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20. Ma cosa te ne fai della testa di un papero – Benedetto Mortola

Esistono dei confini che attraversano la realtà, ma è la realtà che a volte attraversa gli stessi confini, ed esiste anche un tempo che è attraversato da un confine sottile come la luce nel vento fresco che stamattina soffia leggero sopra la tranquilla cittadina di Santa Margherita, sul presto di questo mattino di un giorno di fine marzo, mentre il proprietario dello storico Bar Vanny in Via XXV Aprile sta per aprire il suo locale, e fissa il pupazzo di plastica colorata, con maniglie tipo bici, che sta da tempo immemorabile davanti al suo bar.
Al modico prezzo di una monetina, schiere di bambini lo hanno cavalcato sotto gli occhi vigili dei genitori. Un papero dai colori sgargianti, lontano parente di quello di Walt Disney, buffo, sorridente e che ti sta subito simpatico. Aveva cominciato a funzionare con gli spiccioli della Lira e ora continuava ad andare avanti tranquillamente con i centesimi dell’Euro. Però, in questa fresca mattina di fine marzo, c’è qualcosa che non va: il papero è senza testa.
Qualcuno, durante la notte, l’ha segata via senza pietà, mentre il povero papero continuava a sorridere.
La domanda immediata è una e una soltanto: ma cosa te ne fai della testa di un papero?
Se la domanda è una sola, le risposte possono essere molte. Soprattutto se ti trovi a passare lungo un confine esile come quello che stiamo per attraversare in questo momento. Perché, vedete, spesso le cose non sono come sembrano; bisogna guardarle bene e da diversi punti di vista per capirle, ma soprattutto bisogna farsele spiegare da chi le ha viste con i propri occhi.
Vi vedo sorpresi.
Ma ci sono due testimoni oculari che hanno visto e sentito tutto quello che è successo.
La notte precedente quel fatidico giorno di marzo, qualcosa di perfettamente rotondo e di estremamente silenzioso era sceso lentamente poco più in là del Bar Vanny e atterrato perfettamente in quel minuscolo spazio che esiste accanto ai dehors del Grecale e del Sunflower, due dei locali frequentati dagli esponenti della giovane intellighenzia sammargheritese.
So cosa pensate. Ecco qua! Il solito disco volante!
E sorridete.
E invece è proprio così. Sì. Un disco volante. Cosa c’è di strano se un disco volante filtra lungo un invisibile confine, riesce a violare il nostro naturalmente labile spazio aereo italico, e atterra a Santa Margherita in una frizzantina notte di fine marzo? Vi ricordo che ci sono due testimoni oculari a vederlo atterrare. E i due testimoni hanno visto uscire dal ventre del piccolo disco volante…
Sì, piccolo, ora cosa pretendete? Fino a un attimo fa al disco volante non ci credeva nessuno e adesso lo volete grande?
Santa Margherita è bellissima, ma è una città minuscola, con spazi ristretti, problemi di posteggi, quattro gatti d’inverno, ma d’estate tanto turismo rimbalzato dalle nebbie del nord fino sulle sue spiagge assolate. E sempre in estate, anche un bel po’ di ragazzi che si aggirano straripando, senza neanche il riferimento di una discoteca abbordabile per le loro tasche, nella piccola notte sammargheritese.
Un’astronave grande e grossa, tipo Guerre Stellari, non sarebbe stata per niente adatta ed un suo atterraggio in quel di Santa Margherita avrebbe provocato un inutile impatto ambientale.
Quindi, il disco volante, come affermato dai due testimoni, era piccolo e gli alieni che sono usciti erano tutti piccoli e tutti uguali e tutti in fila si sono inoltrati in Via XXV Aprile, ne hanno percorso un breve tratto tra le auto in sosta, e sono arrivati fino davanti all’entrata del Bar Vanny, dove stazionava il pupazzo papero. I due testimoni l’hanno messo bene in evidenza: i piccoli alieni erano decisi, veloci e precisi. Sapevano molto bene perché quella notte erano lì e sapevano benissimo quello che volevano. Erano tutti simili, avevano la vaga forma del pennuto terrestre che ben conosciamo, le teste piumate, avevano solo due occhi e grandi. Le labbra molto prominenti e gialle.
I due testimoni – perché è sul loro racconto che si basa tutta questa storia – li hanno sentiti emettere dei deboli suoni, simili ad uno starnazzamento lievemente metallico, ma hanno colto solo alcune brevi frasi che hanno trascritto successivamente per gli inquirenti: “Qui Quack! Là Quack! Zut Quack! Zac Quack!”
Fermiamoci su quest’ultima espressione: “Zac Quack!”
Interpellato a tale proposito, il professor Giorgio Paperocchio, noto glottologo di fama internazionale, ha fatto presente che una espressione simile è stata utilizzata dalle popolazioni indigene del sud ovest dell’Isola di Giava fino al 1806, forse addirittura fino all’inizio del 1807, e veniva normalmente urlata da parte di uno dei membri della tribù – di solito situato ai piedi di una palma e armato di una robusta ascia impugnata a due mani – per annunciare al resto del clan il taglio quasi completamente eseguito e quindi l’imminente crollo della pianta.
Ma il professore, a questo punto, emerge dalla sua scrivania sommersa da centinaia di volumi, con una espressione preoccupata e – si noti bene – è certo solo della verità relativa alla prima parte della frase, cioè l’espressione “Zac”, mentre per il resto, il “Quack” che segue, il professore ammette, con sguardo rassegnato, che per quanto in questi ultimi anni la glottologia abbia fatto passi da gigante, purtroppo, proprio riguardo al vero significato di questo “Quack”, brancola ancora nel buio.
I due testimoni dicono che non appena gli alieni pronunciarono questa frase: “Zac Quack!”, la testa del pupazzo papero venne avvolta da una vivida luce circolare azzurognola e rimase nelle mani… Ecco, veramente, qui i testimoni parlano di minuscoli arti ramificati con pelle squamosa, dita prensili autoadesive, pollici opponibili palmati, metacarpi gelatinosi, unghie mandibolari, falangi adunche, polpastrelli lenticolari…
I piccoli alieni caricarono la testa sul disco volante, tra quei loro sommessi “Bel Quack! Ok Quack! Quick Quack!” e poi cominciarono a salire anch’essi.
Ma l’ultimo piccolo alieno all’improvviso si voltò e vide i due testimoni oculari: un metronotte dietro ad un’auto in sosta e una pensionata insonne che sbirciava dall’angolo di Via Roma.
Subito gli alieni scesero, velocissimi, circondarono e presero i due che, sopraffatti dalla paura, non opposero resistenza. Così anch’essi, insieme alla testa del papero, vennero infilati nel disco volante al suono di frasi dall’oscuro significato che i testimoni sono riusciti solo in parte a ricordare: “Tel Quack! Che Quack! Rompi Quack!”
Il disco volante attraversò un impalpabile confine spaziale e arrivò dopo pochissimo tempo sul Pianeta Quack dove, sempre secondo le testimonianze dei due terrestri, vennero abbondantemente rifocillati e il giorno dopo poterono assistere dalla tribuna d’onore (costruita a tempo di record apposta per loro, minuscola, ma dignitosa e confortevole) alla solenne incoronazione dell’Imperatore Quack il Grande, Sovrano Supremo della Galassia Quackuariana.
Naturalmente, oltre alla consegna dello Scettroquack e del Manto Regale Quackpardato, a Quack il Grande venne posta sul capo la Corona Imperiale Quackquadrata con la testa del papero fatta arrivare appositamente dal Pianeta Terra, nel tripudio di una folla papero-aliena oceanica che batteva le mani (o quello che erano).
Poi i due testimoni oculari, attraverso il solito sottile confine nascosto, vennero rimpatriati direttamente a Santa Margherita, a bordo del disco volante che atterrò in Corso Matteotti, davanti a “La Ferramenta”. I tre titolari del negozio ricordano benissimo i due piccoli paperi alieni che entrarono, acquistarono otto bulloni da sei, un etto e mezzo di rondelle e una confezione gigante di silicone, pagarono con una banconota da 50 Euro, presero il resto, e uscirono.
Pochi istanti dopo, il disco volante decollò e sparì nel cielo terso di Santa Margherita.
Potete verificare di persona, se vi recate a “La Ferramenta”. In bella evidenza, sopra il bancone, è ancora adesso esposta la banconota sulla quale è raffigurata da un lato la testa di Sua Maestà Quack il Grande e dall’altro la scritta 50 Euroquack.
So cosa state pensando.
Ma non è vero! Ma com’è possibile? Non è uscita una riga che è una sui giornali. E soprattutto non si è visto niente in TV. Non uno speciale dal TG1, silenzio da Canale 5. Nessun politico di spicco è apparso in nessuno straccio di talk show per dichiarare – entusiasta! – che la soluzione della crisi economica è proprio lì, nello spazio: “Italiani! La crisi è finita! Io vi prometto che lo Spazio ci salverà!”
E Superquark? Avrebbe dovuto occuparsene in prima persona, se non altro per obbligo morale e anche per una certa assonanza nel nome. Invece, da Piero e Alberto Angela neanche una parola. E Voyager? Se questa storia fosse vera, gli avrebbe dedicato una puntata speciale con Roberto Giacobbo che si aggira nello studio allestito per l’occasione a forma di asteroide paperoide e si chiede con espressione psicodinamica: “Un papero può cambiare la storia dell’Umanità? Stasera andremo a Santa Margherita e lo verificheremo insieme!”
Non può essere vero!
Un po’ di pazienza. Vi ricordo che ci sono due testimoni oculari. Immaginate di essere al loro posto. Non deve essere mica facile per uno che ha visto, raccontare in giro del papero, della testa tagliata, del rapimento, del disco volante, dell’imperatore, del pianeta… E magari con la pretesa di essere creduto!
Ma andiamo per ordine. Il metronotte, subito dopo che è ritornato dal Pianeta Quack, ha proclamato ai quattro venti che aveva visto tagliare la testa al papero, che poi era stato rapito da alieni a forma di ochetta e portato, insieme ad una pensionata e dentro un disco volante, su un pianeta dove aveva assistito all’incoronazione del premier locale con la testa del papero, e poi era stato riportato, a bordo del solito disco volante-taxi, a Santa Margherita.
Come potete immaginare, queste sue dichiarazioni spontanee, ma abbondantemente amplificate da lui stesso sui media, avevano fatto sorgere seri dubbi nella task force scientifico-paperologa allestita per l’occasione. Anche perché il testimone in questione è noto come tipo da avventurarsi spesso in lunghe, solitarie escursioni dentro bottiglie di vetro che riesce a svuotare con incredibile abilità di ogni contenuto liquido.
Questa sua passione per l’attraversamento reiterato del confine alcolico, lo ha purtroppo immediatamente screditato davanti agli scienziati del comitato scientifico. Un durissimo colpo per la ricerca in Italia.
L’altra testimone, invece, ha fatto la scelta diametralmente opposta. Carla Testa, sedicente pensionata, è una simpatica signora che gira sempre con un libro da leggere nella sua borsa. Una donna che passeggia quotidianamente su molti confini. Lei non ha mai raccontato a nessuno di questa storia.
Santa Margherita, però è una piccola città dove le voci corrono. Così capita che ogni tanto qualcuno le chieda: “Carla, ma, dimmi un po’, sai, quei paperi alieni che si sono presi la testa del papero del Bar Vanny e se la sono portata sul Pianeta Quack… Dai, raccontaci qualcosa! Guarda che ti hanno vista mentre scendevi dal disco volante all’inizio di Corso Matteotti, davanti a La Ferramenta…”
Ma lei continua a fare finta di niente, si schernisce, e si limita a un: “Ma no… Stavamo solo girando uno spot e quel disco volante era per la pubblicità di un detersivo…”
Però, ultimamente, alcuni che l’hanno vista passeggiare per le strade di Santa Margherita, dicono che a volte si ferma, si guarda intorno, alza gli occhi al cielo e compie uno strano, veloce segno con la mano, come uno che fa l’autostop su di una strada invisibile in mezzo alle nuvole.
Resta per qualche attimo immobile a fissare la volta celeste sopra di lei, sorride, abbassa e scuote lentamente il capo, e poi, convinta che nessuno possa sentirla, sussurra: “Però questi alieni… che teste di quack…”

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Alessandro Zuddas

Alto, bello, forte, intelligente, affascinante, carismatico, sposta gli oggetti con il pensiero, sa volare, parla la lingua comune intergalattica ed è così dannatamente fantasioso che qualche volta confonde cioè che immagina con la realtà… diciamo spesso… anzi no! Praticamente sempre! A pensarci bene non è che sia così tanto alto, affascinante o tutte le altre doti prima esposte, ma a chi importa? Quando si possiede la capacità di creare un mondo perfetto o perfettamente sbagliato oppure ancora così realistico da poterlo sovrapporre alla realtà, perde di senso chi si è veramente e conta solo chi si desidera essere.

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