– Vincent,Vincent! L’hanno preso. Una scusa, un pretesto non gli serviva che un suo passo falso!
La voce incrinata, gli occhi di giada scuriti dall’apprensione. Come si trasformava il viso di Alette quando si trattava di Verritt. Stupida gelosia, le implicazioni di quello che gli stava dicendo erano molto più gravi.
– Calmati.
La mano dell’alchimista si alzò per confortarla, ma a metà strada ricadde.
– Calmati – ripeté di nuovo, la voce atona.
Ma lei non l’ascoltava scuoteva la testa, i capelli lunghi e neri le coprivano il volto e ondeggiavano ad ogni suo diniego. Era sotto shock.
Lunghi istanti passarono e lui si limitava ad osservarla. Sapeva cosa avrebbe voluto da lui. Tuttavia le sue decisioni erano già prese.
Un tremito del corpo di Alette, i pugni chiusi un po’ più forti.
La partita si stava giocando, loro erano dalla stessa parte eppure le nuove variabili li avrebbero divisi.
Lo sapeva, poteva evitarlo, repentino scartò l’idea. La sua decisione rimase la stessa.
– Alette van Rothen! – Questa volta il suo tono era secco, urgente. C’era poco tempo e, all’alba di domani, non ce ne sarebbe stato più.
La giada ora tendeva al nero, il colore dell’accusa.
– Hai capito quello che ho detto? Te ne importa qualcosa?
Sostenne il suo sguardo, ma era distante.
Quando esattamente sono diventato questo tipo di uomo?
Alette indurì la mascella, ora il suo viso non era più vulnerabile. Pietra dura contro il marmo: l’espressione dell’uomo non mutò.
– Non è questo l’importante. La tua domanda è un’altra…
– Il saggio Vincent. Il meschino, saggio Vincent – Lo interruppe lei, era quasi un grido.
Poi gli si scagliò contro, piccoli pugni a tempestargli il petto.
Lui si poggiò alla libreria con la schiena, sopportando in silenzio, quella era una cosa che poteva ancora fare per lei, una delle poche.
Spesso la ragazza sfogava così il suo nervosismo, era un rito da quando erano degli allievi dell’accademia. Ingenui allievi.
Come si divertiva dopo a prenderla in giro, ridevano sempre di gusto di quegli avvenimenti. Col passare del tempo era diventata una consuetudine che non si concludeva più con delle risate, ma nella camera di uno dei due.
Quella volta però i colpi cessarono senza né l’uno né l’altro epilogo.
– Non lo salverai, vero Vincent? Non mi aiuterai? – Voce sommessa, la rabbia sopita. Lo sguardo fisso nel suo.
– Alette, non posso.
– Non vuoi.
– Abbiamo già sostituito l’Illiar e domattina, quando riprenderanno i lavori, se ne accorgeranno. Se non saliamo sul ragno stanotte, non avremo un’altra occasione. Quello per cui ci battiamo, Alette, è più importante e lo sapevamo dall’inizio di questo gioco.
– Sta’ zitto! Sempre nobili ragionamenti, sempre il primo della classe. Ammettilo Vincent! Dillo non aspettavi altro! Dalla prigione, Verrit non sarà più un problema, vero? Non potrà più allontanarmi da te! – le parole sputate, ecco di nuovo la rabbia e l’accusa nel timbro della ragazza e nei suoi occhi che non avevano lasciato quelli dell’alchimista.
Il lineamenti dell’uomo rimasero di marmo.
– Se davvero lo pensi perché sei venuta?
Una frattura della maschera del volto di Vincent: i suoi occhi, traditori, chiedevano ad Alette di capire e di non lasciarlo, di partire come d’accordo. Lei lo capì. A lei non poteva nascondere nulla.
– Ti amo – si arrese infine, lo disse con semplicità. Voleva farlo un’ultima volta se quello era il loro addio.
Alette non parlò, non subito, rimase lì ad osservarlo. Lacrime agli angoli degli occhi. La rabbia era sparita e ora la giada era quasi trasparente. Specchiandosi, Vincent capì l’intensità del dolore di Alette, era così uguale al suo.
– Mi dispiace – disse la ragazza
Si sbottonò la collana lentamente, il pendaglio di ametista e cobalto catturò la poca luce della stanza, Vincent ne seguì la direzione dalla collo della ragazza sino alla sua mano. Le sue dita si chiusero intorno all’oggetto e lei le baciò ad una ad una.
I loro occhi si incontrano ancora, poi ci fu il distacco. Alette si voltò e corse via dalla stanza lasciando Vincent svuotato a crollare seduto sul letto.
La mattina del giorno dopo vide Vincent sulla collina innevata al di sotto del monte Senne. Da quel punto uno stretto sentiero l’avrebbe portato a valle, alla stazione da cui sarebbe partito il convoglio di ragni. Sagoma scura alle prime luci dell’alba, era, però l’unica ombra proiettata sull’erba.
I primi raggi colpirono il Senne. Era il segnale che avrebbe dovuto sancire la loro partenza: la fuga insieme ad Alette e Verrit. Vincent però era ancora solo.
L’alchimista si avviò per il sentiero senza voltarsi indietro, nella mano destra stringeva forte il ciondolo di Alette.
Vincent si svegliò ancora con le sensazioni del sogno, dei suoi ricordi, incastrati nel suo essere. Rimorso e rancore, i suoi più fidati amici, da tanto tempo erano con lui. Non gli importava, aveva scelto le sue battaglie e quella di Alette aveva deciso di non combatterla.
Solo, si chiedeva se fosse sopravvissuta….
– Vincent siamo vicini!
Questa volta la voce, un po’ stridula, era reale. Proveniva dal di fuori della porta chiusa della sua cuccetta. Era Rose.
La fuga, quindi, questa volta era diversa, vero? Aveva qualcuno a cui badare e non solo il rimorso e il rancore a fargli compagnia.
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La Freccia dell’Est entrò nel gigantesco porto di Saroh una trentina di minuti più tardi.
L’imponente nave metallica, una delle più nuove della flotta civile dell’impero, scivolava silenziosa tra i vascelli ormeggiati, facendo impallidire quelli che nella passata generazione dominavano il mare.
Quando si erano imbarcati ad Aios, una serie di scialuppe avevano traghettato i passeggeri fino al colosso metallico perché era troppo grosso per ormeggiare nel porto dell’isola. A Saroh era tutto diverso. La Freccia dell’Est aveva un suo posto assegnato lungo la banchina, accanto ad una delle sue tre gemelle, attraccata per fare rifornimento.
Quando il portellone posteriore fu abbassato, Rose, Vincent e Kimi erano in terza fila, pronti ad uscire dal ventre della nave. I primi due con una sacca in spalla, la gatta con un piccolo fagottino verde smeraldo legato sulla schiena.
La luce del sole investì i passeggeri che scendevano ordinatamente, in fila per quattro, e molti dovettero coprirsi gli occhi per fronteggiare il riverbero della luce.
Furono tutti guidati da alcuni addetti attraverso un tortuoso percorso indicato da cordoncini che li portò ad un posto di controllo servito da quattro militari.
– Documenti – chiese con voce annoiata il primo degli uomini con la divisa bianca tipica dei soldati assegnati alla flotta imperiale.
La donna davanti a Rose gli porse una pergamena arrotolata. Dopo una rapida occhiata, il soldato la passò ad uno dei suoi colleghi che stavano seduti ad un tavolo coperto da un tendone. Quest’ultimo annotò qualcosa in calce al foglio e lo restituì alla donna.
– Documenti – chiese a Rose.
La ragazza gli porse due pergamene.
– Una è di mio padre qui dietro – disse indicando distrattamente Vincent, che per l’occasione aveva ritoccato il suo travestimento per apparire ancora più vecchio del solito. – sapete, è un po’ distratto.
L‘alchimista si esibì in un sorriso ebete accompagnato da uno sguardo vacuo all’indirizzo del soldato.
– Rosh di Aios e sua figlia Rose – annunciò al suo collega consegnando il visto di sbarco.
La ragazza, a sentir pronunciare il nome di suo padre per intero, rimase spiazzata. Erano passati anni dall’ultima volta e la sua mente slittò in un secondo tra i ricordi. Si riscosse un attimo prima che le riconsegnassero i documenti. Prese sotto braccio Vincent e si allontanarono dal posto di controllo, finalmente liberi di andare dove meglio credevano.
Furono investiti all’istante dalla folla che si muoveva frenetica nello spazio antistante alle banchine. Carretti pieni di merce o appena svuotati si inseguivano in apposite corsie predisposte per i mezzi di trasporto commerciale e delimitate da linee dipinte in terra. La gente correva da ogni parte senza curarsi troppo di chi vi fosse intorno. Il vociare esageratamente confuso, quasi cacofonico, rendeva addirittura difficile parlare con la persona che si teneva accanto.
I poveri passeggeri venivano sballottati in diverse direzioni indipendenti dalla loro volontà, alla mercé del ritmo frenetico del porto di Saroh.
Vincent, preparato a tutto ciò, tirò il braccio di Rose per indirizzarla verso una parte meno affollata.
Una serie di capannoni per lo stoccaggio delle merci fungeva da confine tra la piazza del porto ed il resto della città. Saroh stava distesa sul vasto delta del fiume Rand appestando l’acqua con gli scarichi delle fabbriche di recente costruzione che Rose riusciva a distinguere dalle loro alte ciminiere: torri nere a ferire il cielo grigio di fumo.
La ragazza era già stata in quella città da bambina, insieme al padre ma i suoi ricordi non combaciavano con quello che vedeva.
– È cambiata parecchio, vero? – commentò Vincent che aveva evidentemente interpretato il suo sguardo smarrito.
– È come se ci venissi per la prima volta.
– Con la spinta dell’accademia, dieci anni sono più che sufficienti per cambiare radicalmente anche una città come Saroh – concluse Vincent con una punta di rammarico nella voce.
Senza dire altro, l’alchimista indicò a Rose un largo viale che si allontanava dalla piazza del porto ed i due cercarono di raggiungerlo, immettendosi di nuovo nella marea di persone che fluiva da e verso le banchine. Kimi pensò bene di saltare in braccio a Rose, per non farsi calpestare e si sistemò con la testa sulla spalla della ragazza.
Camminando ad occhi bassi per non pestare i piedi alla persona che aveva davanti, la ragazza si ritrovò a pensare agli ultimi due mesi. Dalla morte della madre si era sempre tenuta impegnata. Spettava a lei organizzare la cerimonia funebre, ma fortunatamente aveva scoperto che Leira aveva molti più amici di quanti lei stessa pensasse. Oppure magari era come sosteneva Vincent, che la morte ti rende amico di tutti. Dopo l’ultimo addio alla madre, l’alchimista l’aveva tenuta impegnata a tempo pieno con gli studi per un mese mentre lui organizzava la loro fuga ed anche sulla Freccia dell’Est, nei venti giorni di viaggio, aveva sempre avuto qualcosa da leggere per migliorare le sue capacità da alchimista. Le sembrava che fosse passata una vita da quando tutto era cambiato, di nuovo, ma le parole di sua madre la inseguivano. Erano la sua triste ninnananna prima di dormire e spuntavano in ogni altro momento in cui il cervello era abbastanza libero da andare alla deriva.
Hai peggiorato ogni cosa…
Il senso di colpa l’attanagliava d’improvviso, come un’ombra che alle volte si vede nitida, sovrastante e altre volte è dietro di te nascosta, tuttavia sempre presente. La sua colpa, la sua ombra, il suo carattere testardo.
Ad alleviare il suo cuore c’erano le parole del suo maestro: una scelta è un bivio sconosciuto, decidere quale strada percorre è un incognita. Ma se una seconda volta siamo disposti ad operare la stessa scelta, non vi è dubbio che si tratti dell’unica soluzione possibile. E Rose, l’avrebbe fatto. Avrebbe scelto di nuovo la via dell’alchimia migliaia di volte.
La sua mente fu destata da un tocco gentile dell’alchimista sulla spalla. Alzò la testa e vide che erano arrivati al viale. Seguendo con lo sguardo quello del suo maestro, individuò un’alta figura in tunica rossa che scrutava la folla di passaggio alla ricerca di qualcuno.
Vincent cambiò strada, trascinando con se Rose dall’altra parte solo per bloccarsi di nuovo davanti ad un’altra persona in tunica rossa. Un ragazzo dall’aria un po’ spaventata ma dallo sguardo determinato. Li studiava come se cercasse qualche segno di riconoscimento.
Vincent fece per aggirarlo con non curanza, ma il giovane gli sbarrò il passo.
– Voi siete il maestro Vincent? – chiese visibilmente sorpreso.
– Hai sbagliato persona – rispose l’alchimista con un sorriso cordiale e fece per muoversi di nuovo tirando il braccio di Rose.
– Il ragazzo non si sbaglia – una voce profonda alle spalle della ragazza la fece voltare di scatto.
L’altro alchimista in rosso torreggiava su di loro. Braccia conserte, carnagione scura che spiccava contro il colore della tunica ed un’espressione fredda lo rendevano oltremodo minaccioso.
Vincent sospirò. Si voltò verso quel gigante e sorrise.
– Feal’d, n’è passato di tempo. – disse cordiale – non sei quasi cambiato.
– Non nell’aspetto – rispose Feal’d mettendo in mostra le maniche della tunica, finemente decorate fin sulle spalle dai fili argentei.
I due si guardarono negli occhi per alcuni secondi, studiandosi, poi Vincent si alzò il cappuccio della tunica sulla testa. Quando lo riabbassò i suoi capelli erano del loro colore naturale ed anche il volto non mostrava più le rughe del travestimento.
Il verde degli occhi del ragazzo che li aveva fermati si tinsero di stupore e le guance persero il loro colore bronzeo. Rose, che già l’osservava, non poté fare a meno di sorridere, ricordandosi della sua reazione quando aveva assistito alla stessa trasformazione.
Feal’d sollevò appena un angolo della bocca, in un sorriso impercettibile, ma sincero. Poggiò le mani sulle spalle di Vincent ed annuì, come se lo stesse vedendo per la prima volta.
– Finalmente ti ho trovato! – esclamò sollevato. – Vieni con me.
Rose strabuzzò gli occhi. Si era già preparata ad almeno cinque diverse trasmutazioni per fuggire dagli alchimisti ma il fare di quell’uomo era certamente amichevole ed il fatto che Vincent lo seguisse tranquillo era un chiaro indice che si fidasse.
Feal’d li condusse in un angolo più appartato della strada prima di parlare ancora.
– Questi è Ainieal – disse indicando il ragazzo con la tunica del suo stesso colore. Involontariamente, gli occhi di Rose vennero attirati nuovamente da quella presentazione sul ragazzo. Alto e longilineo, lo sguardo fiero e gli occhi accesi dall’intelligenza. Lineamenti delicati e sorriso intrigante a contraccambiare il suo modo insistente di guardarlo.
Irritata distolse lo sguardo, ma non prima che le sue guance si imporporassero leggermente.
– Il tuo apprendista – constatò Vincent.
Il giovane annuì e Rose ne studiò i ricami sulle braccia, attenta però a non sollevare lo sguardo ed incrociare il suo. Gli intricati fili argentei però erano leggermente meno di quelli che aveva lei sulla sua tunica blu, nascosta nel fagotto.
– Sono quasi dieci anni che studia con me – confermò il suo maestro – è molto dotato e mi fido ciecamente di lui.
– Lo vedo – rispose Vincent, lanciando uno sguardo a Rose.
Dieci anni… molto dotato… lo stupore della ragazza derivante dal confronto con se stessa che studiava da pochi mesi ma possedeva un numero maggiore di riconoscimenti le traspariva chiaro dal viso, ma solo Vincent poteva leggerlo. Ricambiò lo sguardo del suo maestro chiedendogli tacitamente una spiegazione. Il mezzo sorriso che lui le regalava, non rendeva però nessuna risposta alle sue domande.
– Non abbiamo tempo – esordì pratico Feal’d. – Siamo qui per portare un avvertimento.
– Non siete qui per portarci all’accademia? – chiese Vincent sorpreso e la ragazza lo vide lasciare andare il pomolo del suo bastone. Forse non si fidava per davvero di quel suo vecchio amico.
– No. Sono cambiate molte cose in questi vent’anni, Vincent. Tieni – disse porgendo un foglio di pergamena stropicciato. – Recati nel luogo indicato la notte dopo quella di domani e ti spiegheremo tutto.
Si guardò in giro circospetto.
– Fino ad allora stai in guardia. Sanno che sei qui e sanno della ragazza – indicò Rose.
– Quel bastardo di Morel ha fatto la spia? – chiese lei con voce tagliente.
– Sì – Feal’d la gratificò con uno sguardo grave ed un cenno della testa e poi riprese a parlare con Vincent – Sono settimane che vi aspettano. Vogliono l’Illiar che hai rubato.
– Lo so. – rispose laconico Vincent. – Grazie Feal’d.
Finalmente anche lo sguardo dell’alchimista divenne sincero ed i due si salutarono stringendosi gli avambracci.
Non dissero altro. Feal’d e Ainieal attraversarono la folla che si muoveva nel viale e sparirono presto alla vista. Rose e Vincent invece seguirono il flusso di persone cercando di non dare nell’occhio.
– Allora è per questo che ti cercano? – chiese la ragazza dopo qualche minuto e quando la folla andava diluendosi per le strade della città.
– Feal’d parla poco, ma non ha mai saputo quando è davvero meglio star zitto. – rispose l’alchimista, ma il suo sguardo non era di rimprovero, quasi sorrideva.
– Non voglio ancora raccontarti la mia storia, ragazzina. Sappi solo che dovevo fare quello che ho fatto e lo rifarei nonostante ne conosca le conseguenze. – Il tono era incolore e non esternava la sua tempesta interiore ancora così vivida dopo il suo ultimo sogno.
Rose si prese un attimo per rispondere, poi strinse il braccio del suo maestro attirandone lo sguardo. Serenità e comprensione, malinconia, le sentiva dentro e permise ai suoi occhi di esternarle, consapevole che solo due mesi prima quell’espressione non le sarebbe appartenuta.
– Ti capisco! – Rispose infine, la voce decisa addolcita dal sorriso che leggero mitigava i suoi lineamenti.
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Bello il ricordo di Alette; ha dell’agrodolce, la scena d’addio.
Anche qualcosa di incompleto. Sarà solo un mio sospetto?