Eccoci arrivati al secondo appuntamento con L’apprendista scrittore. Nella lezione precedente, oltre ad esserci presentati, abbiamo introdotto in maniera generale i concetti di verosimiglianza e di logica come colonne portanti della narrativa fantasy. Tali capisaldi ci seguiranno un po’ in tutti gli argomenti trattati e quindi eccovi il link diretto all’articolo che ne parla in maniera più specifica.
Oggi dedicheremo la nostra attenzione al mezzo fisico tramite il quale la nostra storia giunge ai lettori: la lingua italiana.
L’italiano è indubbiamente uno strumento complesso. Conta un gran numero di vocaboli e parecchie strutture sintattiche da padroneggiare per poter affermare di conoscerlo bene.
In realtà, come tutte le lingue, possiamo rintracciare al suo interno dei sottoinsiemi più o meno definiti di vocaboli e forme che dividono la lingua in vari livelli.
Tralasciando le influenze linguistiche dei vari dialetti italiani, che pure rappresentano una forte caratteristica della nostra lingua, possiamo trovare, ad esempio, il parlato, caratterizzato da strutture più semplici e di uso comune, spesso completato da movimenti del corpo atti a sintetizzare concetti non espressi a voce. Troviamo anche l’italiano più raffinato, composto da parole ricercate e frasi più eleganti, oppure ancora tutta una serie di tecnicismi legati ad ambienti specifici.
Dato che la nostra lingua è il mezzo tramite il quale la storia che vogliamo scrivere giunge al lettore, è evidente l’importanza più che vitale che essa assume in tutte le fasi della produzione letteraria.
Sembrerà banale ciò che sto per dire, ma se non si riesce a scrivere in maniera corretta, non si va da nessuna parte.
Qualunque idea geniale o colpo di scena mozzafiato sarà sempre oscurato da una scrittura incerta e claudicante. Gli errori di ortografia o sintattici funestano la lettura e si corre seriamente il rischio, oltre che di apparire ignoranti in prima persona, di scoraggiare del tutto i lettori.
Sì? Tu che hai finito le superiori ieri e mangi pane e sms, dimmi pure! Come? Vuoi saxe cm si fa per skrivere bn? Io comincerei ad assicurarmi che le parole che usi esistano nel vocabolario.
Oltre ad accertarci dell’esistenza delle parole, che è di per sé una cosa ovvia, dovremmo anche sapere che nella nostra bella lingua esiste un vocabolo per tutto. Ogni oggetto, ogni sentimento, ogni comportamento, ogni qualità ha il suo nome specifico ed in mancanza di motivazioni valide, va usato.
Userò come esempio una frase tipica della nonna.
Ale, mi prendi quel coso bianco che sta sulla cosa in alto, dietro a quell’altro coso nero?
Palesemente non si capisce cosa la nonna voglia che le prenda.
Avrebbe potuto usare dei termini generici, per rendere la frase almeno comprensibile.
Ale, mi prendi quel barattolo bianco che sta sul ripiano in alto, dietro al contenitore con la polvere nera?
In realtà si può fare di meglio.
Ale, mi prendi la zuccheriera che sta sul ripiano in alto, dietro al contenitore del caffè?
Al secondo passaggio la frase aveva già senso, ma era vaga, usando i termini corretti è molto più chiara e non confonde il lettore.
Ovviamente bisogna prestare attenzione. Parole troppo tecniche o inusuali potrebbero creare altrettanta confusione, anche se corrette.
<<È apodittico che l’esaugurazione del luogo sacro implichi l’annullamento dei sacramenti in esso impartiti successivamente>> disse il Vescovo, non lasciando margine di interpretazione.
È chiaro che così è troppo!
Ovviamente il termine corretto da utilizzare non verrà scelto come se fossimo Due Facce, l’arcinemico di Batman. La monetina non ci aiuterà a capire come procedere; lo farà invece la logica!
In realtà, questa è la prima vera grande scelta che si pone davanti ad uno scrittore: semplicità o verosimiglianza?
Facciamo un esempio. Dialogo tra due amici ricercatori medici.
<<Tom, lo sai che mi hanno scelto per condurre un esperimento statistico a doppio cieco riguardo al soplhast130?>>
<<Maddai che barba, potevano almeno farlo a cieco singolo, almeno sai cosa stai somministrando>>
Tom ed il suo amico si sono capiti, ma il lettore sicuramente sarà rimasto spiazziato. Il dialogo risulta molto verosimile, ma non semplice.
<<Tom, lo sai che mi hanno scelto per condurre un esperimento statistico riguardo al Soplhast130? Sai, quelli dove nemmeno il medico sa se sta somministrando il farmaco giusto o uno finto>>
<<Maddai che barba, così non sai se ti stanno facendo perdere tempo o meno>>
Semplificato il dialogo, ha perso di verosimiglianza in quanto si presuppone che due ricercatori medici sappiano esattamente come chiamare quel tipo di esperimento e quindi avrebbero usato il termine corretto.
È ovvio che non esiste un modo giusto o sbagliato di procedere ma che il tutto si rimette alla decisione dello scrittore.
Ci sono dei trucchi per poter mantenere il dialogo in termini più tecnici e poi spiegare a tutti i lettori cosa intendevano i nostri due medici, ma di solito si rischia di cadere in cliché di bassa qualità. A titolo di esempio vi riporto l’espediente di affiancare ai nostri due esperti un terzo personaggio, inesperto in materia, che chiederà spiegazioni al momento giusto. Efficace ma parecchio abusato.
Un discorso a parte meritano invece i tempi verbali.
Sì, lo so che a te con il grembiulino a quadri ed il fiocchetto la maestra dice sempre che quando scrivi devi mettere sempre il presente o sempre il passato.
Vi svelo un segreto, le maestre ci hanno sempre mentito. Quando si scrive un racconto, sono davvero pochi gli assoluti che reggono, mentre di solito le altre situazioni si aprono ad interpretazioni di vario genere. Il caso dei tempi verbali non fa eccezione.
Ogni tempo ha il suo scopo ben preciso, come ho riassunto nella tabella seguente e per quella finalità va utilizzato.
Tempo |
Scopo |
Esempio |
Presente |
Azione principale al presente |
Antonio mangia una banana |
Passato prossimo |
Azione terminata da poco in un testo che usa il presente come azione principale |
Antonio ha appena mangiato una banana quando squilla il telefono |
Imperfetto |
Azione prolungata nel tempo con azione principale al passato |
Antonio mangiava una banana, quando squillò il telefono |
Trapassato prossimo |
Azione terminata da poco in un testo che usa il passato come azione principale |
Antonio aveva mangiato una banana quando squillò il telefono |
Passato remoto |
Azione principale al passato |
Antonio mangiò una banana |
Trapassato remoto |
Azione più profonda nel passato rispetto a quella principale ma ad essa legata. |
Dopo che Antonio ebbe sbucciato la banana, la mangiò |
Futuro semplice |
Azione principale nel futuro |
Antonio mangerà una banana |
Futuro anteriore |
Azione futura precedente a quella principale al futuro. |
Dopo che Antonio avrà sbucciato la banana, la mangerà. |
Una volta scelto quindi il tempo da utilizzare per l’azione principale, dovremo sempre essere coerenti, ma saremo liberi di utilizzarli tutti a seconda delle occasioni. Ad esempio nei dialoghi i personaggi useranno di norma il presente, ma raccontando a “viva voce” un fatto del loro passato, useranno il passato remoto o il prossimo a seconda delle esigenze e volendo pianificare le prossime mosse, useranno il futuro senza remore.
Anche il narratore potrà cambiare tempo per l’azione principale se dovessero cambiare le condizioni di base. Ad esempio quando la storia è raccontata in prima persona, capitano spesso riflessioni posteriori ai fatti narrati e quindi necessariamente scritte con un altro tempo verbale.
All’epoca non sapevo a cosa andavo incontro. Ora so che quello che vidi mi ha segnato per sempre.
Oltre all’uso delle parole e dei verbi, è necessario prestare attenzione alle forme d’uso comune, frasi fatte o sottosezioni particolari della lingua italiana.
In linea generale è preferibile evitare frasi abusate, proverbi o citazioni, come anche forme verbali scorrette e strutture del periodo che non seguono le regole dell’analisi tipica. I congiuntivi non rubano le caramelle ai bambini, i modi di dire locali non vengono capiti nel resto della nazione.
C’è però da dire che esistono molti casi in cui, per ragioni di verosimiglianza, è addirittura lecito infarcire il testo con errori grammaticali e strafalcioni della peggior specie. Di solito accade quando si desidera caratterizzare in maniera forte un personaggio.
Hagrid in posa per una foto promozionale del primo film.
Questa volta non inventerò io l’esempio, in quanto ne ho uno a portata di mano già bello e pronto: Hagrid, tratto dai libri di Harry Potter.
<<Nessuno sopravviveva se lui decideva di ucciderlo. Nessuno, neanche uno. Tranne te!>>
<<[…]Sai, il Ministero voleva mandare un mucchio di Auror, ma Silente ci ha detto che bastavo io.>>
<<Mi è scappato il tempo. Ci ha una casa nuova sulle montagne adesso, Silente ce l’ha preparata,[…]>>
Le tre citazioni sono tratte casualmente dai vari libri solo per evidenziare come l’autrice abbia scelto di sottolineare la carenza nell’istruzione del personaggio.
Alla stessa maniera è possibile quindi inserire nei dialoghi delle frasi fatte o degli intercalari tipici allo scopo di rendere più verosimile un personaggio.
Un altro caso in cui si possono piegare le regole della normale grammatica è quello di simulare un discorso incespicante di uno straniero che, non conoscendo tutte le regole o tutte le parole, tenderà a sbagliare le coniugazioni o a concordare in maniera errata gli aggettivi.
<<Io vende tutto a cinque euro! Comprare qualcosa signore?>>
Nessun lettore si aspetterebbe una frase diversa da un venditore ambulante, sebbene di fatto contenga un po’ di errori grammaticali.
In ultimo c’è da affrontare il problema delle parole straniere.
Sono anni che la nostra lingua subisce infiltrazioni di termini provenienti da altri paesi, per lo più anglofoni. Come è giusto comportarsi di fronte a tale fenomeno?
Io personalmente ritengo che, fintanto che il termine straniero non sia riconosciuto dalla maggioranza delle persone, vada sempre evitato, mentre se ormai quella parola viene utilizzara correntemente in italiano, siamo liberi di utilizzarla come se fosse parte integrante della nostra lingua. Nel secondo caso c’è da ricordarsi sempre che i termini stranieri non si concordano al femminile ed al plurale quando scriviamo in italiano: ognuno di noi avrà tanti hobby, Katy Perry avrà tanti fan e Morgan Freeman sarà presente in tanti film.
Tale regola ovviamente si piega alla necessità di caratterizzare i personaggi e quindi la nostra zia modaiola sarà perfettamente legittimata a tenere i suoi discorsi infarcendoli di termini stranieri.
<<Guarda cara, come sono cool! Con questo chatouche che ho fatto sembro trendy come una ragazzina>>
Così come anche l’esperto di marketing non lesinerà termini dal suo vocabolario anglofono.
<<Il trend di crescita s’è interrotto imboccando un fall back molto ripido ed è tutto imputabile allo scarso servizio di customer care che forniamo>>
Un ulteriore esempio, l’ultimo per oggi, potrebbe fornircelo il nostro amico Vladimir.
<<È stato bello parlare con te! Dasvidania tovarish>>
Concludiamo così questa lunga, ma purtroppo non esauriente trattazione sulle potenzialità della lingua italiana. Se avessi voluto essere più dettagliato avrei dovuto scrivere un libro, quindi se qualcuno di voi desidera porre l’accento su un concetto che è stato trattato in maniera troppo rapida o colpevolmente tagliato dall’articolo, non deve far altro che commentare qui sotto.
La prossima volta ci occuperemo delle regole stilistiche più famose, la principale, ma non l’unica sarà il celeberrimo “show, don’t tell” – “mostra, non raccontare”
(1763)
Complimenti!! La nostra splendida ma bistrattata lingua ti sarà grata per l’articolo, come pure tutti i lettori cui sarà evitato di inciampare in ripetizioni sparate come raffiche di mitra! 🙂
Grazie! E c’è da dire che non sono nemmeno andato a fondo negli argomenti, che già l’articolo era diventato troppo lungo.
Povero Italiano – sono contenta che ci siano ancora persone che ne conoscono le regole 😉
Io personalmente non amo i libri dove per caratterizzare fortemente un personaggio lo fanno parlare da super illettereato
Soprattutto se si tratta di uno dei personaggi principali con cui si avrà a che fare per tutto il libro.
Odio leggere l’Italiano con verbi sbagliati e frasi così fortemente false. Penso che siano controproducenti poi per chi legge il libro. Almeno nel mio caso, in qualità di lettrice lo è !
La caratterizzazione deve essere fatta in tanti modi. Usare il linguaggio di un personaggio è solo un sistema come altri.
In linea generale anche io trovo pesante leggere tutti i discorsi sgrammaticati di un personaggio principale ma analfabeta. In quel caso basta tenere il linguaggio a livello basso, ma almeno corretto e aggiungere qualche altro dettaglio che mostri ignoranza.
Sono d’accodo con te Alessandro sicuramente messa così la cosa è molto meglio !
Penso che poi un personaggio si possa caratterizzare anche con qualche caratteristica fisica oppure parlando dei suoi sentimenti e pensieri 🙂 o mi sbaglio !
Grazie per avere creato queste lezioni