Tutto sommato questo articolo non vuole essere né un prologo né un epilogo. Chiamiamola una (dovuta) dissertazione simbologica sulla figura di Peter Pan dal mio punto di vista, ristretta e striminzita su queste poche pagine.
Ho notato infatti, chiedendo a pochi e selezionati lettori, che Peter Pan ai loro occhi è diventato cattivo.
Non lo è!
Ho buone ragioni per affermare che “l’infanticida Peter Pan” ha un buon cuore e mi soffermerò per fare luce su due di esse, le più importanti.
Nella sua versione originale, Peter Pan uccideva i Bimbi Sperduti quando diventavano troppo grandi.
Prima di tutto rispondo alla mia incongruenza, ovvero perché prima ho descritto la sua malvagità per un anno intero e ora, con un misero articoletto, ne prendo le difese.
Dopo molti anni ho realizzato di non avere una copia cartacea di Peter Pan in casa, il che mi ha lasciato di stucco: come poteva l’originale (non il libricino della Disney) della mia favola preferita mancare nella mia tappezzeria? (Sì, avete notato bene, non ho parlato di una biblioteca casalinga, ma di una tappezzeria.) All’inizio mi sono vergognata ad andare in libreria e chiedere se avevano il libro o se dovevo ordinarlo, ma fu Peter Pan a trovare me: era esposto in una cassetta delle azioni davanti a una libreria davanti alla quale, due anni fa, passavo molto spesso.
Non attesi un secondo invito per l’Isola-che-non-c’è e l’acquistai. A parte qualche nome strano cui farci l’abitudine, tipo “Nimmerland” (tradotto quasi letteralmente dal tedesco: Terra che non esisterà mai), mi sono ritrovata a casa. Tuttavia non so se avete fatto anche voi la stessa cosa, magari con un altro racconto: l’ho riletto e l’ho riletto con altri occhi. Corrugando la fronte, inarcando un sopracciglio, arricciando il naso. Peter Pan, galante con Wendy ed eroico nei confronti di Giglio Tigrato, aveva lapsus di memoria e scatti d’ira. E aveva proposto di uccidere i Bimbi Sperduti “per punizione” quando avevano (sotto l’inganno di Trilli) fatto precipitare Wendy. Era quello l’eroe della mia infanzia?
Facendo ricerche mi sono poi imbattuta in immagini che mi hanno fatto disperare sempre di più, perché continuando a cercare, diventavano sempre più vere.
Peter Pan era un angelo che prendeva per mano i bambini morti sulla strada verso il Cielo (l’Isola-che-non-c’è). Per questo non crescevano mai. Tutti quei bimbi erano morti.
Boom! – Infanzia distrutta.
Ormai disperata che persino Peter Pan avesse fatto la fine di Febo (leggete l’excursus alla fine dell’articolo se vi interessa saperne di più), sono ricorsa all’ultima arma che avevo: volevo capire perché l’autore aveva voluto un protagonista tanto malvagio.
Come spesso accade, giunsi a più risposte di quante me ne aspettavo.
Ho intanto messo su tre teorie su chi potesse essere Peter Pan nella sua vita.
Mentre scriveva il pezzo teatrale di Peter Pan, l’autore di questo mondo fantastico divenne il tutore di ben cinque bambini, i fratelli Llewellyn Davies fra i quali, per l’appunto, c’era Peter, cui piaceva raccontare favole inventate con pirati e indiani. In molti sostengono che Peter Pan fosse, per l’appunto, questo bambino che poi, all’età di sessant’anni, si sarebbe suicidato lanciandosi sotto un treno.
Peter Llewellyn Davies sostenne sin dall’inizio che Barrie gli avesse fatto un torto a chiamare Peter Pan con il suo nome e già durante l’adolescenza i due iniziarono a mantenere un certo distacco. Quando, alla morte dell’autore, il “vero” (?) Peter scoprì che i diritti sull’opera erano stati ceduti a un ospedale per bambini, cadde in depressione e a detta di uno dei suoi figli non si riprese mai da quella ferita.
Facciamo un passo indietro nel tempo, quando James Matthew Barrie era ancora un bambino.
Aveva una famiglia numerosa e in particolare un fratello di nome David, morto all’età di nove anni. La madre, profondamente afflitta dalla perdita, non riusciva più a vedere gli altri figli e in particolare James. Il bambino, alla disperata ricerca di attenzioni, iniziò a indossare gli abiti del fratello più grande e a comportarsi come lui.
James Mattew Barrie vedeva quindi in Peter Pan suo fratello David, partito per un luogo migliore senza mai più pensare a sua madre e ai suoi fratelli. Questa teoria spiegherebbe il perché dei lapsus di memoria di Peter Pan. Lo accusava, scrivendo, di essere stato insensibile ed egoista, caratteristiche principali dell’eroe della favola che raccontiamo da cent’anni ai bambini di tutto il mondo.
E infine: Peter Pan non cresce. Perché neppure un bambino morto può crescere.
Certamente voleva bene al fratello, provava anche una certa compassione per lui, sentimenti che ha espresso attraverso Wendy e Jane . Ma covava, a quanto mi pare, una grande rabbia nei suoi confronti. Una rabbia che non si estinse neppure dieci anni dopo la prima esibizione di Peter Pan, perché quando vide la statua di Kensington Gardens disse che quello non era il vero Peter Pan: infatti non mostrava il male in lui.
Questa è una teoria un po’ mia. Ma la sosterrò ugualmente.
James Matthew Barrie che tipo di uomo era?
Qualcuno ha insinuato fosse pedofilo, ma le voci furono messe a tacere molto presto da Nicholas Llewellyn Davies, il bambino più piccolo fra i cinque affidati alla sua tutela. Inoltre un pedofilo interrompe i contatti con i bambini appena crescono, mentre Barrie cercò sempre di tenersi aggiornato su quanto facessero i suoi cinque “Bimbi Sperduti”.
Forse avete intuito cosa ho appena inserito nella tastiera: “i suoi cinque Bimbi Sperduti”.
Peter Llewellyn Davies, nel film “Finding Neverland” con Johnnie Depp, pronuncia la seguente frase:
Non sono io Peter Pan… è lui.
Direi che forse non aveva tutti i torti, quel bambino, ma a Barrie gli sarà venuto un colpo quando l’ha sentito.
Discutibile è anche il testamento della madre vedova di quei cinque bambini: secondo alcune fonti, James Matthew Barrie modificò alcune lettere, affinché “Jennie” diventasse “Jimmie” o “Jamie”, non ricordo più bene quale dei due soprannomi. Infatti Barrie non aveva alcuna parentela con i bambini e si era avvicinato alla famiglia attraverso un suo amico deceduto per una malattia.
James Matthew Barrie aveva egoisticamente deciso di voler giocare a fare il papà con la sua Wendy morente, ovvero la madre di quei cinque bambini?
Insomma, abbiamo capito perché Peter Pan non è un eroe tutto rose e fiori come ho creduto per dodici anni (che non ho passato ad Azkaban). Ho scoperto i suoi lati oscuri e io sono fatta così, non posso tacere, a costo di far male.
La prima cosa che però mi sono prefissa è stata che il “mio” Peter Pan non sarebbe stato malvagio.
Influenzata dalle “Fiabe Celtiche”, ho capito che il cattivone della saga poteva davvero non essere Peter Pan e ho fatto i miei salti di gioia lanciando fulmini e saette contro Trilli e i suoi simili: le fate. Nelle fiabe celtiche, quando nasceva un bambino bello e sano, alle mamme veniva raccomandato di non vantarsene. Nel caso che le madri però lo facessero, le fate venivano nella notte e rapivano il bambino – lasciando in cambio, nella culla, una creatura immonda.
Ispirata da questo lampo di genio, ho riflettuto su cosa fosse quindi la polvere fatata con cui “lavoravano” le fate. E da dove veniva? – La risposta è stata la fantasia e Peter Pan è diventato schiavo della stessa per paura di morire.
L’orologio ticchetta e la morte si avvicina. Proprio come James Hook, anche Peter Pan ebbe paura e piuttosto che affrontare la malattia e la morte, sacrificò l’umanità in cambio dell’immortalità.
Essendo ancora un bambino era facilmente malleabile e le fate pensavano di avere finalmente un’arma eterna contro la paura. Nella maggior parte dei casi il loro calcolo ha funzionato. Ma Peter era molto più di un semplice bambino: fra fantasia e paura c’è sempre un equilibrio instabile e qualcuno deve bilanciare questi due elementi. E’ stata questa riflessione che ha dato a Peter Pan la capacità di contraddire le fate e dar loro persino degli ordini, di prendere una decisione inaspettata: permettere a Wendy e ai suoi fratelli di crescere.
I mangiatori sono nati dopo che Peter Pan diventasse immortale: essendo l’eroe clamorosamente di parte, anche l’Isola-che-non-c’è ha cercato nel cambiamento di trovare una soluzione al problema e la risposta al cambiamento sono diventati i mangiatori.
Insomma, Peter Pan è diventato il ladro dei mangiatori e il loro assassino perché non distingueva il bene dal male e a guidarlo non c’erano una mamma o un papà amorevoli, bensì delle fredde e spietate fate, capaci di provare un solo sentimento alla volta.
Il malvagio non era lui, ma chi lo usava come una marionetta e la risposta al sangue versato e alla solitudine è stato l’amore di Wendy verso il suo primo bambino, a cui in una notte d’infanzia aveva cucito la sua ombra. Ho dato un doppio senso a quel cucire l’ombra: da un lato il fisico, ovvero l’ombra andava davvero cucita a Peter. Dall’altro però Ricciolo era l’ombra e una parte di Peter Pan era andata a caccia dell’ombra perché aveva perso una parte di se, la parte più importante: un vero amico che non l’aveva mai abbandonato. Dall’altro, come si suol dire: le ferite vanno rammendate e forse fu questo a scaturire l’antipatia di Trilli verso Wendy. Wendy stava forse rammendando l’umanità ai piedi di Peter Pan?
Peter Pan era solo un bambino alla ricerca di un vero affetto e alla fine l’ha trovato.
Happy Ending.
Quindi vi pongo la domanda che ci siamo fatti all’inizio: Peter Pan era malvagio?
Ahi.
La nota dolente.
E dico che fu una “nota dolente” nel vero e proprio senso della parola: Forse alcuni conoscono il musical di Riccardo Cocciante “Notre Dame de Paris”. Studiavo francese e ancora sentivo quelle canzoni. E d’un tratto quei canti acquistavano un senso. Quando non capivo una parola, andavo a cercarla, ma… fu una vera e propria pugnalata – Febo, per tenersi stretto la sua benestante e gelosa fidanzata Fiordaliso (eh già, era pure fidanzato), accusa Esmeralda di stregoneria. E a quei tempi… vi lascio immaginare che fine ha fatto la bella strega.
Andò persino peggio. Partecipai a una reinterpretazione della saga, ispirata ai personaggi della Disney, ma per il resto la trama era più vicina alla storia “reale”. In quest’ultima interpretazione Febo era un pallone gonfiato ben visto e corteggiato da tutte le dame, fra cui per l’appunto l’orgogliosa e gelosissima Fiordaliso, e, attratto dalla bellezza di Esmeralda, una sera la insegue e cerca persino di violentarla! Poi, quando quella stessa sera viene ferito, per non ammettere cosa stava facendo con la zingara, a Fiordaliso e a tutto il popolo racconta che Esmeralda gli aveva lanciato contro un sortilegio e che l’ultima cosa che aveva sentito era stato un pugnale nella sua schiena.
Sinceramente, quando ho visto la prima esecuzione di quella scena, mi sono detta che mi dispiaceva solo che non ci fosse rimasto secco.
Ma dico, possibile cadere più in basso con un idolo dell’infanzia?
(362)