maledetto bastardo, è vero, ma si trattava comunque di uccidere un uomo.
– Ho già un’idea, amico mio – rispose Vincent – ma te ne parlerò domani notte.

(562)

Capitolo 10 - Scelte del passato
Capitolo 12 - Fuochi d'artificio
The following two tabs change content below.
avatar

Lissa

secondo nome Stachanov, non riesce a stare con le mani in mano, ogni minuto in cui non si è impegnati in qualche attività è un minuto perso! Le piace dialogare con le persone e cerca di avere pochi pregiudizi, non sempre le riesce… soprattutto quando le demoliscono i suoi libri fantasy preferiti. Passione e hobby unico lettura di libri, ovviamente, fantasy, ha provato anche altri generi con scarso risultato, sempre alla ricerca di qualche nuova bella saga da scoprire, insomma, leggere è l’unica cosa che non si stancherebbe mai di fare.

1 Comment

  1. avatar RossellaS ha detto:

    Interessante svolta. Non è che si ripete la storia dei triangoli amorosi, vero?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I Cookies permettono alle Lande Incantate di riconoscerti la prossima volta che tornerai a farci visita. Navigando sulle nostre pagine ci autorizzi a farne uso per rendere la tua esperienza migliore. Maggiori informazioni | Chiudi