Nello scorso appuntamento, abbiamo delineato l’organizzazione spazio-temporale della storia che vogliamo scrivere. È ovviamente un mondo semplificato, non siamo scesi troppo nei dettagli in quanto si tratta sempre di un esempio “didattico”. Non abbiamo ad esempio considerato la storia antica del continente di Ruk o la situazione universale, come nemmeno gli aspetti religiosi. È pur vero che molte di queste informazioni non sarebbero utili ai fini della trama o almeno non lo sono all’inizio, ma avere il quadro generale fin da subito aiuta l’autore a non commettere errori, ad evitare contraddizioni e soprattutto a poter immedesimarsi nei personaggi.
Ai fini della nostra trattazione però lasceremo indietro la strutturazione di questi dettagli, che sarebbe solamente ridondante.
In questo appuntamento ci dedicheremo principalmente alle regole legate agli aspetti fantasy della struttura del mondo e a qualche altro argomento correlato.
A differenza di quello che credono la maggior parte dei non esperti, non tutti i fantasy trattano di magia ma è innegabile che molti di essi introducono questo concetto o, se non lo fanno, ne possiedono uno accomunabile. Anche la tecnologia futuristica che si trova ampiamente trattata nei romanzi di fantascienza, in un certo senso è assimilabile alla magia, per cui d’ora in avanti quando parlerò di incantesimi tenete presente che lo stesso discorso vale per una tecnologia che permetta di fare cose stupefacenti.
Il problema insito nella magia è tanto subdolo quanto devastante: si tratta infatti di un mezzo troppo potente da gestire.
Cosa fareste voi se, in possesso di poter magici illimitati, dovreste affrontare una minaccia o una situazione pericolosa? Ognuno affronterebbe il problema in maniera diversa, ma in linea generale, non essendo vincolati da limiti basterebbe schioccare le dita e far sparire la causa del problema o viceversa, se voi foste la causa del problema, vi basterebbe far sparire chiunque possa fermarvi.
Diviene ovvio quindi che per avere un po’ di coerenza nella nostra storia è vitale tracciare i limiti della magia ed impedirne un uso sconsiderato ma soprattutto altamente risolutivo.
Secondo il mio parere, più i limiti sono definiti e chiari meno si incappa in personaggi che potrebbero risolvere le situazioni in maniera semplicissima, ma per permettere alla storia di avere un minimo di trama non sfruttano i loro poteri, come farebbe qualunque altra persona sana di mente.
Secondo me il modo in cui si limita la magia in un fantasy rappresenta uno dei punti cruciali dove si manifesta l’originalità dell’autore.
Le soluzioni più usate per non rendere i maghi onnipotenti sono sempre molto varie. Io mi limiterò ad elencarne qualcuna e poi procederemo con le regole dei nostri alchimisti.
Legare la potenza degli incantesimi all’energia del mago è un modo semplice per impedirgli di compiere prodigi risolutivi o malefici devastanti. Il problema però è solo traslato: diviene infatti necessario dare un “costo” in termini energetici ad ogni incantesimo. È meno stancante far sparire una sedia o far volare una spada? Molto spesso gli autori non si pongono questo problema, come non riflettono nemmeno su come calcolare quanta energia sia a disposizione del mago. Si limitano a portare al di fuori della portata dell’eroe gli incantesimi che renderebbero troppo facile il suo cammino ma talvolta si assiste a qualche controsenso, dove l’eroe sfinito da una battaglia riesce a trovare la forza di scagliare un incantesimo che di solito necessiterebbe di maggiore energia. La grande forza di volontà talvolta non basta a giustificare situazioni del genere.
Il primo buon esempio di come questo limite sia stato imposto in un romanzo che mi viene in mente è Il Ciclo dell’Eredità, di Paolini. Nei libri viene chiaramente spiegato che lanciare un incantesimo richiede lo stesso tributo di energia richiesto dal compiere l’azione manualmente. Spostare una montagna, quindi, rientra tra le magie impossibili da compiere, come anche il teletrasportarsi in un altro posto. L’autore poi successivamente trova un modo per far aggirare al protagonista questo limite per permettergli di compiere incantesimi più potenti, ma è un altro discorso.
Un’altra limitazione molto semplice da introdurre è legata alla percezione del mago. Si possono pensare incantesimi che richiedono un contatto visivo diretto con il bersaglio, oppure il contatto fisico. Un vincolo del genere è molto potente e permette all’autore di gestire un personaggio dotato di grandi poteri in maniera piuttosto semplice, basti pensare ad un mago che può evocare fiamme su ogni superficie che tocca, ma che se vuole colpire un suo nemico deve necessariamente avvicinarsi ed esporsi.
Un buon esempio di questo tipo di limitazione è la Trilogia del Maghi Neri della Canavan. I maghi provenienti da Sachaka, la terra ostile dal punto di vista della protagonista, infatti, per poter eseguire il loro terribile incantesimo tramite il quale uccidono, devono, oltre che toccare il proprio bersaglio, anche ferirlo in quanto la pelle conferisce una protezione naturale dagli incantesimi.
Questo tipo di limitazioni impone al mago l’utilizzo di parole ben precise, pronunciate a voce alta, oppure di compiere determinati movimenti con le mani o altre parti del corpo, per poter eseguire i propri incantesimi. Talvolta tutti e tre i requisiti vengono fusi vincolando il mago a pronunciare una formula magica, mentre muove in qualche modo il proprio oggetto magico.
Molte storie si affidano a questo tipo di limitazioni e spesso introducono anche concetti di magia avanzata come gli incantesimi silenziosi, cioè senza componente verbale, o gli incantesimi immobili, cioè senza necessità di muoversi; non transigono invece sulla mancanza dell’oggetto tramite il quale il mago incanala il proprio potere.
L’esempio che mi sovviene è la saga di Harry Potter della Rowling, dove i maghi necessitano di una bacchetta, delle esatte parole magiche e del movimento preciso del polso per poter lanciare un incantesimo correttamente.
Questo tipo di limite è forse il più ovvio. Un mago, per compiere un incantesimo deve conoscerlo. Si può estendere in vari modi, ma il più gettonato, utilizzato quando al mago basta immaginare il risultato per ottenere l’incantesimo, è quello del conoscere esattamente cosa si desidera fare. In questo caso la formulazione dell’incantesimo si trasforma in una prova di ferrea concentrazione dove il mago deve focalizzare esattamente la propria volontà sul risultato che desidera ottenere o sul modo in cui desidera ottenerlo. Spesso tale vincolo impone al mago un certo tempo di preparazione prima del lancio del proprio incantesimo.
Confesso di non avere un esempio a portata di mano, se a qualcuno di voi viene in mente lasciate un commento e provvedo ad aggiungerlo successivamente.
Talvolta gli autori conferiscono al mago dei poteri legati al suo stato d’animo. Soprattutto agli inizi della loro carriera, infatti, i protagonisti sprovveduti, riescono a compiere incantesimi solo se sono spaventati, arrabbiati o anche felici e sereni. Volendo è possibile anche fornire il mago di un potere diverso a seconda del suo stato d’animo e secondo me sarebbe interessante strutturare tutto un intero sistema magico sulle emozioni.
L’esempio che mi viene in mente ora è La spada della Verità di Goodkind, dove il vero potere della spada si sprigiona solo tramite la rabbia. Durante la storia il protagonista, Richard, riuscirà a gestire meglio i poteri della spada ed il proprio, ma almeno all’inizio impugnare l’arma magica lo porterà in uno stato di rabbia feroce dalla quale la spada stessa trarrà energia.
Come dicevo, il limite alla magia che si decide di imporre costituisce un vero e proprio punto cardine ed espressione dell’originalità dell’autore. Passatemi il gioco di parole, ma non ci sono davvero limiti ai limiti che potete imporre alla magia. Tanto per fare un ultimo esempio, mi viene in mente la saga dei Mistborn di Sanderson, dove i suoi personaggi dotati di poteri magici sono collegati al metallo. I mistborn infatti, per poter sfruttare i loro poteri, che sono in numero finito e ben definiti, devono ingerire e poi “bruciare” un certo tipo di metallo: per potenziare i sensi useranno lo stagno, mentre per migliorare la resistenza fisica il peltro. Ci sono altri personaggi che possono interagire con il metallo in modo diverso, ma in ogni caso il limite loro imposto è dettato dalla presenza o meno del materiale corretto.
Veniamo ora ai limiti per i nostri alchimisti. Come dicevo in qualche articolo precedente, avrei voluto legare le possibilità degli alchimisti alla legge di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. È ovvio che non possiamo presentarla in questo modo in quanto, come già detto, la nostra terra di Ruk non ha mai dato i natali al famoso scienziato; diremo quindi che per ogni trasformazione alchemica è necessario disporre sempre dei materiali di partenza prima di procedere. Dato che a prima vista sembrano dei chimici moderni, inseriamo la variante che l’energia necessaria alla trasformazione proviene dall’alchimista o da una qualunque fonte precedentemente creata. In questo modo i nostri alchimisti non potranno creare dal nulla e non potranno compiere trasformazioni a ripetizione, ma potranno compiere reazioni impossibili in natura.
Il dover disporre delle materie prime è un vincolo molto potente in quanto circoscrive buona parte del loro lavoro al proprio laboratorio. Possiamo immaginare alcuni alchimisti da battaglia, che operano trasformazioni sul campo ma questi soggetti dovranno necessariamente portare con sé una buona scorta di contenitori energetici e dovranno, per forza di cose, dover essere particolarmente creativi vista la sempre diversa disponibilità di materiali.
Rileggendo i vincoli imposti, ci rendiamo conto che anche così, però, questi alchimisti potrebbero essere troppo potenti in battaglia, visto che potrebbero trasformare i soldati nemici in semplice poltiglia in un batter d’occhio. La materia prima sono i soldati, l’energia è stipata in apposite batterie, come quelle delle armi dei soldati regolari ed in un attimo un’intera armata di felinidi viene trasformata in poltiglia pelosa. Per ovviare a questo problema suggerisco di imporre agli alchimisti il contatto. Per avviare una trasformazione essi devono toccare tutti i reagenti e quindi, in battaglia, sono obbligati a toccare un soldato per trasformarlo. Viene da sé che ora è molto più difficile avvicinarsi ad un soldato, concentrarsi e ucciderlo per trasformazione, è però possibile interagire con il terreno per creare dislivelli o muri, oppure con delle armi per modificarne forma e portata e tante altre cose che un alchimista ingegnoso può tenere in considerazione per sbaragliare i propri nemici.
Come anticipato nell’articolo precedente, anche i nomi rientrano nella creazione del mondo. Il motivo è presto spiegato. A mio parere sono un buon mezzo per rendere originale o almeno caratterizzare alcuni aspetti della storia. Pensare ad una regola per cui essi vengono assegnati, oltre al gusto personale dell’autore, può essere molto utile. Si possono definire regole per la nobiltà dove ad esempio ogni persona possiede due nomi, oppure possiamo pensare ad un meccanismo per il quale ogni alchimista, nel momento in cui riceve la nomina ufficiale, riceve un nome che in qualche modo lo identifichi univocamente. Noi attueremo entrambe le soluzioni.
Per quanto riguarda i micioni, faremo invece in modo che i nomi saranno tutti seguiti dal titolo di cui è insignito il soggetto e separati da esso con un trattino.
L’ultimo argomento inerente alla creazione del mondo che voglio trattare è la raccolta delle informazioni. L’ho lasciato per ultimo, non perché meno importante ma perché rappresenta una attività collaterale alla scrittura.
È fondamentale capire che il lettore si rende conto quando l’autore sa di cosa parla e quando invece è impreparato. Ammetto che non tutti sono esperti e molti prenderanno per vere le cose che leggono, ma se consideriamo che la nostra storia, nella migliore delle ipotesi, raggiungerà migliaia di persone, è statisticamente impossibile non beccare un esperto per ogni tematica trattata. Sarà quindi cura dell’autore informarsi in maniera approfondita, prima di scrivere determinate cose. Se ad esempio si vuole dotare i personaggi di armi da fuoco si deve studiare come esse funzionano e quindi sapere che qualora una persona inesperta imbracciasse un fucile, con molta probabilità si farà sorprendere dal rinculo del primo colpo. Trattandosi di racconti fantasy siamo più liberi di evitare questi tecnicismi, ma se li teniamo presenti e spieghiamo al lettore il perché un fucile caricato con l’energia degli alchimisti non presenta rinculo, faremo sicuramente un lavoro migliore. Resta ovvio che non dobbiamo spiegare chiaramente al lettore le cose, ma piuttosto mostrarle.
L’esempio del rinculo del fucile è solo uno dei tanti. Tanto per farne un altro, strutturando il sistema politico in maniera federale, con le varie regioni che fanno capo al governo centrale, sarebbe opportuno studiare come funzionano realmente gli stati federali esistenti, in modo da inserire le caratteristiche più utili ed evitare la mancanza di dettagli o peggio, la presenza di incoerenze.
Un altro degli studi che un buon autore dovrebbe fare, riguarda l’anatomia e gli effetti delle ferite. Quante volte vi è capitato di leggere o vedere un eroe che, nel dover versare un tributo di sangue, si ferisce al centro della mano con un coltello? Io mi sono sempre chiesto come poi possa impugnare con vigore la spada subito dopo essersi ferito in quel modo. Considerando che un taglietto misero su un dito impiega giorni a rimarginarsi e brucia dannatamente ogni volta che si comprime il polpastrello, come può un personaggio, per quanto forte e preparato, combattere dieci minuti dopo essersi letteralmente aperto la mano in due?
In ultimo posso presentarvi il classico esempio del generale alle prime armi. In molti romanzi che ho letto, in caso di battaglie campali, si assiste a scene patetiche dove i soldati dei due schieramenti si fronteggiano senza una strategia ben precisa e tutto è incentrato sul nostro eroe che fa strage. Nulla in contrario alla strage di cattivi, ma se stiamo parlando di grandi eserciti, sotto il comando di alti generali, è ovvio che un minimo di strategia si veda. Non è certo necessario che l’autore impari a memoria il De Bello Gallico, ma è opportuno che abbia idea di cosa far fare agli eserciti in campo.
Chiudiamo questo appuntamento senza aver esaurito tutti i casi e le problematiche che possono capitare durante la creazione di un mondo nuovo per la nostra storia, ma spero di essere riuscito a trasmettere lo stato mentale necessario per poter compiere questo lavoro.
Se avete un problema di strutturazione del mondo da sottoporre oppure volete solo discutere di qualche romanzo dove avete letto di limitazioni originali o perfettamente inutili, lasciate un commentino.
La prossima volta avremo a che fare con i personaggi e ci troveremo ad applicare parte delle regole che abbiamo deciso in questa sede.
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