Kirya la strinse come in trance. Aveva detto veramente stregone? Esistevano realmente? In effetti, se esistevano mostri capaci di divorare le persone perché non poteva esserci uno stregone.
Con la sua nuova vista lo scrutò attentamente, doveva avere circa trent’anni. Aveva i capelli neri corti, con qualche ciuffo ribelle sulla fronte, gli occhi erano nocciola e i tratti ben definiti, sicuramente un bell’uomo, ma quello che le fece capire che aveva di fronte una persona non comune era l’energia che vedeva vibrargli attorno. Andava da viola al blu chiaro e l’avvolgeva come una nuvola.
“Io mi chiamo Kirya e faccio l’istruttrice in una palestra” disse alla fine.
“Piacere! Ora dobbiamo andare, quei segni che ho fatto sulla porta servono ad avvertirci se loro si avvicinano, e come vedi stanno cambiando colore”
Con orrore Kirya si accorse che le linee prima nere ora stava diventando rosse. Si alzò con un solo balzo dal letto e si mise accanto a Mark, quasi a nascondersi dietro di lui. Lo vide sorridere prima di prenderle la mano e portarla verso la porta.
Passarono le prime quattro ore a cambiare cabina con regolarità, a volte sentivano suoni di colluttazione, probabilmente altri superstiti che venivano rintracciati. Quando accadeva, Mark la portava velocemente lontano dall’origine dei suoni. Avevano camminato così tanto senza meta che Kirya aveva da tempo perso il senso della direzione, se non avesse avuto con se Mark si sarebbe già persa, probabilmente sarebbe già finita sul menù dei Pirasmi.
Se non fosse stata terrorizzata avrebbe riso del nomignolo che Mark aveva dato a quelle creature, ma l’immagine di quei denti aguzzi che strappavano pezzi di carne dal corpo umano non la faceva ridere neanche un po’.
La stanchezza cominciava a farsi sentire, ed aveva l’impressione che li stessero accerchiando, dovevano scappare sempre più spesso e nell’ultima mezzora non erano riusciti neanche a fermarsi in una cabina.
Ora erano nel ponte più basso, dove c’erano le macchine dei passeggeri, poteva sentire l’acqua sciabordare contro la carena della nave, nel silenzio di tomba che era divenuta.
“Ci stanno lasciando ben poche via di fuga, stanno convergendo qui. Ci hanno scoperti.” Mark le diede la notizia senza scomporsi, come se stesse parlando dell’arrivo degli amici invitati a cena. Il cuore le fece un balzo in gola, mentre lo stomaco le si chiudeva.
Non riusciva ad emettere un fiato.
“Mancano meno di tre ore all’alba, forse possiamo farcela.” Continuò lui come se parlasse più a se stesso che non con lei.
La trascinò verso un’area parcheggio vuota, aveva un diametro di circa dieci metri e intorno a loro c’erano tubature e scale di servizio.
Mark la fece sedere al centro, poi lo vide fare tre lunghi passi e fermarsi. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un coltellino multiuso e senza pensarci due volte si tagliò il palmo della mano dopo aver fatto scattare la lama.
Kirya stava per urlargli di smetterla quando lui la guardò e le fece l’occhiolino.
Quest’uomo era decisamente pazzo, lei era in trappola tra mostri e un pazzo. Indubbiamente il male minore era lui, quindi restò ferma come gli aveva detto, osservandolo mentre creava a terra, con il suo sangue, dei simboli a distanza regolare uno dall’altro.
Compì l’intero giro intorno a lei, poi strappò un pezzo della maglietta per fasciarsi la mano e prese dalla tasca una scatolina d’argento.
Vide che prendeva qualcosa da dentro, che poteva sembrare un carboncino e che si metteva di nuovo carponi descrivendo un primo cerchio al di fuori dei segni che aveva tracciato ed un altro dopo essi, mentre diceva parole strane che lei non comprendeva.
Aveva appena finito di disegnare quando Kirya li vide.
Erano in tre e si muovevano fluidi attraverso le macchine. Ora poteva osservarli bene, anche se bene era relativo. Sembravano sfocati, ma i dettagli che si vedevano erano orribili. Piccoli occhi rossi animati come se dentro stesse scorrendo il sangue, denti gialli aguzzi che sporgevano da labbra talmente sottili da sembrare inesistenti e lunghi artigli affilati alle estremità di mani troppo grandi per sembrare umane.
Si alzò di scattò pronta a correre come una lepre lontana da loro, ma Mark fu da lei in tre passi bloccandola.
“Ferma”
Lei lo guardò come se fosse impazzito del tutto.
“Sei pazzo? Stanno arrivando, non li vedi?”
“Certo che li vedo. Ma qui saremo al sicuro” disse convinto “almeno per un pò” aggiunse in un sussurro.
“E pensi che queste cose possano essere fermate da quattro scarabocchi, quando passano attraverso le pareti?”
Mark sospirò, ma non la lasciò andare.
“Non sono quattro scarabocchi, è magia di protezione.”
“Allora perché non l’abbiamo utilizzata prima?”
“Perché non sono abbastanza forte per darle potere per una notte intera. In effetti, ho sperimentato il suo uso solo per un’ora. Ma farò in modo di farlo durare il più possibile.” Finì quell’assurda frase facendo spallucce.
Come poteva comportarsi in quel modo quando quelle orribili cose erano ormai a pochi metri da loro?
Kirya li guardò terrorizzata mentre si avvicinavano, erano a circa un metro dalla linea nera e il sudore freddo le imperlava la fronte.
Sarebbe morta perché si era fidata di un pazzo.
Una delle creature si leccò i denti con una lingua nera e viscida mentre si avvicinava, ma appena stava per superare la linea sembrò colpire qualcosa di rigido.
La vide cadere a terra e contorcersi.
Solo dopo aver capito che la magia di Mark stava funzionando, si rese conto che aveva trattenuto il respiro e si lasciò andare. In un attimo tutto si fece nero.
Rinvenne accorgendosi di avere la testa poggiata sulle gambe di Mark. Si mise seduta guardandosi attorno preoccupata.
“Stanno aspettando” rispose lui alla muta domanda di lei.
Kirya vide i Pirasmi accucciati poco dopo la linea nera, erano diventati otto e si erano disposti lungo il cerchio.
Volse lo sguardo verso Mark.
“Quanto tempo sono rimasta incosciente?”
“Circa un’ora, non ti ho svegliato per farti riposare.”
Lei si scostò leggermente da lui, imbarazzata da tanta gentilezza, ma quando lo guardò meglio corrugò la fronte. Era pallido ed alcune gocce di sudore gli scendevano lungo la tempia. La preoccupazione prese il sopravvento su qualsiasi timidezza.
“Tu stai male.” Gli disse.
“Ma non mi dire?” rispose lui sarcastico.
“Perché?”
“Te l’ho detto, questa protezione ha bisogno della mia energia per rimanere attiva, e questo mi stanca parecchio”
Il senso di sollievo provato nel vedere le creature impossibilitate a prenderli, svanì all’istante. Se lui era già stanco adesso, non sarebbe mai riuscito a resistere fino all’alba.
“Cosa posso fare?”
“Nulla, tranne forse non farmi troppe domande” tentò di rincuorarla con quella battuta e un sorriso stentato.
“La barriera cade se tu svieni?”
Lui annuì lentamente.
Era morta, aveva davanti qualche manciata di minuti, ma non di più.
Quanto poteva reggere Mark senza svenire? Le aveva detto che più di un’ora non lo aveva provato.
Guardò prima lui e poi se stessa, indossava ancora la gonna, la camicetta e la giacca che aveva scelto per la cena. Le scarpe le aveva perse da tempo, così come la borsa. Si tolse la giacca e strappo via una manica con cui si mise ad asciugare la fronte di Mark che le rivolse uno sguardo grato.
“Rilassati, sei comunque riuscito a tenermi in vita fino ad ora, sono sicura che riuscirai a portarci vivi fino all’alba.”
Gli sorrise per incoraggiarlo, anche se, in realtà, il suo cuore era stretto in una morsa di paura, ma niente di quello che avrebbe detto o fatto avrebbe potuto cambiare le cose. Poteva solo fidarsi di lui e cercare di tenerlo sveglio il più possibile.
Avessero avuto dell’acqua sarebbe stato mille volte meglio.
I minuti passarono molto lentamente e Kirya notò che le creature erano come statue in attesa. Completamente immobili a fissarli.
Continuava a tergere la fronte di Mark che era sempre più stanco, spesso chiudeva gli occhi e a lei mancava un battito nel cuore, ma lui la rincuorava stringendole la mano per farle capire che c’era ancora.
Aveva impostato l’orologio con il cronometro per sapere quanto tempo mancava all’alba e poteva vedere le cifre scorrere davanti a lei, quasi che il conto alla rovescia fosse per la sua vita.
I pensieri che le si accavallarono in mente erano assurdi, dal dispiacere di non aver detto addio alla sua famiglia, alla preoccupazione per i suoi allievi o al rendersi conto che non aveva pagato la multa che le avevano fatto la settimana prima. Si accorse come, cose a cui aveva dato importanza fino a quel momento, risultassero irrilevanti di fronte al non riuscire a vedere la prossima alba.
Ogni dieci minuti aveva preso l’abitudine di controllare il polso del suo salvatore per accertarsi che stesse bene.
Quando mancava meno di un’ora all’alba vide arrivare altre creature che andarono a posizionarsi accanto agli altri, assumendo la stessa posizione di attesa.
Il respiro di Mark era ormai affannato e il suo battito irregolare, Kirya aveva assunto un atteggiamento rassegnato, passava la pezza sopra la sua fronte e sussurrava parole di conforto. Lo aveva tirato contro di se, quando una mezz’ora prima si era accasciato a terra e ora lo cullava come un bambino.
Continuava a sussurrargli che poteva farcela, che mancava poco all’alba, mentre teneva lo sguardo fisso sull’orologio che snocciolava i numeri mentre il tempo passava così lentamente che a volte aveva l’impressione si fosse fermato del tutto.
Ad un certo punto il fiato le si mozzò in gola quando, percependo un movimento, alzò lo sguardo e vide una delle creature che saggiava la barriera e non subiva alcun danno.
Le creature avanzarono come fossero uno solo, mentre lei chiudeva gli occhi dicendo addio alla vita.
Nella sua mente poteva già vedere il suo corpo dilaniato da quei denti aguzzi ed immaginare lo strazio di essere mangiati vivi, ma non accadde nulla.
Con tutto il coraggio che le era rimasto sbirciò socchiudendo gli occhi e si accorse che alcune creature si stavano contorcendo sui simboli che Mark aveva disegnato con il suo sangue. Guardò l’orologio, venti minuti all’alba.
Il volto di Mark era completamente esangue e occhiaie livide cerchiavano i suoi occhi, il viso era completamente bagnato di sudore, così come i suoi vestiti e non aveva neanche più la forza di stringerle la mano. Kirya non aveva nessuna possibilità di capire se era svenuto o meno se non guardando se la barriera continuava a reggere.
Le creature si erano accucciate di nuovo, all’esterno dei simboli di sangue, ma non passò neanche una decina di minuti prima che uno di loro lasciasse il suo posto per saggiarli e accorgendosi di non subire effetti, proseguiva.
Come era successo in precedenza, tutte le creature avanzarono come uno solo ma si scontrarono contro il cerchio più piccolo. Kirya notò che, quando subivano gli effetti della barriera e dopo essere stati colti dalle convulsioni, rimanevano a terra per qualche minuto prima di rialzarsi.
C’era ancora una possibilità, se fossero rimasti a terra per i successivi dieci minuti, lei sarebbe stata salva.
“Mark ci siamo quasi, mancano dieci minuti, ce la puoi fare, non mollare ora. Ti prego, resisti, sono solo dieci minuti”
Vide che le palpebre di Mark tremavano leggermente e lo prese per un si.
Non voleva sperare, non osava sperare, d’altronde poteva succedere tutto in pochi minuti, quanto potevano metterci quelle creature ad acchiapparla? Un pensiero malsano le balzò in testa. Se la barriera fosse crollata sarebbero morti in due in pochi minuti, ma se lei avesse attirato le creature lontane da Mark, lui si sarebbe salvato. Sarebbe arrivata l’alba in tempo. Non aveva potuto fare nulla per Phil, ma forse poteva fare qualcosa per lui.
Guardò il cronometro, mancavano sei minuti, le creature erano ancora a terra. Stese Mark con attenzione e si alzò.
Se tutte le creature della nave erano lì poteva correre su per le scale senza paura di incontrarne, ma se non fosse stato così sarebbe finita nelle loro mani.
Si mise l’orologio al polso togliendolo a Mark, mancavano cinque minuti. Aspettò che la prima creatura cominciasse a muoversi per farsi vedere e con un grido balzò fuori dal cerchio saltando oltre le creature che erano ancora accasciate a terra.
Senza guardarsi alle spalle cominciò a correre e avvertì quasi subito dei movimenti dietro di lei. L’unica speranza era che tutte seguissero lei e nessuna rimanesse lì con Mark.
Come se avesse tutti i diavoli dell’Inferno alle calcagna, e non era tanto lontano dalla verità, corse su per le scale, attraversò il primo ponte e guardò l’orologio, tre minuti all’alba.
Continuò a correre e dall’alto della scala diede uno sguardo alle sue spalle, l’avevano seguita tutti a quanto poteva vedere, meno male. Anche se l’avessero presa in quel momento, Mark era salvo.
Ma lei non voleva farsi prendere, continuò a correre ringraziando la sua preparazione atletica, andando sempre più in alto.
Giunta al ponte principale fece una stretta curva e si immerse nel dedalo dei corridoi, avvertiva la presenza delle creature sempre più vicine, ma non voleva arrendersi. Guardò l’orologio, un minuto. Con tutta la forza che aveva nelle gambe accelerò il passo come dovesse fare i cento metri alle Olimpiadi, alla fine del corridoio si trovò una porta a bloccarle la strada. Si affrettò ad aprirla girando la maniglia, mentre le creature erano ormai alle sue spalle.
Riuscì ad uscire fuori sul ponte esterno proprio mentre il primo raggio di sole spuntava dall’immensa distesa di acqua indaco di fronte ai suoi occhi. Le lacrime le scesero copiose sulle guance mentre ringraziava il cielo, il sole e il mare per il più bello spettacolo che avesse mai visto.
Cadde a terra e scoppiò in una risata liberatoria.
Si concesse solo il tempo di riprendere fiato prima di tornare di corsa sui suoi passi, non le era venuto, nemmeno per un momento, il pensiero che Mark avesse sbagliato e l’alba non avrebbe significato la loro salvezza.
Ora doveva andare da lui, accertarsi che stesse bene e portarlo fuori al sole, all’aria aperta. Ci mise meno che all’andata, visto che ora poteva vedere dove stava andando e non stava scappando senza meta.
Lo trovò nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, e con suo enorme sollievo, non lo avevano toccato, ma era cinereo.
Si accovacciò accanto a lui e si mise la sua testa sulle gambe.
Il respiro era tornato normale così come il battito cardiaco, infine era svenuto.
Si guardò attorno alla ricerca di un modo per portarlo fuori da lì e vide l’ascensore per gli invalidi a pochi passi. Controllò che la luce fosse tornata e come aveva immaginato, andandosene le creature, la nave aveva ricominciato a funzionare correttamente.
Era tutto in funzione.
Con un bel po’ di fatica riuscì a trascinare Mark prima sull’ascensore, e poi sul ponte scoperto adagiandolo infine lungo la paratia, dove il sole poteva scaldarlo. Era certa che sarebbe stato felice come lei, di svegliarsi con il sole in faccia. Dopo essersi assicurata che stesse riposando abbastanza comodamente, percorse nuovamente la nave per andare nella sala controllo da cui lanciò l’S.O.S.
Quando si stese accanto a Mark era stremata, ma felice di essere viva e si addormentò all’istante.
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