Nelle lezioni precedenti abbiamo affrontato i temi della verosimiglianza e della logica come colonne portanti di un racconto e successivamente abbiamo esplorato un po’ le potenzialità della lingua italiana, sottolineando anche gli errori più comuni che possono essere commessi.
Con questo terzo appuntamento inizieremo a chiudere il cerchio delle “regole generali” dedicandoci ad un altro fattore determinante nel successo di un racconto: lo stile narrativo.
In questo caso, con la parola “stile”, non ci stiamo riferendo alle scelte operate dall’autore per dipingere il proprio racconto con toni seriosi o divertenti, come nemmeno a tutti gli abbellimenti secondari. Stiamo parlando di alcune regole di base che ci permettono di realizzare un racconto di buona qualità a prescindere poi dal tono o dai ghirigori che vi applicheremo.
Visto che l’argomento è un po’ lungo, lo divideremo in due parti.
Oggi ci occuperemo solo di:
– Scelta delle parole e sinonimi
– Descrizioni
Come abbiamo già spiegato nella lezione precedente, in italiano c’è almeno un vocabolo adatto per ogni cosa ed in mancanza di buone motivazioni va utilizzato senza paura. Cosa accade però quando siamo costretti ad inserire la stessa parola più volte a breve distanza?
Di solito uno scempio.
Antonio mostrò i pugni a Mario prima di sferrargli un pugno in piena faccia. Mario incassò il pugno ma subito partì al contrattacco con una serie di pugni allo stomaco di Antonio. Visti dall’esterno, i due ragazzi erano un ammasso di calci e pugni che vorticava nel cortile.
Come si vede, l’abuso del termine “pugno”, anche nella sua versione plurale, rende la lettura pesante ed io ritengo anche orrenda.
Antonio mostrò i pugni a Mario prima di sferrargliene uno in piena faccia. Mario incassò il gancio ma subito partì al contrattacco con una serie di colpi allo stomaco di Antonio. Visti dall’esterno, i due ragazzi erano un ammasso di calci e pugni che vorticava nel cortile.
Sostituendo il termine abusato con una serie di pronomi o sinonimi il testo è notevolmente migliorato.
È quindi sempre corretto utilizzare i sinonimi? Purtroppo no. Sinonimi particolarmente ricercati possono confondere il lettore o possono far risultare la frase un tantino troppo artificiosa.
Martino si stava tranquillamente dedicando all’esplorazione delle proprie cavità nasali con le dita quando la madre lo vide.
<<Togli le falangi dal naso o te le taglio>> esclamò infuriata
Quale madre direbbe mai una cosa del genere? La mia no di certo. Sarebbe stato opportuno, invece di utlizzare un sinonimo di dubbio gusto, strutturare diversamente la frase.
<<Quante volte ti ho detto che non si fa? Metti a posto le mani o te le taglio>>
Questa è una frase molto più accettabile.
Meritano una menzione a parte le ripetizioni dei nomi dei personaggi e del verbo dire accanto alle virgolette dei dialoghi.
Capita spesso infatti che nel descrivere una scena si debbano ripetere molte volte i nomi delle persone coinvolte. Generalmente è buona norma utilizzare dei sostituti, come ad esempio: l’uomo, il ragazzo, la donna, il vecchio, la maestra, il presidente, il primo, il secondo. Attenzione però: è assolutamente necessario evitare che questi nomi di rimpiazzo vadano in conflitto tra loro. Se ad esempio nella scena ci sono due uomini, non potremo mai sperare di identificare uno dei due con il termine “l’uomo”. È inoltre poco raccomandabile abusare di questi sostituti perché confondono il lettore che ogni volta che ne incontra uno deve svolgere l’implicito lavoro mentale di capire di chi si sta parlando. Infine si deve pure considerare che i nomi propri dei personaggi non vengono percepiti come parole ordinarie e quindi il lettore non sarà portato a rilevarne la ripetizione. In definitiva meglio ripetere un nome una volta in più ed essere chiari che andare alla disperata ricerca di un pronome o titolo da assegnare al personaggio e creare confusione. Il mio consiglio è di scegliere un paio di appellativi per ognuno e di utilizzare sempre gli stessi. Rifacendoci al caso di prima potremmo identificare Martino come “la peste”, se nella nostra storia non comparirà mai il morbo letale, oppure “il marmocchio”, se non ci sono altri bambini con cui poterlo confondere.
Per quanto riguarda il verbo dire che accompagna tutti i dialoghi, anche qui è bene utilizzare dei sinonimi quali: esclamare, urlare, bisbigliare, rispondere, rimbeccare; ma è necessario fare attenzione che questi verbi incorporano anche le modalità con cui si dice una cosa e quindi potremmo incappare in un errore di ridondanza come vedremo più avanti. Inoltre infarcire tutti i dialoghi con verbi sempre diversi può risultare pesante e magari un dire in più non avrebbe rappresentato un problema.
Le descrizioni sono un un punto cardine in tutti i romanzi; nei fantasy lo sono di più. Il modo migliore per descrivere personaggi o ambienti cambia a seconda dei contesti e quindi lo analizzeremo strada facendo. Per ora voglio solamente introdurre il concetto di descrizione dinamica ed il necessario coinvolgimento di tutti i sensi.
Maria era giovane. Aveva dei lunghi capelli neri che le arrivavano alla vita, occhi di un azzurro glaciale dietro alla montatura scura delle lenti ed i lineamenti esaltati da un trucco delicato. Aveva le forme al posto giusto, come tutte le segretarie su quel piano. La politica aziendale imponeva che indossasse sempre un tailleur, nella versione con gonna, ovviamente, ed un’elegante camicetta da mettere in mostra nei momenti in cui si voleva far a meno della giacca.
Ecco una descrizione statica. Solo la vista viene sollecitata ed è anche una di quelle che io definisco “fotografie” o nei casi peggiori, dove ci dicono anche il numero di scarpe, “odiosissime radiografie”.
Sì, tu con la reflex sul banco che fino ad un attimo fa stavi preparando una composizione di quaderni e penne da postare su Instagram, dimmi! Vuoi sapere cosa ho contro le fotografie? Il nostro scopo è creare immagini fluide nella mente dei lettori, non delle istantanee.
Inoltre, sarà per il mio gusto personale, ma non mi piacciono quelle descrizioni che ti elencano tutto insieme quello che c’è da sapere su di un personaggio per poi passare all’azione. C’è qualche caso in cui sono accettabili ma, secondo me, si può sempre fare di meglio.
Primo passaggio, trasformiamo Maria da “disegno” a personaggio completo.
Maria era giovane. Aveva dei lunghi capelli neri […] si voleva far a meno della giacca. Amava portare un profumo alla vaniglia leggermente accennato: abbastanza per essere avvertito, ma non troppo da disturbare. La sua voce era molto sensuale, solo con essa avrebbe potuto far innamorare qualunque uomo.
Adesso Maria ha anche un profumo ed una voce. I sensi coinvolti sono tre. Potrebbe avere anche la pelle morbida o un buon sapore, ma per poterlo sapere dovremmo toccarla o morderla e per come è stato impostato l’esempio non è possibile.
Secondo passaggio, contestualizziamo la descrizione, facendo muovere la nostra segretaria.
Jim era nell’ufficio del direttore ormai da un’ora, in attesa, mentre il suo capo reparto cercava di illustrare al dirigente quanto fosse accaduto, quando due lievi colpi alla porta lo distolsero dalla noia.
<<Avanti>>
La porta si schiuse ed entrò la segretaria del dottor Anderson, Maria. Il ticchettio dei tacchi attutito dalla moquette la seguì mentre sfilava, sicura di sé nel suo tailleur elegante; politiche aziendali d’abbigliamento che Jim non poté che apprezzare.
<<Dottor Anderson, mi spiace interromperla, ma questi documenti necessitano della sua immediata attenzione>> la voce sensuale della donna riempì la stanza, ci fossero state altre cento persone presenti, si sarebbero voltate tutte nella sua direzione.
<<Grazie, Maria. Poggia pure qui e già che ti trovi, porta via queste cartelline>>
La donna si chinò per raccogliere i documenti sparsi sulla scrivania e, dall’espressione beata del direttore, fu chiaro che con quel movimento aveva messo in mostra chissà quale scollatura vertiginosa. Jim invidiò profondamente quel vecchio bastardo che poteva godersi quello spettacolo tutti i giorni.
Dopo qualche secondo, quando ebbe finito, salutò cordialmente e facendo ondeggiare la sua lunga chioma corvina si voltò per uscire. Fu allora che i suoi occhi color ghiaccio incrociarono quelli verdi di Jim. La donna lo squadrò da sopra la montatura scura degli occhiali, si passò lentamente la lingua sul labbro superiore ed ammiccò, poi uscì lasciando i tre uomini a fissarle il fondo schiena mentre si allontanava ancheggiando nel corridoio.
A Jim non rimase altro che gustare il gradevole aroma alla vaniglia che lei si era lasciata alle spalle. Era già perdutamente innamorato.
Adesso Maria si muove, parla, ammicca. Gli uomini restano ammaliati dalla sua bellezza ed abbiamo anche perduto quell’orrenda radiografia in favore di una descrizione dinamica che ci lascia intravedere anche il carattere della nostra femme fatale.
Chiudiamo qui il nostro appuntamento anche se gli argomenti toccati sono solamente due. Nella prossima lezione parleremo delle regole stilistiche legate a:
– Similitudini e metafore
– Eccesso di informazione, in inglese “Infodump”
– “Mostra, non raccontare”, la regola ritenuta aurea da molti, in inglese “Show, don’t tell”.
Come al solito, attendo commenti o opinioni sugli argomenti trattati e spero di rivedervi qui la prossima volta.
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Le tue lezioni diventano sempre più interessanti, probabilmente grazie anche alla sexy segretaria che ci accompagna nella lettura. 🙂 Personalmente odio le ripetizioni per il semplice fatto che bloccano la fluidità del testo, costringendomi mentalmente a cercare un termine di uguale significato ed interrompendo quindi la comprensione dello scritto. E poi, diciamocelo… la nostra splendida lingua italiana è sì complessa, ma anche variegata al punto da fornire sinonimi a volontà. Non c’è di che aver paura nello scegliere di usarli. Chi legge sarà grato!
Spesso mi è capitato di parlare dell’argomento “ripetizioni” con altre persone, soprattutto i ragazzi a cui dò ripetizioni ma anche adulti. Alcuni di loro non riescono proprio a compiere il passaggio mentale da un sinonimo all’altro o lo trovano particolarmente ostico. Io tendo ad eliminare le ripetizioni anche quando parlo ed è quello che consiglio anche a quelle persone. Di solito è più difficile perché l’immediata conversione tra pensiero e voce è troppo rapida per poter anche stare attenti a tutti i sinonimi che si possono usare, ma con un po’ di allenamento è possibile. Ovviamente riuscire a compiere un lavoro del genere “real-rime” rende molto semplice fare la stessa cosa mentre si scrive.
Hai ragione: è tutta questione di un allenamento che dovrebbe cominciare a scuola e continuare anche nella vita di tutti i giorni. Il fatto che intorno a noi si possano sentire strafalcioni di ogni genere non deve spingerci a parlare (peggio ancora scrivere) nello stesso modo. Sfoggiare una certa proprietà di linguaggio equivale a dire “Ho le idee ben chiare e so perfettamente cosa intendo dire”. Senza contare che le orecchie di chi ascolta ve ne saranno infinitamente grate!! 🙂
Mi interessa davvero poco la descrizione della Sexy segretaria 😉
ma ho capito la lezione – che si fa interessante !
Il meglio di una descrizione è una descrizione dinamica che comprende anche i movimenti e gli atti posti in essere dal soggetto e che coinvolge più sensi.
Io amo molto le descrizioni approfondite – che riescono a trasportare il lettore proprio lì dove lo vuole protare lo scrittore.